Basta guerre sui nostri corpi. Tra violenza di genere e ristrutturazione della riproduzione sociale
Domani si terrà a Roma la manifestazione di NUDM contro la violenza maschile sulle donne e quella di genere. Una manifestazione che parte da un assunto chiaro, la guerra si ripercuote sui corpi delle donne e delle soggettività non normate con estrema violenza. Un filo rosso che apre a molteplici considerazioni.
La guerra, “questa” guerra, “queste guerre” sono un fatto totale. Inevitabilmente per quanto distanti possano sembrare ridefiniscono i rapporti sociali all’interno delle società. Se la guerra di oggi è anche pienamente un conflitto di dominio, questo conflitto si esprime internamente nel disciplinamento dei corpi, nelle revisioni degli immaginari, nei rapporti biopolitici all’interno ed all’esterno dei gruppi sociali.
L’azione di governo e gli scenari di guerra dunque risultano complementari nel loro attacco alle condizioni di vita e nel loro tentativo più o meno carsico di ridefinire gli assetti della riproduzione sociale.
Sono occasione e necessità per il dominio. Necessità perchè di fronte alla guerra l’intera società va in qualche modo rifunzionalizzata e i corpi delle donne sono al centro di questa rifunzionalizzazione. Lo vediamo tanto nel revival patriarcale e nel trittico “Dio, Patria e Famiglia” quanto nell’attacco senza quartiere agli istituti della riproduzione socializzata, come il welfare. Scarsi investimenti nella sanità, un’idea militare e disciplinante di formazione, la valorizzazione affermativa della famiglia tradizionale attraverso il bonus matrimonio a discapito del Reddito di Cittadinanza, che per quanto comunque familistico porta in sé un potere emancipatorio a cui si presta poca attenzione anche di fronte alla violenza di genere al’interno dei contesti familiari.
Oggi dunque la ristrutturazione in funzione dell’economia di guerra passa attraverso lo scarico sempre maggiore della riproduzione sociale nei confronti delle donne e quindi anche dalla necessità di rinsaldare la rigida spartizione dei ruoli di genere, ma allo stesso tempo la vediamo agire nella rappresentazione di un “femminismo guerresco”, dove i corpi di donna diventano veicoli di un’idea di emancipazione sciovinista e nazionalista.
Come femministe e transfemministe, che pace vogliamo? Come possiamo riappropriarci del suo potenziale trasformativo e rivoluzionario, facendo della pace un terreno di lotta politica che sia all’altezza della sfida e della posizione per noi inedita di internità alla guerra? Questa è una delle domande maturate nel Tavolo sulla guerra all’Assemblea di Reggio Emilia.
Una domanda centrale perchè se oggi il terreno della riproduzione sociale è quello da cui necessariamente prende le sue mosse il tentativo di ristrutturazione della vita associata per come la conosciamo, allo stesso tempo è qui che maturano le possibilità di conflitti, di rigidità e rifiuti che possono aspirare a costruire una pace giusta. E’ anche qui che il blocco, la diserzione, lo sciopero della guerra può trovare una propria strada.
Buona manifestazione!
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