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Amadeo Bordiga e gli scioperi del ’22

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La conferenza del compagno Bordiga (Il Lavoratore, 2 settembre 1922)

Durante l’agitazione dei metallurgici noi abbiamo proposto l’allargamento del movimento. Al Consiglio Nazionale confederale di Genova la nostra proposta di allargamento dello sciopero metallurgico è stata respinta dalla maggioranza socialista di tutte le tendenze, meno la tendenza terzinternazionalista. Dopo i fatti di Novara abbiamo ripetuto la nostra proposta. Invece gli emissari confederali si sono recati nelle province in sciopero per ordinare la ripresa del lavoro. Altrettanto abbiamo fatto durante lo sciopero delle province di Forlì e di Ravenna, ma con uguale risultato.

 

L’attuazione dello sciopero

Era insomma la politica della tendenza di destra che dominava l’Alleanza del Lavoro. La quale tendenza credette giunto il momento il proprio momento quando cadde il Ministero Facta.

Allora, sempre segretamente, si è cominciata ventilare l’idea dello sciopero generale non per alzare la bandiera della riscossa, ma per speculare sulla spinta offensiva delle masse e sulla lealtà del Partito comunista per dire alla borghesia: Volete che noi facciamo rientrare le masse lavoro? Ebbene firmate un patto con noi in modo che alcuni parlamentari socialisti facciano parte del nuovo Gabinetto d’affari della borghesia. Ecco come è stato proclamato lo sciopero generale.

Ventiquattr’ore prima noi abbiamo detto ai dirigenti dell’Alleanza del Lavoro: “Lanciate un manifesto ai lavoratori e spiegate che la vostra ostilità contro lo sciopero generale è caduta invitando le masse alla battaglia per la loro difesa di classe. Dite agli operai che si preparino”.

I dirigenti si sono rifiutati dicendo che si avevano diramato ordini segreti per la simultanea proclamazione dello sciopero.

Ora io debbo dirvi che in molti posti i dirigenti riformisti si sono rifiutati di credere che i loro stessi compagni avessero proclamato lo sciopero generale e si sono trincerati dietro pretesto della attesa di ordini. Invano i comunisti si sono offerti: in molte località è così passato il primo ed il secondo giorno. Lo schieramento operaio si generalizzava a poco a poco e già si manifestava il proposito del sabotaggio da parte dei dirigenti perché la soluzione della crisi parlamentare era diversa.

 

La cessazione del movimento

Creatasi dunque tale situazione i capi riformisti non avevano più ragione di persistere nello sciopero e terrorizzati dall’”ultimatum” fascista, essi proclamarono la cessazione dello sciopero sei ore dopo che l’”ultimatum” era stato lanciato, e mentre le squadre fasciste erano già in marcia.

Ora queste squadre erano prima esitanti, perché lo sciopero generale le teneva impegnate nei vari posti. Ma quando lo sciopero cessò, esse riacquistarono libertà di azione, scelsero sette od otto località, ivi si sono concentrate ed hanno battuto il proletariato, malgrado la eroica difesa di quest’ultimo.

Il tradimento e il disfattismo dei dirigenti riformisti hanno quindi raggiunto il colmo nella chiusura dello sciopero.

 

Qual è stato il contegno del Partito comunista?

Noi abbiamo fatto il nostro dovere fin dall’inizio della campagna nostra per lo sciopero generale, noi abbiamo sempre messo in guardia i capi sulla necessità della precisione degli obiettivi e soprattutto sulla preparazione e sull’organizzazione materiale del movimento, ma proclamato lo sciopero noi abbiamo saputo dimostrare che il Partito comunista è là dove si agisce e ci siamo imposti la disciplina durante tutta la durata dello sciopero.

 

Il disfattismo e il tradimento

Che cosa che avvenuto? Il Comitato Centrale del Sindacato Ferrovieri, composto in maggioranza di dannunziani, ha deliberato di spezzare il fronte unico operaio staccandosi dall’Alleanza del Lavoro. L’Unione Italiana del Lavoro, con un manifesto pieno di luoghi comuni e di frasi generiche, il quale conclude inneggiando alla repubblica dei Sindacati, che non si sa che cosa sia, ha deliberato anche essa distaccarsi dalla Alleanza del Lavoro. Ora è bene ricordare che i capi dell’Unione Italiana del Lavoro sono quelli stessi che mentre nel periodo pacifico dello sviluppo proletario, fino al 1914, si erano proclamati sindacalisti rivoluzionari; scoppiata la guerra, sono passati all’altra riva ed hanno aderito alla politica di guerra della classe borghese. Finita la guerra essi sono rientrati nel campo di lotta del proletariato ed ora, in mezzo alla bufera, spezzano ancora una volta il fronte unico operaio, rafforzando così la reazione.

Mentre rendiamo il dovuto onore agli operai sindacalisti che si sono splendidamente battuti nelle vie di Parma ed a quelli avanguardisti repubblicani che, malgrado la viltà dei loro capi, si sono battuti a fianco degli operai comunisti a Forlì ed a Ravenna, dobbiamo pur rilevare che buona parte di responsabilità del distacco dell’Unione Italiana del Lavoro dall’Alleanza, spetta ai capi del Partito repubblicano.

Ancora: All’indomani della chiusura dello sciopero generale i dirigenti confederali fanno sapere che essi romperanno il patto d’alleanza con il Partito socialista. Ora noi non ci preoccupiamo di quel gran punto interrogativo che è il Partito socialista, ma sappiamo che tale decisione dei capi confederali è determinata dalla volontà di svuotare l’organizzazione confederale di ogni contenuto rivoluzionario, cedendo alle imposizione della reazione.

Già nei manifesti e sulla stampa dei riformisti non leggiamo fra le righe il proposito di far entrare l’organizzazione di classe nella completa legalità borghese, avvicinandola al tipo delle corporazioni nazionali.

 

I propositi del partito comunista

Di fronte a tali fatti noi ripetiamo con più insistenza la parola d’ordine del fronte unico e diciamo tutti gli operai, a tutti i lavoratori onesti che non vogliono piegarsi, che vogliono lottare: Noi non vi domandiamo la tessera del nostro partito. Ma se voi siete convinti che non c’è salvezza all’infuori della lotta e che il piegarsi alla borghesia è tradimento e complicità con i nemici di classe, unitevi a noi! Noi siamo convinti che i ferrovieri sconfesseranno la deliberazione dei riformisti e dei dannunziana del Comitato Centrale del Sindacato. Noi rimaniamo ostinatamente per l’Alleanza del Lavoro e chiediamo che siano mutate le rappresentanze negli organi locali e centrali dell’Alleanza nel senso che rispondano agli effettivi sentimenti delle masse organizzate in modo che siano rappresentate tutte le tendenze politiche in proporzione alle loro forze. Non è possibile che i riformisti abbiano la maggioranza nel Comitato Centrale quando a Genova la tendenza riformista è risultata in minoranza di fronte a tutte le altre tendenze sindacali confederali riunite.

Nel manifesto obbrobrioso lanciato dai riformisti è detto che questi sono per la lotta di classe, non per la guerra di classe. Le rivoltelle fasciste ci dimostrano che non vi è lotta di classe che non sia guerra di classe.

Noi siamo per l’organizzazione rossa, noi siamo per la guerra civile rossa contro la guerra civile nera. Noi ci batteremo fino all’ultimo per la lotta e per la riscossa del proletariato.

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