Voghera: il razzismo come strumento di governo della provincia
Come collettivo autonomo operante da anni in una città di piccole dimensioni e nel territorio della sua vasta provincia con percorsi sociali diversi, tra cui uno incentrato sul diritto all’abitare, sentiamo l’esigenza di condividere alcune riflessioni che abbiamo maturato nel corso degli ultimi mesi. Tempo fa l’omicidio, avvenuto a Voghera, di Younes El Boussettaoui da parte del locale assessore alla sicurezza Adriatici non ci era parso un fulmine a ciel sereno, ma un l’esito inarrestabile di dinamiche sociali che stavamo cercando, attraverso i percorsi di lotta, di analizzare.
Di Vogliamo Tutto Pavia
Sabato 22 ottobre, mentre il governo Meloni prestava giuramento tra le mani di Mattarella, a Pavia si svolgeva un presidio davanti al tribunale locale, che sfociava in un corteo spontaneo bloccato poco dopo dalla polizia, lanciato da Bahija El Boussettaoui, sorella di Younes, l’uomo ucciso nel luglio 2021 a colpi di pistola a Voghera dall’assessore comunale alla sicurezza, l’avvocato ed ex poliziotto, il leghista Massimo Adriatici.
Nel corso di oltre un anno sono emersi numerosi particolari sulla dinamica dell’omicidio: l’assessore avrebbe intenzionalmente seguito per diversi minuti Younes, per poi provocarlo ed infine freddarlo con proiettili modificati sparati dalla sua pistola dopo una breve colluttazione con la vittima. Le videocamere di sorveglianza installate dal comune erano in quei momenti disattivate, e ancora non si sa né perché né da chi. Adriatici, mentre Younes esalava gli ultimi respiri disteso sul marciapiede, si aggirava ancora armato sulla scena del delitto e avrebbe avuto il sangue freddo da istruire i presenti, possibili testimoni, in merito alla versione da fornire alle forze dell’ordine. Poco dopo veniva portato, non ammanettato e ancora armato, in commissariato da poliziotti suoi ex colleghi. La famiglia e i legali di Younes sono stati avvertiti del decesso con ritardo, solo ad autopsia già avvenuta.
Dopo questi fatti Adriatici non ha trascorso un solo giorno in carcere, ma è stato sottoposto per alcuni giorni agli arresti domiciliari, scontati, a quanto pare, in una casa al mare per motivi di sicurezza, legati al rischio di eventuali vendette. Successivamente l’assassino è tornato, da libero cittadino a vestire i panni di avvocato tra i corridoi di quel tribunale in cui giudici e PM avrebbero dovuto indagare ed esprimersi su di lui.
La scorsa settimana la procura di Pavia ha chiuso le indagini a carico di Adriatici, accusato allo stato attuale solo di eccesso colposo di legittima difesa.
In questi ultimi giorni i legali della famiglia El Boussettaoui hanno divulgato alcune novità rilevanti. Da tempo avevano richiesto di poter accedere ai dati contenuti nel telefono di Adriatici. L’istanza era stata rigettata dal GIP di Pavia, salvo poi essere accolta dalla Cassazione dopo un ricorso. Agli avvocati di Younes non è stato permesso dalla procura di estrarre copia della messaggistica, ma solo di prendere appunti su quanto archiviato nel cellulare. Ne emerge un quadro abbastanza singolare, con abituali scambi di messaggi tra Adriatici e figure apicali del tribunale: l’allora capo reggente della procura di Pavia, Mario Venditti, che già in passato aveva partecipato a un incontro elettorale della Lega a Legnano, e la giudice Garlaschelli, ex presidente della sezione penale del tribunale e sorella della sindaca leghista di Voghera, Paola Garlaschelli. Tanto basterebbe, secondo i legali della famiglia El Boussettauoi, per richiedere il trasferimento del fascicolo al tribunale di Milano, data la rete di rapporti tra l’imputato e l’ambiente preposto a giudicarlo.
Fino a qui la cronaca giudiziaria. Quel che ci preme in questa sede è tuttavia provare a inserire questi avvenimenti all’interno di un contesto sociale e politico complessivo. Quella giudiziaria, infatti, è solamente una delle forme di discriminazione in cui si manifesta il razzismo istituzionale. In base alla nostra esperienza di lotta nel campo sociale in tutta la provincia, inclusa Voghera, il razzismo, fattosi sistema, sembra essere la modalità di governo del territorio, ovvero lo strumento attraverso il quale gli amministratori locali dei vari comuni di questa provincia cercano di rendere digeribile al proletariato autoctono l’immiserimento progressivo che sta subendo.
Parliamo del fatto che ai proletari che vivono da queste parti ormai non resta altro se non la scelta tra disoccupazione e lavoro malpagato, che nella gran parte dei casi comporta pendolarismo tra luoghi in cui il trasporto pubblico è carente, le strade dissestate e la mobilità è assicurata solamente da auto alimentate a carburanti sempre più cari.
Allo stesso tempo, da anni in provincia si assiste allo smantellamento del welfare di prossimità, con la chiusura di scuole e ospedali, tagli ai trasporti, decadimento del patrimonio immobiliare pubblico e riduzione dei trasferimenti diretti o indiretti alle famiglie a integrazione dei redditi. Meno soldi e meno servizi, ma intanto il territorio viene devastato: da opere nocive e portatrici di morte come gli inceneritori, dalle raffinerie, dai poli logistici, con il loro portato di traffico pesante, dagli spandimenti di fanghi nei campi e da roghi di rifiuti in fabbriche abbandonate.
