InfoAut
Immagine di copertina per il post

Digitalizzazione o giusta transizione?

Sfinimento delle capacità di riproduzione sociale, economia al collasso e aumento del degrado ecologico: di fronte a queste sfide per il settore agricolo non basta il capitalismo verde

di Maura Benegiamo, da Jacobin Italia

Le recenti «proteste dei trattori» hanno evidenziato le tensioni attorno al tema di una transizione ecologica per l’agricoltura industriale. Si è discusso molto della giustezza di misure «green», come la riduzione dei pesticidi, che la Politica agricola comune (Pac) ha recepito dalla strategia Farm to Fork, a sua volta pilastro del Green Deal europeo. Molto meno invece si è parlato della sensatezza di una politica verde che continua a mettere al centro il mercato e l’iniziativa privata piuttosto che una reale pianificazione pubblica che prenda sul serio la proposta di un’agricoltura riparatrice delle sue condizioni ecologiche e del cibo come diritto e bene comune. In questo contesto, le recenti politiche atte a promuovere una transizione digitale del settore agricolo forniscono alcuni spunti utili, seppur situati, per esaminare le contraddizioni insite in questo modello e la relazione tra l’espansione delle forme di estrattivismo agrario e lo sviluppo di un «capitalismo verde». Quest’analisi risponde anche all’esigenza di pensare una transizione giusta per il settore agricolo, in grado di costruire percorsi di convergenza dal basso in un contesto, quello tardo-capitalista, marcato dallo «sfinimento» delle capacità di riproduzione sociale, da un’economia al collasso e dall’aumento del degrado ecologico.

La prospettiva di una «rivoluzione digitale per l’agricoltura» ha infatti suscitato particolare consenso tra i decisori politici all’indomani della crisi alimentare e finanziaria del periodo 2007-2009, finendo per affermarsi come una delle principali strategie di transizione per il settore a seguito della pandemia da Covid-19. Organizzazioni quali la Fao, l’Ocse o l’Unione europea hanno accolto nei loro programmi l’idea che le tecnologie digitali e di precisione, connesse allo sviluppo di un «agrarian data economy», costituiscano fattori determinanti nella transizione verso sistemi alimentari più resilienti, produttivi ed efficienti dal punto di vista sia economico che ambientale. In Europa in particolare, la Pac attribuisce un ruolo centrale alla digitalizzazione agricola che emerge, anche nel dibattito, come lo strumento attraverso cui le imprese potranno raggiungere gli obiettivi del Green Deal. Una visione che il governo Italiano recepisce in pieno, come mostrano anche i nuovi incentivi alla digitalizzazione inscritti nel Pnrr Italiano. Ovviamente si tratta di una «parola d’ordine» tutt’altro che definita, che rinvia a diverse tecnologie e diversi livelli d’applicazione, ma che nella sua versione più «futuristica» si rifà all’idea di  agricoltura 4.0, che a sua volta traduce la proposta di un’industria 4.0 formulata dal governo tedesco nel 2013 e divenuta, nel 2016, il tema dell’incontro annuale del World Economic Forum. In questa visione, la «fattoria del futuro» è spesso rappresentata come un’utopia tecnologica in cui sistemi automatizzati e iperconnessi – tra cui trattori a guida autonoma, droni, animali dotati di sensori, serre automatizzate e fattorie urbane verticali – sono gestiti da evoluti software decisionali, dando spazio a una nuova figura di agricoltore digitale, il cui lavoro è reso più facile, più dignitoso e meno gravoso da queste stesse tecnologie.

