Atti giudiziari e plusvalore politico: la nave Diciotti non è la birreria di Monaco.
“On s’engage…. puis on voit” (V. I. Lenin)
Un preoccupante ottimismo aleggia nell’aria dopo la conclusione dell’ “affaire Diciotti” e la messa sotto accusa di Salvini da parte della magistratura. Credo che, su ciò, dovremmo essere molto cauti. Le battaglie non si vincono con gli atti giudiziari e il tenero, ma estremamente pericoloso, richiamo a Kelsen va immediatamente stroncato sul nascere. Il diritto non fonda il diritto poiché, questo, è sempre l’effetto di un rapporto di forza. Il diritto non sorge da una qualche fonte dalla quale si abbeverano i saggi ma dal sangue che cola dai campi di battaglia. La nostra Costituzione, continuamente chiamata a mezzo come un totem dalla sinistra salottiera, nasce sui cieli d’Inghilterra, tra le rovine di Stalingrado, nel sacrificio algerino di Monte Cassino, nell’indomita resistenza della popolazione slava, nei lanci al buio della 82° e della 101° aviotrasportate, nelle montagne della guerriglia partigiana, nel terrorismo operaio dentro le città. Il potere politico e il suo esercizio fondano il diritto, questo non dobbiamo scordarlo mai. Lasciamo Kelsen e i suoi fautori nel tranquillizzante e anodino ambito della disputatio propria della scolastica, il “politico” non è cosa loro.
Tuttavia, in quanto accaduto, c’è qualcosa di positivo che va riconosciuto e che ci lascia ben sperare. Abbiamo visto una mobilitazione militante che ha colto, con ben poche remore, la sfida lanciata dal Ministro. Questo ci consente di ipotizzare che, se ognuno di noi farà il proprio dovere, se nulla verrà lasciato al caso e se tutto sarà organizzato al meglio, saremo sicuramente in grado di andare fino in fondo. Ma commetteremmo un errore tragico e imperdonabile se pensassimo che l’affaire Diciotti possa, anche solo alla lontana, considerarsi uno smacco per il Ministro. Da questo episodio Salvini trae una non secondaria plusvalenza politica. Tatticamente perché è riuscito a non accogliere nessuno dimostrando che la sua politica paga; strategicamente, ed è l’aspetto centrale della questione, ha rafforzato, e non poco, il proprio campo dell’amicizia. Non solo ha nuovamente compattato tutto il centro destra intorno a sé, ricevendo al contempo un sostanziale appoggio dall’alleato di Governo ma, ed è ciò che va maggiormente osservato, ha dato ulteriore forza e identità a quel popolo del quale è espressione. L’atto giudiziario non lo penalizza, tutt’altro. La denuncia lo rende martire ed eroe al contempo. L’atto giudiziario non fa altro che tracciare una chiara linea di separazione tra Salvini e il nemico. Che tutto ciò rafforzi lui e il suo schieramento solo degli imbelli radical chic, convinti dell’esistenza di una legittimità super partes, possono ignorarlo. La democrazia è il fucile in spalla agli operai, diceva Lenin, oppure il miglior sistema che la borghesia ha per esercitare il suo dominio di classe. Delle due, una. Detto ciò, torniamo al nostro Ministro.
L’affaire Diciotti ha consentito a Salvini di fare, da una posizione obiettivamente di forza, un ulteriore passo avanti dentro la guerra civile. Questo è il punto. Questo è l’orizzonte “concreto” in cui siamo immessi. Niente in quanto accaduto può rimandare alla gaffe di Monaco, piuttosto al ricompattamento di quel fronte di classe controrivoluzionario posto in atto in Germania tra la fine del 1932 e gli inizi del 1933. Ciò che si profila non solo non è un pranzo di gala, ma, fuor di metafora, sudore, lacrime e sangue. Hic Rhodus, hic salta!
PS. Nel cominciamento che ci attende buttare fuori PD, LEU CGIL e affini dai nostri ambiti, mi pare, il minimo sindacale.
di Emilio Quadrelli
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