Europa, la solidarietà di facciata
Su questa bozza, prima ancora che siano divulgati tutti i contenuti, circolano già giudizi positivi, come quelli di Federica Mogherini, Alto Commissario U.E. agli Affari Esteri, che in queste stesse ore sta cercando di ottenere dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite un mandato per “interventi militari mirati in Libia” (proposta che è già stata bocciata dal Segretario generale Ban Ki-moon, dalla Russia e dal rappresentante alle Nazioni Unite del governo di Tobruk, che ha espresso la propria contrarietà all’operazione: «Non ci hanno mai consultati – ha detto – e non accetteremo mai militari stranieri nel nostro paese».
I media filogovernativi parlano di svolte eclatanti, addirittura di una “rivoluzione nel segno della solidarietà” (Repubblica) , ma si tratta sempre degli stessi punti sui quali l’Europa non riesce da anni a trovare una intesa: 1) Nessuna apertura dei corridoi umanitari, se non per cifre risibili, meno di diecimila persone per tutta l’Unione Europea; 2) nessuna prospettiva immediata di apertura di canali legali di ingresso per lavoro; 3) nessuna modifica del Regolamento Dublino III; 4) nessun serio impegno soprattutto per una effettiva armonizzazione delle politiche dell’asilo in Europa; 5) nessun accordo europeo per una missione internazionale di salvataggio in Mediterraneo che superi Frontex.
Che poi il piano italiano, fatto passare a stento a Bruxelles e rilanciato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, costituisca il superamento dell’ “egoismo” e possa costituire un “cambiamento di rotta” dell’Unione Europea, come auspicato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è tutto da vedere.
L’aspetto che più si sta pubblicizzando in queste ultime ore – oltre al mantra dell’intervento militare in Libia per distruggere le imbarcazioni degli scafisti – riguarda il fatto che ora, anche “in acque internazionali”, dovrebbe esserci l’obbligo per tutti i paesi di “accogliere migranti secondo delle quote prestabilite”. Quello che si tace, però è che all’interno di questa proposta, ,si collocano trasferimenti forzati di richiedenti asilo da un paese all’altro, con la probabile estensione dei centri di detenzione amministrativa e del prelievo violento delle impronte digitali. Non solo: per chi non ottiene il riconoscimento di uno status di protezione, le deportazioni verso i paesi di origine saranno più celeri grazie ai nuovi accordi di riammissione previsti cosiddetto Processo di Khartoum lanciato proprio dall’Italia lo scorso anno durante il semestre di presidenza europea.
Insomma: Nessuna modifica sostanziale delle politiche di morte praticate dall’Unione Europea, ma solo correttivi, sempre nella logica del contenimento e non dell’accoglienza. Nessuno si arrischia sui numeri ma, nelle bozze circolate nelle settimane precedenti, il numero dei migranti che si sarebbero potuti reinsediare in Europa o trasferire da un paese all’altro oscillava attorno ad alcune decine di migliaia di unità, meno di quante persone – non numeri – arrivano in tre mesi in Italia.
Secondo alcune fonti di stampa, nella bozza di risoluzione ci sarebbe anche – ma solo “nel medio periodo” – una sorta di “asilo politico europeo”, con il mutuo riconoscimento reciproco delle decisioni dei singoli Stati che stabiliscono lo status di rifugiato, mentre da subito sono previsti voli congiunti di rimpatrio verso i paesi di origine, per coloro che non vengono riconosciuti meritevoli di uno status di protezione, e operazioni anche “entro le acque interne libiche per l’arresto degli scafisti, il sequestro e la distruzione delle imbarcazioni” come è stato fatto con l’operazione Atalanta contro i pirati davanti alle coste somale. Il rischio maggiore a questo punto è che la Libia, di fronte a questo tipo di blocco navale, si possa trasformare davvero in un’altra Somalia.
Per ottenere la collaborazione dei paesi di origine nelle pratiche di riammissione forzata si punta ad aiuti economici “per contrastare la povertà”. Siamo sempre nell’ambito degli intenti enunciati nel Processo di Khartoum. Si proporrà poi di aiutare economicamente i paesi di transito – come Sudan, Egitto, Ciad e Niger – per aumentare i controlli alle frontiere “in modo da intercettare i camion dove i trafficanti stipano i migranti”. Gli aiuti ai paesi di transito dovrebbero servire a sgominare i trafficanti, salvare i migranti e accoglierli in campi gestiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Da qui dovrebbero essere rimpatriati o trasferiti in un paese dell’Unione Europea, se si giungesse a riconoscere loro il diritto alla protezione, che però, in quei paesi, non potrebbe che essere limitato ai pochi casi che rientrano nelle qualifiche di rifugiati vittima di persecuzione individuale fissate dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Di fatto si realizzerebbe una esternalizzazione delle domande di richiesta d’asilo in contesti dove diventa più difficile veder garantita l’osservanza delle norme internazionali.
Per la Mogherini in particolare «va risolto il problema della Libia: finché non si risolve il problema della guerra e l’assenza di istituzioni ci sarà un corridoio incontrollato. Dobbiamo quindi collaborare con i libici a un governo nazionale stabile che si prenda la responsabilità di controllare le frontiere, gli scafisti e sgominare le organizzazioni criminali». Le proposte di “interventi militari mirati” su territorio libico, sui quali la stessa Mogherini si sta impegnando a New York davanti al Consiglio di Sicurezza delle NU, non sembrano tuttavia andare nella direzione di favorire un dialogo tra le parti in conflitto, come dimostra la reazione del governo di Tobruk.
Divisi su tutto, il governo di Tripoli e quello di Bengasi sono d’accordo soltanto sulle deportazioni di migranti anche nei paesi di origine, e sappiamo cosa gli succederà dopo, dopo il rimpatrio in Eritrea, in Sudan, in Niger, in Somalia. Insomma i governanti libici delle opposte fazioni, corteggiati dall’Europa e dalle multinazionali, sono i migliori alleati dei trafficanti. Li riforniscono continuamente di persone da trattare e violentare. Le diverse fazioni libiche non sembrano particolarmente pronte a deporre le armi, e chi pure respinge l’ipotesi di un intervento militare a terra o nelle acque territoriali contro gli scafisti ed i trafficanti, come il generale Haftar, chiede soltanto altre armi per prevale sui rivali e garantire così il controllo del territorio e il blocco delle partenze verso l’Europa. Lo stesso stile della politica dell’ultimo Gheddafi nei confronti dell’Europa. E l’Unione Europea si appresta a commettere gli stessi errori commessi nel 2011, sempre in nome di grandi valori e di una coesione tra stati diversi che non esiste più, in realtà travolta dal riemergere degli egoismi nazionali e da una crisi economica che ne sta sancendo il declino definitivo.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo
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