Un’agricoltura digitale che aumenta lo sfruttamento

In queste rappresentazioni non troviamo invece traccia delle centinaia di lavoratori e lavoratrici agricole, stagionali, spesso migranti, che raccolgono e processano il cibo che arriva sulle nostre tavole; né tantomeno delle loro innumerevoli lotte e richieste. La transizione verso un’agricoltura digitale non sembra essere pensata per loro, semmai contro di loro, come diversi studi testimoniano. Allo stesso tempo però, l’effettiva capacità delle tecnologie digitali di sostituirsi a queste tipologie di lavoro rimane una questione aperta: oggi le ricerche condotte attestano piuttosto un’intensificazione del lavoro agricolo e del suo sfruttamento per queste categorie. Del resto questo è lo scopo già dichiarato nella stessa definizione di macchinari super intensivi e multitasking – dai trattori da usare in campo alle catene di montaggio 4.0 – che offrono la possibilità di svolgere più operazioni contemporaneamente, più velocemente e con maggiori volumi di produzione. Probabilmente vale la pena ricordare ciò che la storia dello sviluppo capitalista ha più volte mostrato, ovvero che scienza e tecnologia, oltre a essere uno strumento di produzione, hanno agito soprattutto come strumento di controllo, disciplina e riduzione della forza lavoro.

Non basta però evidenziare come la promessa di una transizione digitale sia tesa a rafforzare, piuttosto che emancipare, la dipendenza del capitalismo da relazioni di produzione ed espropriazione fortemente diseguali, razzializzate e di genere, incluso nei luoghi stessi adibiti alla loro produzione (dal lavoro semi-schiavistico che addestra l’intelligenza artificiale ed è impiegato nella produzione dei principali devicesall’impatto ambientale diseguale delle infrastrutture digitali). Altrettanto importante è comprendere la relazione tra questi (nuovi) modelli di sfruttamento e gli immaginari sociali veicolati dalle prospettive di automazione e digitalizzazione promosse «dall’alto» . 

Gli immaginari tecno-liberali

Nel loro libro Surrogate Humanity: Race, Robots, and the Politics of Technological Futures, Neda Atanasoski e Kalindi Vora esplorano le radici coloniali e razziali che sostengono gli immaginari tecnoscientifici dell’automazione e del futuro del lavoro. Mettendo in discussione il sogno di un futuro post-lavorativo guidato dal progresso tecnologico (una visione spesso condivisa anche nei circoli marxisti), si concentrano sulla promessa, spesso associata a tali proiezioni, di una piena realizzazione della «natura umana», le cui caratteristiche, tuttavia, smascherano il soggetto liberale ed espongono le gerarchie, storicamente coloniali, che sostengono le visioni produttiviste del lavoro: 

I futuri tecnologici legati allo sviluppo capitalistico iterano una fantasia secondo la quale, man mano che le macchine, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale si impadroniscono del lavoro noioso, sporco, ripetitivo e persino riproduttivo, la piena umanità del soggetto (già) umano sarà liberata per le capacità creative. Anche se i compiti più apprezzati all’interno dei regimi capitalistici di produzione e accumulazione, come il lavoro di conoscenza, diventano automatizzabili, l’obiettivo dichiarato dell’innovazione tecnologica è quello di liberare il potenziale umano (la sua essenza non alienata, o nucleo) che è sempre stato definito in relazione ad altri degradati e svalutati – coloro che non sono mai stati pienamente umani.

Non è quindi un caso che il soggetto al centro della transizione digitale sia una nuova figura di manager-imprenditore, principalmente maschio e bianco, che reitera una visione predatoria del lavoro, piuttosto che riparatrice e di cooperazione che miri a sostenere la riproduzione socio-ecologica.  

Una transizione giusta, in grado di scartare questi immaginari tecno-liberali, dovrà piuttosto sviluppare alleanze trasversali e intersezionali tra conoscenze, competenze e molteplici punti di vista situati, per fornire soluzioni tecnologiche alternative che non riproducano le gerarchie razziali e di genere del lavoro svalutato, ma che richiedano piuttosto un impegno con la diversità dei soggetti che sostengono la (ri)produzione capitalista, per promuovere la loro capacità di partecipare ai futuri immaginari del lavoro, realmente liberatori. 

