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2013-2020: Clement Meric vive!

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Sette anni fa Clement Meric, militante antifascista parigino di soli 18 anni, veniva assassinato da un gruppo di fasci. In occasione della ricorrenza, abbiamo tradotto il testo dei compagni di Action Antifasciste Paris-Banlieue (AFAPB) che ritorna sulla figura di Clement e sulla necessità dell’antifascismo al giorno d’oggi in Francia e non solo. La scorsa notte intanto il Saint-Sauveur, bar frequentato da compagni e compagne a Menilmontant, è stato attaccato da fascisti con mazze e spray lacrimogeni, ma l’attacco è stato immeditamente respinto dalla popolazione del quartiere. In calce al testo il video dell’azione di questa notte a Bologna in memoria di Clement.

 

Venerdì 5 giugno, come ogni anno, l’Action Antifasciste Paris-Banlieue vuole rendere omaggio a Clément Méric, assassinato sette anni fa. Siamo orgogliosi di aver avuto Clément come compagno. Ricordare l’attualità delle sue lotte, nelle strade ed altrove, è per noi un modo per continuare a ricordarlo.

Nel 2012 si era appena trasferito a Parigi per studiare a Scienze Politiche. Lì si è unito a Solidaires étudiants ed è diventato un militante in università. Da militante antifascista nella sua città natale, Brest, si è poi avvicinato alla scena antifascista parigina, dove ha incontrato l’AFA, la nostra organizzazione, di cui fanno parte militanti rivoluzionari, giovani sindacalisti e ultras della curva Auteuil del Paris Saint-Germain, con cui Clément ha stretto rapidamente amicizia. Per quasi un anno ha militato al nostro fianco, a Parigi e nelle periferie della città, per non lasciare le strade all’estrema destra, a fianco dei migranti braccati e cacciati dalle forze dell’ordine, con i collettivi dei quartieri popolari che si organizzano per chiedere verità e giustizia per tutti i giovani ammazzati dalla polizia, e contro ogni forma di oppressione e discriminazione.

La nostra lotta comune lo ha portato a quel giorno del 5 giugno 2013, a sei anni fa, quando Clément ha incrociato alcuni skinheads neonazisti che indossavano magliette con simboli nazisti e slogan razzisti. Erano membri del piccolo gruppo Third Way, guidato da Serge Ayoub, spesso e volentieri immischiato in casi di omicidi razzisti e di attacchi a militanti antifascisti. Quel giorno Clément fu riconosciuto come militante antifascista ed è per questo che fu preso di mira, preso a pugni in faccia con il tirapugni e lasciato a terra privo di sensi. Clément è morto perché si è rifiutato di abbassare gli occhi.

Dopo la sua morte, abbiamo dovuto far fronte a un’ondata di menzogne. Prima di tutto da parte dell’estrema destra, che ha riportato le versioni degli imputati e ha cercato di far passare Clément per l’aggressore nell’agguato. Poi da parte dei media di destra, che hanno cercato di depoliticizzare la morte di Clément relegandola ad una semplice rissa tra bande andata male. Da parte loro, la stampa e i politici di sinistra hanno cercato invece di recuperare l’immagine di Clément, di farne la vittima di un nemico comune e la figura dell’antifascista al servizio della République, in lotta contro un razzismo essenzialmente morale, incarnato soltanto dall’estrema destra e dal Front National. La stampa ha così creato un’immagine borghese che si distanzia dalla realtà sociale del nostro gruppo. Vogliamo insistere sul tentativo di recuperare questo evento, perché questo è stato seguito da una demonizzazione della figura dell’ “antifa”. Lo abbiamo visto nel 2014 quando abbiamo partecipato alle manifestazioni vietate pro Gaza e contro l’imperialismo. Lo è stato ancora quando abbiamo combattuto contro la violenza della polizia a fianco delle famiglie delle vittime e degli abitanti dei quartieri popolari e quando abbiamo combattuto contro il razzismo di Stato, o contro il prolungamento dello stato di emergenza, che in particolare ha portato una nuova ondata islamofobica. Poi nel 2016, durante il movimento contro la Loi travail, quando la nostra organizzazione si è ritrovata di nuovo al centro dell’attenzione mediatica e politica, per la sua presenza nel “cortège de tête” (la testa del corteo, la parte più offensiva ndt), dove abbiamo partecipato dando impulso alle dinamiche di autodifesa di fronte ai ripetuti attacchi della polizia.

Durante la famosa vicenda del Quai de Valmy, in seguito all’incendio di un’auto della polizia, una montatura poliziesca ha portato all’arresto e poi alla condanna di militanti antifascisti. Tra questi c’era Antonin Bernanos, condannato a cinque anni di carcere, sulla base di una testimonianza anonima di un membro dei servizi segreti della polizia di Parigi. Antifa al servizio della sinistra e mobilitati contro il razzismo e le disuguaglianze tre anni prima, eravamo diventati una nuova minaccia per la sicurezza dello Stato, il nuovo nemico interno, presentati, secondo categorie dettate politicamente dall’apparato poliziesco, come dei “casseurs”, dei “black blocks” o degli “estremisti di sinistra”. Da Clément Méric ad Antonin Bernanos, la posta in gioco era infatti la criminalizzazione delle pratiche sovversive di un’organizzazione politica rivoluzionaria, risolutamente impossibile da recuperare, di cui Clément era fieramente uno dei militanti.