In compenso, impera l’affarismo, con traffici illegali, mazzette, oneri di urbanizzazione e altro, che sempre vedono in qualche modo coinvolto il ceto politico degli amministratori locali, essendo queste scelte sempre demandate al sistema dei partiti, che su queste materie hanno ancora un rilevante potere. Poco importa destra o sinistra, verdi, rossi o neri, le decisioni vanno sempre e solo in un’unica direzione, quella del profitto a scapito delle vite delle persone.
Per trasformare questi territori da potenziali luoghi di rifiuto delle condizioni di vita imposte in placidi e sonnolenti paesoni dove fare affari sulla pelle dei più, si rende necessario dirottare il malessere e il malcontento verso un nemico, per poter poi passare all’incasso elettorale e continuare con il business as usual. Così, attraverso il razzismo istituzionale, la provincia padana diventa il serbatoio di voti per l’opzione politica populista razzista bipartisan, non esistendo una reale opposizione istituzionale a questa forma di governo.
Prendiamo l’esempio di Voghera. Qui esiste un regime di segregazione della pur demograficamente rilevante popolazione immigrata, a cui sono riservate forme di occupazione ad alta intensità di sfruttamento nella logistica, nell’agricoltura, nelle fabbrichette disseminate e nell’economia informale e sommersa. Agli immigrati è riservato un mercato della casa separato, fatto di abitazioni insalubri. A loro da alcuni anni viene riservato un apposito trattamento di repressione della socialità, fondato sulla retorica del decoro, che li ha circoscritti in alcune zone della città, dove sono in vigore bizzarre ordinanze comunali per la sicurezza, tra cui una che prescrive il divieto di vendita di birra fredda da asporto, firmata proprio da Adriatici.
In questo quadro si sedimenta ulteriore esclusione di soggetti già marginalizzati. In questa oppressione il proletariato autoctono vede ancora garantita l’unica certezza che gli rimane in un contesto di costante erosione della qualità della propria vita derivante dalle scelte classiste operate ai vari livelli di governo: il privilegio bianco. In questa dinamica di oppressione risulta paradigmatico un altro episodio in cui, come nel caso di Younes, la legge del privilegio si è sostituita, o sovrapposta, alla legge dello stato. Se serve, insomma, la legge viene ignorata e poi manipolata dall’interno, a vantaggio del più forte. Ci riferiamo a quanto occorso sotto il natale 2021, quando un proprietario di casa, un carabiniere, ha potuto cacciare di casa la propria inquilina di origine marocchina per alcune mensilità arretrate, senza passare dalle normali procedure legali dello sfratto e in barba al contratto stipulato e alla legge, senza che le istituzioni siano minimamente intervenute né per sanzionare questo comportamento né per farsi carico di una famiglia in mezzo a una strada. La “giustizia” è fai da te, a Voghera, se hai il potere dalla tua parte. In questo contesto il ruolo che giocano la società civile locale, la sinistra e l’associazionismo cattolico è quello di voltarsi dall’altra parte oppure di mettere qualche pannicello caldo per spegnere il conflitto.
In questo intreccio di razzismo istituzionale, ghettizzazione degli immigrati, degrado umano e giustizia sommaria non esistono né anticorpi a livello sociale né un’opposizione politica. All’indomani del barbaro assassinio di Younes c’è stata una risposta, di massa, in cui il proletariato immigrato di Voghera, e non solo, ha invaso la città, raccogliendo l’appello dei familiari. La situazione è stata però ben presto normalizzata con minacce, inseguimenti e una nuova caccia all’immigrato, istituzionale ma sottotraccia, messa in campo appositamente per spegnere il piccolo focolaio che rischiava di incendiare la prateria. Cosa è rimasto? Solamente un paio di personaggi, outsider della politica locale, che da posizioni di destra hanno provato a denunciare l’intreccio tra affarismo, razzismo e potere che domina Voghera, venendo osteggiati tanto dalla giunta comunale di destra quanto dalle forze di opposizione locali, a causa di metodi politicamente scorretti. Costoro sono stati oggetto di una pioggia di denunce che ha portato al loro arresto e a un foglio di via. Nel presidio di sabato 22 ottobre, Bahija denunciava questo insieme di azioni messe in campo dalle forze dell’ordine sia verso gli outsider sia verso gli immigrati per farli desistere dal portare la loro solidarietà alla causa di Younes.
In questo contesto è facile capire come la vita di Younes valga meno di un proiettile dum dum, più difficile è capire che le vite nere valgono non solo nelle lontane e sfavillanti New York o Parigi, ma anche nelle squallide cittadine della profonda provincia padana, dove il movimento antirazzista è chiamato a confrontarsi nei prossimi mesi e anni su un piano concreto di lotta e a dotarsi di strumenti propri di analisi e di militanza, che non necessariamente debbano ricalcare quelli prodotti oltreoceano, ma che siano utili qui ed ora per attaccare il sistema di sfruttamento, discriminazione e segregazione che dispone delle vite nere per garantire il proprio profitto e delle morti nere per mantenere l’ordine sociale e il privilegio.
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