Una transizione adatta solo alle grandi imprese

Per quanto riguarda l’agricoltura, e affinché ciò avvenga, è però importante riconoscere come la logica capitalista abbia trasformato questa attività. Nel contesto dell’attuale regime alimentare globale, dominato dalle grandi corporazioni, solo le imprese in grado di intensificare ed espandere la produzione, dentro adeguate economie di scala, possono sopravvivere alle pressioni esercitate a monte e a valle delle catene del valore agroindustriale. Il fenomeno dell’abbandono delle imprese agricole e la loro diminuzione a livello globale mostra come tali prospettive di espansione non siano adatte alla maggioranza degli agricoltori, costretti piuttosto a un’insostenibile corsa all’intensificazione, con conseguente aumento del livello di indebitamento e l’emergere di nuove traiettorie di espropriazione terriera e di espulsione dalle campagne.

Allo stesso modo, e nonostante l’enfasi posta da pianificatori ed esperti sulle strategie digitali per far fronte alla crescente incertezza, alle minacce e ai rischi che attanagliano il mondo agricolo, la fattibilità di un’intensificazione digitale resta un’ipotesi piuttosto remota per molte piccole e medie aziende agricole, incluso nel più ricco contesto occidentale ed europeo. Infatti la prospettiva dell’agricoltura digitale così come viene raccontata (i cui strumenti tecnologici sono per lo più tarati sul modello estensivo-intensivo nordamericano delle piantagioni), sembra conveniente solamente al di sopra di una certa soglia di dimensione aziendale. Si tratta di una prospettiva agro-industriale pensabile solo se diamo per buono l’aumento crescente delle dimensioni delle aziende agricole e della concentrazione fondiaria che caratterizza l’attuale evoluzione del regime agro-alimentare corporativo. Lo stesso regime che priva le agricoltrici e gli agricoltori della possibilità di negoziare un prezzo equo per i loro prodotti e di adottare paradigmi di produzione più ecologici, come quelli proposti dall’agroecologia. 

Queste contraddizioni delineano i contorni di un’ulteriore promessa «verde» che sostiene e allo stesso tempo nasconde  traiettorie molto più concrete di intensificazione dello sfruttamento e del degrado ecologico.

Una transizione che non ripara

Se infatti questi approcci trasformativi non sembrano adatti alla maggior parte degli operatori agricoli, non lo sono neanche ai territori in cui sono chiamati a operare. Questo non solo perché il modello agroindustriale non ha ancora dimostrato una sufficiente capacità rigenerativa in grado di riparare la frattura metabolica, risanare i suoli e sopperire alla perdita di biodiversità; mentre permane fortemente dipendente dai combustibili fossili per la coltivazione, il trasporto e la commercializzazione dei prodotti. Ma anche perché questi stessi territori su cui si pretende di agire in un futuro indeterminato sono già minacciati o in preda al collasso sistemico: la loro capacità di sostenere la vita sociale è profondamente compromessa da molteplici traiettorie di abbandono, e dagli impatti del cambiamento climatico e del degrado ecologico. Pensiamo ad esempio cosa possa significare una «transizione 4.0» in un contesto come quello italiano, dove urbanizzazione, salinizzazione dei corsi d’acqua, frequenti alluvioni, ondate di calore e siccità stanno già intaccando la capacità produttiva di intere aree rurali e sono all’origine di grandi disastri ecologici, come la doppia alluvione che ha colpito la regione Emilia Romagna tra il 2 e il 17 maggio 2023 e la regione Toscana nel novembre 2023, per fare gli esempi più recenti.

Questi processi mostrano non solo i limiti, ma anche il carattere altamente speculativo ed estrattivista di una transizione verde/digitale che non riparando né rispondendo alle attuali emergenze, accelera la distruzione delle basi socio-ecologiche su cui si fondano le comunità. 

