Sicilia: tra laboratorio dell’instabilità e future tendenze nazionali
Il primo partito è quello dell’astensione
52,58 per cento! Questo il dato dell’astensione in Sicilia, un valore immenso che testimonia la completa défaillance dell’intero sistema partitico e ne dimezza la lettura reale delle percentuali. Se infatti i voti del candidato di Pd e Udc, Crocetta, si aggirano intorno al 30% in realtà rapportando il numero di voti a quello degli aventi diritto si nota come le preferenze verso il prossimo governatore della Sicilia non superino il 15%.
L’astensione dunque è stata di gran lunga la scelta più seguita dai siciliani ma più che impelagarci nel tessere le lodi di questa scelta (che andrà meglio analizzata senza ideologismi e semplicismi di rito), crediamo sia interessante individuarne velocemente le cause e analizzare come i classici centri di potere abbiano perso presa sul bacino elettorale.
Sulla scia di quanto emerso dalle scorse elezioni amministrative di Palermo, infatti, possiamo sicuramente confermare la difficoltà, se non l’incapacità, dei partiti e del sistema di governance su questi basato nel gestire l’esistente. A confermare quanto avevamo detto sulla vittoria di Orlando e sul portato di personalismo e populismo che stava dietro alle percentuali di quelle elezioni un dato su tutti: l’IdV si ferma a meno del 3%. Nel caso palermitano del maggio scorso la presenza di papà Orlando era stata capace di arginare l’emorragia della sfiducia verso la politica istituzionale, oggi questa emorragia rasenta la morte per dissanguamento!
Se da un lato si possono scorgere dei fortini di minima resistenza per alcune lobby (pensiamo ai clan di Miccichè e Musumeci nel catanese, ai facili appalti e alle clientele “di peso”) quella che ci sembra essere la tendenza generale è che il sistema partitico non sia più capace di assicurare promesse neanche alle strutture del capitalismo nostrano. Questa è quindi la prospettiva più interessante che viene mostrata dai risultati delle urne: il sistema partitico (bipolare e non) è crollato e l’intero sistema di governance capitalista vacilla. La politica non ha più alcun ruolo di controllo e gestione dei territori oltreché di drenaggio diretto di denaro pubblico reso latente dalle politiche di rigore sugli enti locali. Così anche pratiche storiche di funzionamento della democrazia rappresentativa in salsa nostrana (vedi voto di scambio) sembrano perdere centralità e lasciare il passo all’irrapresentabilità dell’interesse individuale e/o collettivo. La frantumazione delle clientele sotto il peso della crisi appare ormai dato incontrovertibile.
La Sicilia laboratorio dell’instabilità politica anticipa una tendenza nazionale?
Cosa possa seguire a questa impasse non è possibile predirlo ma che si apriranno degli spazi difficili da governare e da gestire è facile immaginarlo!
Non sarà di certo facile per il prossimo presidente, Rosario Crocetta. Questi, nonostante gli slogan “rivoluzionari”, rappresenta la linea di continuità più credibile alle politiche di Cuffaro prima e Lombardo poi; ruolo che Miccichè non poteva ricoprire direttamente nonostante la coalizione con l’Mpa ma che probabilmente sarà pronto a riconoscergli con un’alleanza post-elettorale senza la quale Crocetta non avrebbe la maggioranza in assemblea regionale. L’Udc si candida ad essere ago della bilancia e custode degli equilibri partitici nazionali (spostando il Pd sempre più verso il baratro centrista, il governo Monti e il futuro dialogo coi lombardo-finiani), del liberismo corporativista e della continuità amministrativa (si pensi ai tanti che ricoprono ruoli in enti parapubblici).
Il missino Musumeci (candidato Pdl) toppa pagando l’incapacità di quel partito a rinnovare le proprie strutture e quindi ad avere un ruolo di garanzia per gli interessi di quella medio-piccola imprenditoria (più o meno regolare) che oggi o si astiene o vota Crocetta o, senza alcun paradosso, il M5S.
Eccoci così arrivati al partito di Grillo: l’incubo per tutti quando questa notte sembrava delinearsi una possibile vittoria del suo candidato Cancelleri alla presidenza. È il soggetto più discusso in queste ore, non c’è infatti dichiarazione ufficiale che non tocchi il tasto del risultato finale dei grillini. Da Bersani a Orlando passando per tutti gli organi di informazione, l’attenzione è tutta rivolta al fenomeno-Grillo. Come voto di lista il M5s si distanzierà di pochissimo da Pd e Pdl; Cancelleri arriverà terzo nella corsa alla poltrona di presidente. Tutti tirano quindi un sospiro di sollievo nonostante il probabile piazzamento di ben 13 “onorevoli” all’Ars: in questi giorni si erano infatti materializzati i fantasmi non soltanto di una importante affermazione (l’approdo al palazzo dei perfetti sconosciuti) del movimento e delle retoriche dell’anticasta (hanno costruito la loro campagna SOLO sulla proposta di abbassamento degli stipendi dei deputati) ma anche di una clamorosa vittoria del populismo ecologista e informatico e dell’investitura dello stesso Cancelleri a governatore. Pericolo scampato perché irrecuperabili sono state (persino per Grillo) le percentuali d’astensione al voto. Dopo regioni e comuni del centro-nord ora avremo un altro banco di prova attraverso cui giudicare come questi sconosciuti personaggi si muoveranno nelle reti dell’aristocrazia sicula.
Naufragano Sinistra radicale e annessi candidati di “movimento”
Ultimo pensiero alla candidata “di sinistra” Giovanna Marano (ex-segretaria fiom candidata da Sel, Idv, Verdi e FdS). L’esperimento d’unità a sinistra del Pd fallisce per l’inconsistenza delle varie formazioni (nessuna supererà lo sbarramento) e l’incapacità di rinnovare un immaginario di “rottura” col passato: la credibilità di questa sinistra è ormai da tempo compromessa a vantaggio di grillismi e sfiducia per chi in passato non ha saputo rappresentare, quando ne ha avuto l’occasione, gli interessi del proprio elettorato. Una caduta libera che evidentemente conferma le tesi di una sinistra senza blocco sociale in grado di vincere alle comunali di Palermo soltanto grazie al “fenomeno Orlando”. Un’ultima postilla la dedichiamo a chi nel “movimento” ha cercato un posto nelle istituzioni, cercando di portare “le lotte” nelle istituzioni, quando invece gran parte della società rema nella direzione opposta (le percentuali astensioniste parlano chiaro) esprimendo una chiara sfiducia nella rappresentanza e nel meccanismo elettorale. Quanto meno incapaci di leggere tendenze e orientamenti nella società hanno fallito nel tentativo di riproporre schemi già visti una decina d’anni fa in altre parti d’Italia dove queste tendenze iper-tatticiste, tutte calate nella costruzione di alleanze votate a conquistare posti nelle istituzioni, hanno portato coloro che le hanno intraprese in un vicolo cieco.
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