Buona fase 2 e si salvi chi puo’.
Giuseppe Conte in conferenza stampa nazionale rassicura la popolazione che da buon amante del calcio farà ripartire il campionato, che la famiglia è sempre la famiglia e che la fase 2 è una sfida alla quale non ci si può sottrarre per ripartire, ma raccomandandosi di non cedere alla rabbia. Che finisse a tarallucci e vino ce lo si poteva certo aspettare, la fiducia nei confronti di questo (e dei precedenti) governi l’avevamo perduta da tempo immemore, ma sentirsi in balia di una manica di incapaci che schizofrenicamente oscillano tra la passione criminale di mandare al macello centinaia di migliaia di persone e la bonarietà che mal cela la sete di profitto, sta iniziando a essere troppo.
Non è bastato a Giuseppe Conte che l’OMS dichiarasse che all’oggi la ripartenza fosse troppo precipitosa perchè i numeri dei contagi e delle vittime, soprattutto in alcune regioni italiane, sono ancora troppo simili alla fase 1. Non è bastato nemmeno l’avviso di qualche giorno fa dei medici piemontesi riuniti nell’associazione Anaao Assomed, che “Il rischio è che alla fase 2 coincida il picco 2. Che potrebbe essere peggiore del picco 1″, appello ripreso anche da alcune testate giornalistiche non famose per essere ragionevoli o obiettive nel diffondere le informazioni. “Se ci fosse un piano chiaro e certezze, potremmo forse pensare davvero alla fase 2. Ma mancano, come manca una chiara definizione dei ruoli”, sostiene l’Assomed. È evidente che i tagli decennali alla sanità pubblica, la sua progressiva privatizzazione, la concezione della cura in termini prettamente ospedalocentrici, l’assenza di una rete territoriale funzionante, la mancanza di piani emergenziali precisi, il ritardo nella chiusura delle attività produttive in una prima fase, così come la gestione dei tamponi, insufficiente, lenta, poco attenta alla diffusione dei casi, l’abbandono del personale sanitario solo di fronte alla catastrofe dell’assenza di dpi, di mezzi, di protocolli, la poca chiarezza sull’importanza delle precauzioni e il loro corretto utilizzo, sono tutti i limiti che stiamo scontando e contando, nell’ordine delle centinaia di morti. Non si capisce come per Giuseppe Conte tutto questo non fosse evidente prima di annunciare una fintamente lenta ripartenza. Cosa dovremmo leggerci? Incapacità o tendenze delittuose ?
Quando gli operai scioperano per non ammalarsi, quando la scuola, gli insegnanti, i bambini e ragazzi sono lasciati soli, insieme alle loro famiglie sprovviste di sostegno economico e psicologico, quando la casa diventa troppo stretta perchè c’è il contagio da limitare e c’è la violenza tra le mura domestiche da cui pararsi, quando non si può pagare l’affitto e le bollette, quando l’unica responsabilità che questo governo vuole riconoscere è quella individuale, non è possibile accettare che vengano prese delle decisioni palesemente contrarie alla tutela della salute di tutti e tutte. C’è poi chi cavalca l’onda dell’insopportabilità, della sofferenza e dell’impossibilità materiale di sopravvivere – dato che i ritardi dell’Inps nel dividere due briciole tra gli affamati sono sotto gli occhi di tutti – nel nome di chissà quali libertà individuali, calpestate per collezionare un po’ di consenso da parte di quei settori della società come la piccola e media impresa, i commerciati, le partite IVA. Risulterebbe quasi ridicola l’idea di Salvini di chiamare a un primo maggio che chieda di andare a lavorare, non fosse che a braccetto con Confindustria da un lato e la Chiesa dall’altro, perchè le Madonne non sono ancora passate di moda, il Capitone si voglia costruire un bell’esercito di sfruttati da sfruttare.
In Piemonte poi, posizionato a un buon secondo posto sorpassata l’Emilia Romagna e a un passo dalla Lombardia, la Task Force regionale si trova da un lato a fronteggiare delle percentuali tra contagi e decessi per niente ottimistiche, con il rischio di dover richiudere tutto dopo due settimane, come sostiene uno dei membri, esperto del reparto malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia. E dall’altro, a inaugurare la poltrona del ei fu Roberto Rosso, con la nomina a assessore alla semplificazione e agli affari legali, della vecchia conoscenza Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia. Come non sentirsi tranquilli nelle mani di chi invocava poco tempo fa di revocare le borse di studio a quei ragazzi che in università difendevano l’antifascismo a suon di botte della celere.
È quanto mai vitale costruire un’agibilità e un sapere autonomi che siano slegati dai dettami, che siano responsabilità collettiva per davvero, che possano iniziare a segnare un punto di non ritorno a partire dal quale le priorità siano la salute e la cura, la condivisione e la socializzazione contro il dominio del profitto, dell’induzione al consumo, contro la predazione e lo sfruttamento indiscriminato dei territori, dei corpi, della libertà. Una libertà che non è la possibilità tutta individuale e liberal di essere autorizzati a uscire per lavorare, guadagnare e consumare ma che si basi sulla responsabilità di scegliere collettivamente come distruggere un sistema pur mantenendo in vita la possibilità di ricostruirne un altro, che sia un’organizzazione della società che si possa riprodurre per amore della vita e non per autocondannarsi alla morte.
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