Alla luce di tutto ciò, una transizione giusta, in agricoltura come altrove, non può basarsi unicamente su incentivi green, reskilling del lavoro e sostegno alle imprese, con l’idea che sia poi il mercato – con un pò di supporto e indebitamento pubblico – a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.  Abbiamo bisogno di visioni più ambiziose, capaci di decolonizzare gli immaginari tecno-scientifici e di ripensare il rapporto tra lavoro e metabolismo sociale, ma anche di rimettere i territori e la loro difesa al centro delle rivendicazioni del lavoro, perseguendo una politica dell’attenzione capace di riparare i fondamenti socio-ecologici della convivenza, contro la concreta svalutazione dei mezzi di sussistenza umani e il degrado ambientale perseguito dallo sviluppo capitalista.

*Maura Benegiamo, ricercatrice in Sociologia economica e del lavoro all’Università di Pisa, è autrice del libro La terra dentro il capitale, Orthotes editrice (2021), si occupa di ecologia politica, estrattivismo e transizione ecologica.

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Sulla guerra in OpenAI e sull’intelligenza artificiale che promuove le diseguaglianze

Continuiamo la pubblicazione di contributi in vista della terza edizione del Festival Altri Mondi / Altri Modi che si terrà dal 10 al 13 aprile a Torino. Di seguito potete trovare un interessante articolo di Stefano Borroni Barale sull’intelligenza artificiale. Stefano parteciperà al dibattito di giovedi 10 aprile alle 18 dal titolo “Transizione energetico-tecnologica: intelligenza artificiale, sfruttamento e […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Estrattivismo e scambio ineguale

L’estrattivismo è un concetto proveniente dal Sud globale. Deriva dal termine portoghese “extrativismo”, che originariamente si riferiva alle attività commerciali che coinvolgevano i prodotti forestali esportati nelle metropoli capitaliste.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

L’intelligenza artificiale, lo Studio Ghibli e la natura del capitalismo

Sta generando molte polemiche il nuovo aggiornamento di ChatGpt che permette di creare immagini nello stile dello Studio Ghibli. A gettare benzina sul fuoco l’utilizzo spregiudicato che l’amministrazione Trump sta facendo di questo generatore di immagini per propagandare la sua campagna di deportazione degli immigrati. Sono molti i temi che apre questo aggiornamento: dal dibattito […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Conflitto sociale, repressione, media: ancora il caso Askatasuna

Richieste di risarcimenti stratosferici, interventi a gamba tesa di vertici giudiziari, aggressioni mediatiche a catena: la criminalizzazione del conflitto sociale si arricchisce di nuove pagine.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Marx nell’Antropocene

Un convegno a Venezia dall’approccio interdisciplinare invita a ripensare le possibili traiettorie di convergenza tra marxismo ed ecologia.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Islam politico e religione: reazione o possibilità emancipatrice? 

A gennaio 2025 a Torino è stata organizzata una auto-formazione con Said Bouamama, storico militante algerino che abita in Francia e con cui avevamo già avuto modo di confrontarci in passato. Le pagine che seguono sono la trascrizione (e traduzione) di una parte di quel momento e quindi restituiscono il flusso del discorso direttamente dalle sue parole.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Geopolitica e lotta di classe nella crisi di sistema

0. Si apre un tempo di incertezza, che non fa ancora epoca. Per conquistarne l’altezza, occorre rovesciare il punto di vista. E cogliere, nell’incertezza del tempo, il tempo delle opportunità. da Kamo Modena 1. «La fabbrica della guerra». Abbiamo voluto chiamare così un ciclo di incontri dedicati a guardare in faccia, da diverse angolature e […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Intervista esclusiva all’Accademia della Modernità Democratica e Foza Yusif, membro del comitato di co-presidenza del Partito di Unione Democratica (PYD)

Abbiamo avuto l’occasione di realizzare questa intervista all’Accademia della Modernità Democratica con al suo interno un contributo (citato tra virgolette) di Forza Yusif, membro del comitato di co-presidenza del PYD..

