I fatti di Renzino
Quelli che sono passati alla storia come “I fatti di Renzino” rappresentano i germogli della Resistenza in Valdichiana. L’atto da cui, venti anni più tardi, giovani e giovanissimi di questa valle decisero di lottare per la libertà . La rivolta del 17 aprile 1921 fu un atto di ribellione contro le violenze del nascente fascismo, che dal Nord Italia stava dilagando per tutta la penisola.
L’ambiente sociale in Valdichiana si rivelò, fin dai primi mesi successivi alla fine della Grande Guerra, decisamente fertile per quelle nuove ideologie che, sull’eco assordante della Rivoluzione d’Ottobre, stavano investendo il continente europeo. La maggioranza schiacciante di braccianti e contadini fra la popolazione, permise al Partito socialista di Turati di mettere solide radici in tutta la vallata chianina. In particolare, nel paese di Foiano della Chiana.
Dopo la scissione di Livorno, dalla quale nacque il Partito comunista d’Italia, sindaco e giunta comunale aderirono alla nuova organizzazione politica, pur mantenendo una sincera collaborazione con il Partito socialista. Fu questo di Foiano della Chiana, uno dei primissimi casi in cui il Pcd’I ottenne la maggioranza in una giunta. Fondatore della sezione comunista del paese fu Galliano Gervasi, giovane falegname, definito poi nelle carte di polizia della prefettura fascista di Arezzo “Convinto ed accanito capeggiatore degli elementi più estremisti del suo paese”.
Ma nello stesso periodo, un altro partito stava nascendo, spinto dall’appoggio della classe dirigente e dai proprietari italiani: il Partito nazionale fascista. In breve tempo questo manipolo di violenti venne sguinzagliato contro le leghe e i sindacati di tutta la penisola, portando con sé distruzione e morte. Divenuti “padroni” di Arezzo, i fascisti mal sopportavano la zona più rossa della provincia: la Valdichiana e in particolare Foiano, con sindaco e assessori comunisti. La mattina del 12 aprile del 1921, dopo che il sindaco e la giunta rifiutarono le minacciose e illegali dimissioni imposte dal marchese Perrone Compagni di Firenze, 150 fascisti, scortati dal regio esercito, invasero le strade di Foiano.
Vennero devastate la sezione socialista, la Camera del lavoro, la sede della Cooperativa badilanti e terrazzieri e i locali del Comune. Sfortunati passanti vennero bastonati e percossi, i genitori del sindaco e quelli di Gervasi furono minacciati. Durante tutta l’incursione le forze dell’ordine mantennero un atteggiamento accondiscendente nei confronti degli squadristi. Così, fra venerdì 15 e sabato 16 aprile, dopo le violenze e le distruzioni di pochi giorni prima, per tutelare l’incolumità dei cittadini si dimisero sindaco e giunta.
La domenica, alle cinque del mattino, partirono dal capoluogo alla volta di Foiano due camion di fascisti con 22 camicie nere armate. I fucili che avevano come equipaggiamento, furono messi a disposizione e concessi in prestito dai depositi del Regio esercito di Firenze, Arezzo, Siena e Perugia. Le camicie nere misero nuovamente a soqquadro il municipio, fecero irruzione nelle abitazioni minacciando di morte e malmenando i socialisti e i comunisti che vennero sorpresi nei loro letti. Stessa sorte toccò, ancora una volta, agli anziani genitori del Gervasi.
Nel pomeriggio a uno dei due camion fascisti di ritorno verso Arezzo, venne tesa un’imboscata da un gruppo di ribelli foianesi lungo la strada di Renzino, un piccolo borgo a due chilometri da Foiano. Colte alla sprovvista furono uccise tre camicie nere e molte altre vennero ferite.
La reazione nera non si fece attendere. La sera stessa del 17 aprile Renzino pareva tutto un incendio: moltissime case e fattorie vennero bruciate. Donne, madri e contadini furono uccisi sommariamente sulla porta di casa, davanti ai figli e alle figlie. Molti padri vennero trascinati lungo i fossi e freddati con un colpo alla testa.
Arrivarono squadre di fascisti da tutta la Toscana e perfino da Roma. Il giorno successivo, nella piazza centrale di Foiano, venne istituito un “tribunale fascista” e un numero mai precisato di abitanti della zona venne giustiziato con un colpo di fucile alla testa. Nelle settimane successive processi farsa e confini vennero imposti agli organizzatori dei “fatti di Renzino”.l
Le radici dell’opposizione al regime mussoliniano vanno cercate all’interno dell’ampio quadro dell’antifascismo e non limitatamente al fenomeno della Resistenza, che fu invece peculiare del biennio conclusivo della Seconda guerra mondiale. Il movimento resistenziale fu l’ultima fase di questo processo iniziato appena le squadre fasciste si mossero per reprimere con la violenza le forze politiche di sinistra.
Questa ribellione spontanea nei confronti del regime venne sedata tramite massacri e arresti. Fu così che lo spirito ribelle foianese subì un bruttissimo colpo di arresto durante i 10 e più anni in cui le menti organizzatrici dei fatti vennero mandate al confino. Dopo la caduta del regime fascista però, tutti i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri poterono tornare ai loro paesi d’origine. Ogni rivoluzione necessita di una guida e aveva bisogno proprio di questi uomini, preparati politicamente nel sostenere la popolazione indifesa, carichi di esperienza per organizzare la lotta contro il fascismo. E fu proprio grazie a questi primi antifascisti che da Foiano si organizzò la più famosa banda partigiana della provincia di Arezzo: la Teppa del comandante Licio Nencetti, di diciassette anni.
Guarda “”Nella notte ci guidano le stelle” – Nian per i Fatti di Renzino“:
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