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La Fedeli sulle famiglie povere e i pochi laureati, ma le riforme che direzione prendono?

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Pochi laureati: per la Fedeli la colpa è della famiglie povere, ma siamo sicuri?
Per lei il governo sta intervenendo efficacemente, ma è vero?

A Cernobbio si è tenuto il Forum Ambrosetti, che come ogni anno ha visto la presenza di politici, manager e banchieri. C’era anche Valeria Fedeli. La ministra ha colto l’occasione per parlare dei motivi dei pochi laureati nel nostro paese, con una frase che si commenta da sola: “Una delle cause maggiori è la provenienza delle famiglie, famiglie con basso reddito che quindi poco spingono per la formazione universitaria di alto livello“.
Subito dopo si è affrettata a citare uno degli ultimi interventi del governo, lo Student Act, contenuto nella legge di Stabilità. In particolare ha parlato della NoTax Area che prevede l’esenzione delle tasse universitarie per gli studenti e le studentesse con Isee inferiore ai 13.000 euro. E’ veramente pochissimo, se non nulla. Secondo la ministra il governo sta intervenendo nel modo giusto.
Mettiamo in fila qualche punto e qualche ragionamento per capire se sia effettivamente cosi.

1. Il valore Isee della NoTax Area è evidentemente troppo basso. E’ la dimostrazione ancora una volta dell’inadeguatezza del governo rispetto alle grandi problematiche determinate dal nuovo ricalcolo Isee. Da un anno all’altro, tra il 2014 e il 2015, le famiglie italiane si sono ritrovate con un Isee più alto senza che di fatto fosse cambiato niente nelle proprie vite. Il ricalco Isee ha rivisto i parametri, in particolare quelli sui patrimoni immobiliari, alzando indiscriminatamente i valori alla stragrande maggioranza dei nuclei familiari. Da un giorno all’altro tutti si sono ritrovati più ricchi. Questa cosa ovviamente ha comportato un aumento delle tasse universitarie, quando il buonsenso avrebbe semplicemente previsto di rivedere le fasce di contribuzione. Basta prendere i bilanci della più grande università del nostro paese, la Sapienza, e accorgersi che tra il 2014 e il 2015 gli introiti dovuti alle tasse universitarie, siano aumentati di quasi 8 milioni di euro (senza particolari cambiamenti sul numero di iscritti). Gli interventi del ministero e della amministrazioni si sono rivelati parziali e assolutamente insufficienti. Anche fissare la NoTax Area ad un valore così basso, rappresenta una volta di più, la non comprensione di come il nuovo Isee abbia agito in termini di esclusione dall’accesso agli studi.
2. La NoTax Area è inserita in un quadro di riforma che vuole dividire gli studenti tra meritevoli e non meritevoli. In pratica si accede alla NoTax Area solo se si fa parte della categoria degli studenti meritevoli, cioè conseguendo un certo numero di crediti, altrimenti si è eslcusi. Negli anni si è vista l’incapacità nel sostenere come queste tipologie di intervento siano state efficaci nel velocizzare ed incentivare il percorso di studi degli studenti. Pensiamo alle sovra-tasse per i fuoricorso. Queste manovre non hanno fatto altro che tagliare fuori dagli studi universitari moltissimi giovani, escludendo in particolare le fasce più deboli.
3. Il diritto allo studio è competenza quasi esclusiva delle Regioni. Questo determina anche il fatto che ci siano grosse differenziazioni sul tema tra diverse zone geografiche. In generale è diffuso in tutto il paese l’utilizzo di borse di studio per le fasce Isee più basse. Prendiamo per esempio la Regione Lazio che prevede borse di studio per coloro abbiano un Isee inferiore ai 23.000 euro. Chiunque sia idoneo (vincitore o meno) è completamente esentato dalle tasse universitarie. La NoTax Area di fatto è già esistente per una fetta di persone più larga di quella prevista dallo Student Act. In generale le Regioni prevedono per le borse soglie Isee più alte dei 13.000 euro.
4. Il mercato del lavoro italiano richiede poche competenze. Una delle maggiori cause, di quelle vere, dei pochi laureati è che per lavorare non servono particolari qualifiche, men che meno lauree quinquennali.
Il governo finge di non accorgersi di questo problema. La verità è che i ministri ne sono consapevoli e alcune riforme degli ultimi anni lo dimostrano. La “Buona Scuola” va proprio in questa direzione: l’alternanza scuola-lavoro sta lì a dimostrare come oggi sia importante abituarsi all’idea che il lavoro dequalificato è ciò che viene domandato dalle imprese in questo paese.

In questi giorni sono stati diffusi alcuni dati che indicano come la riforma del 3+2 in Italia non abbia raggiunto gli obiettivi prefissati. In sedici anni i laureati specializzati sono diminuiti da 143.858 a 130.277 (confronto tra i dati del 2000 e del 2016), mentre la durata media del percorso di studi è diminuiti di soli 6 mesi. Gli studenti continuano a finire la specializzazione dopo i 27 anni.
Questi dati dovrebbero far riflettere non solo sul fallimento delle riforme portate avanti negli ultimi decenni, ma soprattutto sulla retorica che il problema si trovi nella strutturazione di un sistema poco efficiente.
La verità è che hanno tagliato via, anche grazie a questa menzogna, tutti i fondi.
Servono soldi per garantire il diritto allo studio, servono soldi per i progetti di ricerca, servono soldi per permettere una carriera accedemica dignitosa a chi voglia intraprederla, servono soldi per gli scatti stipendiali dei docenti.
I soldi, però, non li vogliono tirare fuori e la prospettiva indicata è quella dello smantellamento e della ristrutturazione neoliberale dell’università: sempre più privata, aziendalizzata, escludente, succube dei profitti.

Nelle prossime settimane le università italiane dovranno confrontarsi con lo sciopero dei docenti. Qui già si vede una delle contraddizioni che il processo di trasformazione presenta.
La sfida starà nel guardare l’università non con un occhio corporativista, attento ai presunti interessi specifici, ma con la capacità di leggere questa trasformazione e saperla collocare su un piano di confronto collettivo e potenzialmente esplosivo. O si mette in discussione l’intero funzionamento dell’università o non se ne fa niente di uno sciopero, si riuscirà?

 

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