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Il settore manufatturiero italiano è in recessione: le fabbriche iniziano a licenziare

Le fabbriche italiane hanno cominciato a licenziare i propri dipendenti a causa della recessione manifatturiera in corso cominciata dalla metà dello scorso anno. Secondo i dati di S&P Global, il Purchasing Managers Index (PMI) relativo al settore manifatturiero è sceso al livello di 45.4 nel mese di agosto, ben inferiore, dunque, al livello 50, al di sotto del quale inizia la contrazione: è quanto riporta l’autorevole media statunitense Bloomberg.

di Giorgia Audiello, da L’Indipendente

Si tratta di uno dei fattori che ha contribuito alla contrazione complessiva del PIL nel secondo trimestre del 2023 con un calo dello 0,4%, invece che dello 0,3% come inizialmente era stato stimato. Una serie di elementi ha influito sul rallentamento economico, tra cui l’aumento dei tassi d’interesse varato dalla Banca centrale europea (BCE) e le congiunture economiche e geopolitiche internazionali. Tutte queste componenti hanno determinato una contrazione della domanda sia interna che estera. Tariq Kamal Chaudhry, economista della Banca Commerciale di Amburgo, ha detto che «la recessione manifatturiera iniziata a metà dello scorso anno continua a protrarsi. […] Ancora una volta, gli ordini complessivi hanno iniziato a contrarsi, soprattutto a causa della domanda estera».

La flessione del Pil è stata determinata soprattutto dalla domanda interna che ha sottratto all’economia italiana 0,7 punti percentuali, mentre quella estera ha fornito un contributo nullo. Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in diminuzione, con un calo dello 0,3% dei consumi finali nazionali e dell’1,8% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono anch’esse diminuite, entrambe in misura pari allo 0,4%, secondo i dati forniti dall’Istat. Si tratta di un contesto che renderà più complicato per il governo in carica trovare le coperture necessarie per varare la nuova legge di bilancio, anche perché anche sul fronte dell’occupazione si segnalano dati negativi per la prima volta dallo scorso novembre: si contano infatti 73.000 occupati in meno. Sempre S&P Global, in una nota ha sottolineato che «diversi relatori hanno segnalato la mancata sostituzione dei lavoratori in uscita nei loro stabilimenti».

Il rallentamento economico italiano si inserisce in un contesto internazionale sfavorevole con la maggiore economia europea, quella tedesca, in recessione tecnica anche a causa dei contraccolpi che Berlino ha subito in seguito ai tagli del gas russo con cui alimentava la maggior parte delle sue industrie. Un fattore che non può non ripercuotersi con un effetto a catena su tutte le altre economie del continente. A complicare la situazione il forte aumento dei tassi d’interesse che ha fatto contrarre la domanda interna. L’unica componente positiva dell’economia sono i servizi, trainati dal turismo, ma l’industria è debole e le costruzioni sono in calo, come segnalato anche da Confindustria. Proprio il calo delle costruzioni ha contribuito a rallentare la produzione manifatturiera, considerato che il 30% di beni manifatturieri è destinato all’edilizia.

Le costruzioni non stanno più trainando l’industria: l’attività nel settore ha registrato il secondo calo consecutivo a maggio (-0,7%), con un -4,3% da inizio anno e a giugno c’è stato un altro forte calo del fatturato. Tra le cause vanno annoverate la riduzione del superbonus dal 110 al 90%, disposta a gennaio dal governo Meloni con la legge di Bilancio 2023, insieme alla decisione di bloccare la libera circolazione dei crediti fiscali legati agli incentivi per l’efficientamento e alla debolezza degli investimenti pubblici sui quali il PNRR non ha ancora avuto un impatto significativo. Tra aprile e giugno i consumi privati hanno retto nonostante l’inflazione, ma a crollare sono stati gli investimenti con un calo da 23,7 a 22,9 miliardi (-3,4%) per quelli in abitazioni e da 22,8 a 21,9 (-3,8%) per fabbricati non residenziali e altre opere infrastrutturali.

L’Italia risente parecchio del rallentamento economico tedesco: Berlino ha subito un calo soprattutto nei settori più energivori e nel settore manifatturiero che rappresenta il 22% del Pil del Paese. Secondo Confindustria, «le nostre imprese sono fornitrici di varie industrie tedesche, specie nell’automotive e soprattutto di beni intermedi; quando l’industria tedesca frena, si ha un impatto negativo sulla produzione italiana, ma la sua tenuta nel 2023 dovrebbe evitare impulsi negativi ulteriori. Tuttavia, la debolezza tedesca nei consumi potrebbe frenare il PIL italiano, colpendo sia il nostro export di beni finali, sia il turismo di tedeschi in Italia, che genera per noi un forte export di servizi».

A fronte della debolezza economica del Vecchio continente, nel secondo trimestre il PIL degli USA è aumentato dello 0,6% grazie al buon andamento dei consumi, pubblici e privati, e degli investimenti. Un dato che conferma come la crisi ucraina abbia colpito più le economie del Vecchio continente – che intrattenevano notevoli scambi commerciali con la Russia – che non quella d’oltreoceano. Tanto che il ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti, al forum di Cernobbio ha affermato che la guerra in Ucraina «ha già un perdente certo: l’equilibrio economico europeo». Una doccia fredda è arrivata anche da parte dell’economista premio Nobel Joseph Stiglitz che, in un’intervista rilasciata al Tg3 in occasione del Forum Ambrosetti di Cernobbio, ha spiegato che «il rialzo del tassi deciso dalla Bce, le difficoltà della Cina e l’indebolimento dell’economia tedesca sono tutti fattori che hanno un impatto sull’Italia. Rischiate quello che si chiama un brusco atterraggio, un atterraggio difficile», ha affermato, concludendo di non escludere il rischio di recessione.

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