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Tecnotrumpismo. Dalla Groenlandia al caso DeepSeek

Trump è diventato il referente politico delle Big Tech e non è una congiuntura.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Contro le guerre, per una lotta comune -Incontro con Said Bouamama

Il 18 gennaio 2025 si è tenuto un incontro pubblico al Cecchi Point – organizzato dal collettivo Ujamaa, lo Spazio Popolare Neruda e Infoaut – con Said Bouamama, sociologo e storico militante antirazzista franco-algerino.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Riprendere la terra dalle macchine. Manifesto della cooperativa L’Atelier paysan

Da dieci anni la cooperativa l’Atelier Paysan, con sede nell’Isère, lavora per l’adozione diffusa di un’agroecologia contadina, con l’obiettivo di cambiare il modello agricolo e alimentare.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Territori in lotta. Capitalismo globale e giustizia ambientale nell’era della crisi climatica

Indipendentemente dal nome con cui le si chiamino, le proteste locali in difesa del territorio sono divenute a partire dagli anni Novanta un vero e proprio fenomeno sociale con cui sia policy-makers che studiosi hanno dovuto fare i conti.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Extinction Rebellion denuncia le Questure di Roma e Brescia: “perquisizioni degradanti e arbitrarie, sequestro di persona e violenza privata”

Riceviamo e pubblichiamo… Roma, 7 aprile 2025 – Denunciate le Questure di Roma e Brescia per “perquisizioni degradanti e arbitrarie, sequestro di persona e violenza privata”. In entrambe le città, sarebbero state imposte misure coercitive e umilianti contro manifestanti pacifici di Extinction Rebellion, in aperta violazione delle procedure previste dalla legge. “Mentre il governo approva […]

Immagine di copertina per il post
Sfruttamento

Gli “operai del nuovo millennio”: racconti dalla piazza

Durante il corteo del 28 Marzo abbiamo raccolto i contributi di alcuni giovani lavoratori di Dumarey, ex General motors, un’ azienda specializzata nella progettazione di sistemi di propulsione, che conta circa 700 dipendenti nello stabilimento torinese.

Immagine di copertina per il post
Sfruttamento

Tre morti sul lavoro in poche ore: “strage senza fine” o indifferenza senza vergogna?

C’è di più: dall’analisi di 800 infortuni mortali in 20 anni, è risultato che un terzo degli incidenti si sarebbe potuto evitare grazie all’intervento di un operatore di vigilanza e ispezione. In edilizia, almeno la metà.

Immagine di copertina per il post
Sfruttamento

Guerra e lavoro: interviste ai lavoratori dell’aereospace

Pubblichiamo due interviste raccolte all’esterno di due delle maggiori aziende del settore strategico dell’aereospace, dove i lavoratori metalmeccanici si sono raggruppati in presidio per il rinnovo del CCNL durante la giornata di sciopero del 15 Febbraio

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

La violenza colpisce la scienza: gli esperti sono minacciati per aver rivelato gli impatti sulla biodiversità

Messaggi intimidatori, attacchi fisici, avvertimenti. Secondo l’International Council on Science, gli scienziati ambientali latinoamericani sono sempre più minacciati. di Ana Cristina Alvarado, da ECOR Network “Stiamo assistendo a casi di persone che pubblicano informazioni scomode e, alla fine, si attaccano gli scienziati al fine di mettere a tacere il loro lavoro”, afferma Laura Furones, autrice […]

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Argentina: “Lo Stato Nazionale decide di non finanziare la lotta agli incendi”

Il fuoco devasta territori e vita nel Chubut, Río Negro e Neuquén. Di fronte alla scarsa azione del governo nazionale, abitanti locali, produttori e popoli originari indicano le cause: siccità prolungate e cambiamento climatico, monocolture di pini e mancanza di prevenzione. Un morto, centinaia di case distrutte e 23.000 ettari sono alcune delle conseguenze. Nel […]