Non vogliamo più essere una merce
La lotta contro la mercificazione durante la crisi da Coronavirus
In questa crisi inedita, non tanto nelle sue caratteristiche intrinseche, quanto nella portata esponenziale e diffusa per via della globalizzazione, si sta dando un’esperienza di massa di spiazzamento. Qualcuno ha definito quest’esperienza come simile a quella di una guerra, qualcun altro l’ha paragonata a uno sciopero generale, ma la sostanza è una sospensione dei rapporti di produzione e riproduzione capitalistici “as usual”.
Dalle nostre quarantene segregati in casa (per chi ha la fortuna di avercela), o mentre ci rechiamo sui luoghi di lavoro che continuano a rimanere aperti ci domandiamo irrimediabilmente che ne sarà del nostro futuro, chi pagherà i costi di questa crisi, quanto è insopportabile un sistema sociale di questo genere, come sarà il mondo quando tutto questo finirà. Sono domande che oggi non riguardano i contesti militanti o lotte specifiche, movimenti d’opinione, ma traggono sostanza dalla scoperta di massa, improvvisa ma pronosticata, di tutti i limiti, la disumanità e l’irrazionalità della società organizzata secondo il dettame neoliberista.
Questa esperienza di massa non durerà per sempre, ma lascerà dietro di sé molte importanti domande a cui oggi l’ideologia capitalista tout court non sa dare risposte.
Molto di ciò che accadrà dipende dalle condizioni oggettive in cui si svilupperà questa crisi nei diversi territori, molto anche dalle condizioni pregresse, ma in maniera significativa oggi si apre uno spazio politico di contesa potenzialmente immenso e l’agire delle soggettività organizzate, se ben calato nella realtà, potrebbe determinare (almeno in parte) l’esito di questa crisi.
In particolare, ad emergere in controluce dentro i conflitti che si stanno dando e le contraddizioni oggettive denudate dal Covid19 vi è la mercificazione dell’intera sfera della riproduzione sociale. Essa emerge tanto nella forma più tipicamente marxiana della separazione della merce tra il suo valore d’uso e il suo valore di scambio e dunque anche in ciò che è utile produrre per la società e ciò che invece va a gonfiare solo il surplus delle borghesie, tanto nel rapporto quindi dell’umano con la merce, quanto nella “mercificazione complessiva dei rapporti sociali”. In questo senso il differenziale tra la salute generale della società e l’industria della medicalizzazione (compresa dello scarico del lavoro di cura) emerge in tutta la sua crudeltà e racconta quel “tutto” capitalista in cui siamo gettati che in fondo è in antitesi, in scontro, in antagonismo con la vita umana stessa. E dunque ben oltre le privatizzazioni, le devolution, la corruzione, ben oltre allo scontro tra pubblico e privato oggi si mostra un possibile, forse flebile ma inedito negli ultimi 40 anni, spiraglio di itinerario di lotta contro la mercificazione su delle scale impreviste. E’ necessario tenere ben presente questo punto, che lo si definisca demercificazione, decrescita, o in altro modo. Lottare dentro e contro la macrofabbrica capitalistica con i suoi rapporti sociali per contenderne il potere e restituire importanza al valore d’uso delle merci, del lavoro, dei servizi, della vita contro il suo valore di scambio.
Per fare ciò forse sarà necessario recuperare la dicotomia luxemburghiana tra il momento riformista e quello rivoluzionario, tra il lavoro quotidiano di organizzazione della lotta e l’orizzonte di una società libera dalla merce.
Sicuramente, in ogni caso, questo è un momento epocale, e quando la storia accelera così, è sempre una buona regola provare a dare una spinta.
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