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Le rivolte di Bari, Crotone e Mineo contro i campi di costrizione

A Bari in ventotto sono finiti agli arresti e portati nel carcere del capoluogo pugliese e in quello di massima sicurezza di Trani. Devono rispondere di accuse pesantissime: resistenza a pubblico ufficiale aggravata dall’uso di armi improprie, violenza privata nei confronti degli automobilisti bloccati, lesioni personali aggravate nei confronti di agenti e militari, blocco ferroviario. Don Angelo Cassano, parroco della chiesa di San Sabino a Bari, da sempre in prima fila nella difesa dei migranti e tra gli ideatori della rete antirazzista, in questi giorni è attivissimo. “Molti vivevano e lavoravano in Libia con un regolare permesso di soggiorno e con le loro famiglie – spiega il parroco – sono scappati a causa della guerra. Le commissioni di esame stanno funzionando a rilento,  la maggior parte delle richieste esaminate sono state respinte perché hanno considerato che potevano tornare nei loro paesi di provenienza una volta lasciata la Libia. Solo ai libici è stato concesso l’asilo”.

Il 3 agosto a Bari si è svolto un incontro tra la Regione e il sottosegretario Mantovano, previsto da tempo. All’ordine del giorno la rivolta dei migranti del Cara si è aggiunta alla criminalità e all’ordine pubblico. Mantovano ha annunciato che le commissioni verranno cambiate, ma del permesso umanitario, rivendicazione principale delle proteste, non se ne parla. Una mossa retorica secondo don Angelo, che sottolinea come serva “una volontà politica di considerare queste persone come profughi in fuga da una guerra alla quale l’Italia partecipa”. Migranti e antirazzisti hanno tenuto un presidio per tutta la giornata davanti alla Regione.

La situazione nei Cara è infatti peggiorata molto da gennaio a oggi. “Dopo la questione tunisina, le difficoltà sono sempre più numerose. Il governo ha creato un clima di continua emergenza”, spiega don Angelo. La stessa analisi è condivisa da chi lavora sul campo in Calabria, dove il 2 agosto un gruppo di nigeriani diniegati ha dato vita a un blocco stradale nei pressi del Cara di Isola Capo Rizzuto. “Il Piano nazionale di accoglienza messo a punto dalla Protezione civile prevede l’accoglienza dei richiedenti asilo nelle strutture alberghiere – spiega Enza Papa, dell’associazione La Kasbah di Cosenza – e ciò nonostante diversi sindaci, a cominciare da quello di Riace Domenico Lucano, si siano resi disponibili ad accoglierli. I comuni sono stati completamente scavalcati e il Sistema di protezione dei richiedenti asilo [Sprar] di fatto è in corso di smantellamento. Eppure in Calabria esiste una legge regionale, disegnata sul modello di accoglienza di Riace, ma viene completamente ignorata perché ormai tutto è in mano alla Protezione civile”.

I blocchi stradali di Mineo, Bari e Crotone sono l’ultimo sfogo di una protesta che va avanti da mesi. A Mineo, in Sicilia, la Rete antirazzista catanese ha appena lanciato una campagna nazionale per chiedere la chiusura del “Villaggio della solidarietà. Tra i circa duemila richiedenti asilo del Cara aperto a marzo l’esasperazione è arrivata al limite. I mediatori culturali sono pochissimi, non si hanno notizie sullo stato delle richieste e i tempi della commissione esaminatrice sono, anche qui, troppo lunghi.

Eppure, sottolinea in un comunicato la Rete antirazzista catanese, “è possibile attivare percorsi virtuosi di accoglienza e di reale inserimento sociale persino risparmiando: 20-23 euro al giorno per rifugiato a fronte del contributo oscillante dai 40 a 52 euro che il governo versa agli enti che gestiscono i Cara (a Mineo, fino al 30 luglio, la Croce rossa italiana, ente individuato dal governo senza l’indizione di un bando pubblico, nulla fa pensare che andrà meglio con la subentrante Protezione civile)”. Come si spiega, quindi, l’esistenza del Cara di Mineo? Per la Rete antirazzista catanese si tratta di un “modello di esclusione e di emarginazione che non ha motivo di esistere, se non per dipingere i richiedenti asilo, costretti a fuggire dai loro paesi, come un’emergenza nazionale tale da giustificare la militarizzazione del territorio e la gestione clientelare delle risorse”.

A Bari le proteste vanno avanti dal 20 giugno: i richiedenti asilo del Cara hanno dato vita a un’agenda fitta di manifestazioni e presidi per ottenere il permesso umanitario. “In questi mesi, in quanto reti antirazziste abbiamo chiesto una presa di posizione forte alla Regione Puglia e al presidente Nichi Vendola – spiega don Angelo Cassano –  non bisognava aspettare l’altro ieri per farlo. Anche il governo regionale e il comune di Bari sono responsabili della situazione. Ci troviamo di fronte a delle insolvenze. Si sta giocando una partita politica sulla pelle dei migranti”. E di questa partita, la Puglia, terra di confine dove si sovrappongono Cara, Cie, la tendopoli di Manduria e lo sciopero dei braccianti di Nardò, non poteva che essere l’epicentro.

“Nulla a che vedere però con una ‘cabina di regia’ – insorge don Angelo –  C’è da indignarsi dopo l’articolo di Repubblica pubblicato il 3 agosto”. Secondo Repubblica, “il sospetto degli investigatori è che dietro i migranti ci sia una cabina di regia. La stessa che ha dato vita ai disordini anche a Mineo e Crotone. Gli inquirenti infatti indagano su possibili infiltrati nella protesta che avrebbero organizzato la rivolta a livello nazionale”.  “È incredibile – prosegue don Angelo – non si vuole leggere la rabbia, l’esasperazione, proprio come a Rosarno. È miope insinuare questi sospetti e non vedere cosa sta succedendo”.

Noncuranti delle insinuazioni che si diffondono sulla stampa, migranti e reti antirazziste si stanno dando da fare. Nel pomeriggio di sabato 6 agosto ci sarà un’assemblea a Nardò. “Stiamo cercando di mettere insieme i diversi pezzi, per lanciare dalla Puglia un collegamento delle reti antirazziste in tutta Italia”. Anche in Calabria si è svolto un incontro dei sindaci ad Amantea per organizzare l’accoglienza. Un’emergenza di indignazione e solidarietà, che risponde alle emergenze inventate dal governo.

Sarah Di Nella per Carta

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