Ad oggi, l’assassino di Clément è libero e Antonin è agli arresti domiciliari lontano da Parigi, dopo essere stato incarcerato preventivamente per 6 mesi. Se subisce questo accanimento giudiziario, è perché Antonin è accusato di non aver lasciato le strade in mano ai fascisti che, dopo essere stati cacciati, hanno sporto denuncia. Ma dobbiamo prendere quello che è successo ad Antonin per quello che è: la vendetta dello Stato contro uno dei tanti e delle tante che unit* hanno contribuito attivamente a rendere impossibile la presenza dei fasci all’interno del movimento Gilets jaunes. Lui ed gli/le altr* che, nonostante la repressione, rifiutano di abbassare la testa contestando la legittimità del potere. Antonin è stato mandato in prigione per abbattere il desiderio di protesta sociale e politica. Per stremare, mediante la repressione, chi da novembre sta lottando. Per cercare di sciogliere le alleanze che si stanno formando e rompere così il movimento. Questo è ciò che è attualmente in gioco con le migliaia di condanne che arrivano a dirotto e le decine di mutilazioni. Questa è la posta in gioco quando i militanti antifascisti, che non hanno mai smesso di scendere in strada e di lottare quotidianamente al fianco dei Gilets jaunes, sono presi di mira dallo Stato.

Sette anni dopo la morte di Clément, le bande fasciste sono ancora attive. Il Rassemblement National (ex Front National, ndt) non è ancora al potere, ma una grossa parte del suo programma è stata ripresa dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Lo Stato non ha mai smesso di perseguitare, mediante leggi scellerate, i proletari originari dell’immigrazione post-coloniale. L’islamofobia è diventata l’ideologia ufficiale. Le principali prerogative dello stato d’eccezione sono state inserite nel diritto comune, conferendo all’apparato poliziesco poteri esorbitanti. I quartieri popolari subiscono oggi una repressione brutale e costante da parte della polizia che provoca ogni anno la morte di circa 15 giovani neri e arabi. La situazione creata dall’emergenza sanitaria ne è stata una tragica dimostrazione. Durante l’ultimo periodo abbiamo visto un allargamento di questa logica repressiva che, attraverso la militarizzazione delle piazze, ha colpito il movimento sindacale e le mobilitazioni sociali, il movimento dei Gilets jaunes e quello contro la Riforma delle pensioni. In altre parole, contro chiunque – chiunque si ribelli contro lo stato di cose presenti, contro la precarietà, contro la distruzione di ogni possibile forma di comunità.

È in questo contesto di fascistizzazione della nostra società che dobbiamo considerare le nuove aggressioni dei gruppi di estrema destra, ovunque in Europa, e in particolare in Francia. Che i loro membri non vengano mai sfiorati dalle autorità non deve sorprendere: in fondo, non sono altro che il volto brutale della svolta autoritaria che si sta verificando negli Stati occidentali, del cambiamento della governance in tempo di crisi. Quando Génération Identitaire (gruppo neofascista, ndt) organizza ronde sul confine italo-francese per dare la caccia ai migranti, funge da diretto intermediario delle forze di polizia. Questa è solo la forma spettacolare di una pratica ormai normalmente assunta dallo Stato. Criminalizzare l’antifascismo, criminalizzare la lotta contro l’estremismo organizzato di estrema destra, significa criminalizzare il diritto all’autodifesa. Significa mantenere il popolo in uno stato di sottomissione disarmata. Ma noi diciamo con forza che il popolo ha il diritto di difendersi contro i suoi nemici.

Nella lotta contro l’estrema destra, le istituzioni sono un’esca. Non solo perché lo Stato repubblicano, che si pone come baluardo contro il fascismo, ne è in realtà il suo principale promotore. Ma perché, come abbiamo visto fin dalle prime settimane del movimento dei Gilets jaunes, l’attivismo neofascista, che arriva fino all’aggressione fisica, non trova limiti se non in ciò che possiamo mettere noi nelle strade – con la forza e con la dissuasione.

Siamo militanti politici e, per noi, le responsabilità non sono legali, ma prima di tutto politiche. Durante il processo agli assassini di Clément nel settembre 2018, che è stato un momento di verità molto importante per la famiglia di Clément, di fronte agli imputati e ai loro avvocati che cercavano di depoliticizzare il caso è stato necessario ricordare che se Clemente è morto, è stato perché era un militante antifascista. In quell’occasione abbiamo messo sotto accusa il sistema che alimenta e rafforza queste frange reazionarie.

A seguito del movimento contro la riforma delle pensioni, in piena pandemia Covid-19, il processo d’appello contro gli assassini è stato rinviato a data da destinarsi. Ancora una volta, ribadiamo che non ci aspettiamo nulla dai tribunali, che mai hanno tradotto e che mai tradurranno la nostra giustizia. Esattamente come lottiamo contro la prigione. Perché questi luoghi hanno un ruolo fondamentale nel sistema che stiamo combattendo.

Clément aveva scelto da che parte stare ed è da quella parte che noi continuiamo la lotta e che accusiamo, nelle strade, i fascisti, il capitale e lo Stato.

Action Antifasciste Paris-Banlieue (AFAPB) – giugno 2020

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