Comuni di villaggio, comuni di città
Nuova corrispondenza dalla delegazione di InfoAut in visita a Derik, Rojava.
La comune è la componente di base del confederalismo democratico e lo strumento che permette alla rivoluzione di organizzarsi capillarmente sul territorio e di garantire a tutte e tutti la partecipazione alla vita politica e sociale. Attraverso di essa si struttura il lavoro di formazione ed educazione (perwerde) degli abitanti e si trova collettivamente una risoluzione pratica ai bisogni e alle necessità delle persone. Abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti di alcune comuni della città di Derik e di un villaggio vicino. Per quanto riguarda il contesto urbano le comuni solitamente comprendono 100-150 case; l’area di influenza di ogni singola comune è stata ridotta in vista delle prime elezioni libere della Siria settentrionale che si sono tenute questo settembre, al fine di un lavoro più approfondito sul territorio e di un coinvolgimento maggiore e immediato degli abitanti. La prima comune a Derik è nata nel maggio 2013 con la rivoluzione. Negli anni precedenti il capillare lavoro di formazione ed educazione casa per casa e strada per strada dei militanti del partito (il PYD è stato fondato nel 2003) è stato continuo: quando si sono costituite le prime assemblee delle comuni c’era quindi già una base politicizzata perfettamente organica al tessuto sociale. Questo ha permesso l’immediata operatività rispetto alle necessità della popolazione -che vengono gestite in maniera collettiva e autorganizzata- e la possibilità di costruire una decisionalità comune condivisa nelle assemblee. Questa pratica funziona e ogni volta che un nuovo territorio è in via di liberazione coloro che già partecipano al nuovo sistema si recano con anticipo in quelle zone per preparare il futuro lavoro della comune costruendo relazioni e organizzando la logistica. I passi immediatamente successivi sono l’organizzazione di forze di autodifesa e della formazione, la perwerde.
Questo compito è svolto parallelamente dall’organizzazione delle donne in stretta collaborazione con le case delle donne (Mala Jin). Ogni comune ha infatti la sua assemblea completamente femminile e diversi comitati con diversi incarichi: servizi, autodifesa, salute, economia, giovani, arte e cultura, formazione e sapere. Questi differenti ambiti lavorano in autonomia e si coordinano tra di loro con cadenza mensile. Se le decisioni prese all’interno di una assemblea della comune riguardano l’area comunale stessa non c’è bisogno di ulteriori passaggi e diventano immediatamente esecutive; se non si riesce a risolvere alcune controversie o se l’argomento in discussione è di interesse più generale i co-presidenti ( una donna e un uomo per legge, che non vengono pagati per il ruolo che esercitano e non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi) riportano il dibattito al consiglio cittadino, che poi passa a quello di distretto, poi quello di cantone per arrivare infine al consiglio generale della federazione. A questo punto la singola decisione ripercorre l’intero iter al contrario fino a tornare all’assemblea comunale, dove viene ridiscussa. Molti dei partecipanti di queste assemblee ricoprono anche ruoli in altre organizzazioni, come per esempio le Kongreya Star (organizzazione di tutte le donne del Rojava), e sono di conseguenza sempre aggiornati rispetto all’attività politica più generale del movimento.
Derik è una città multietnica (curdi, arabi, armeni, caldei) e multi confessionale, chi vive qui è abituata a vivere fianco a fianco da sempre; solo con il sistema delle comuni però ogni comunità ha la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica senza discriminazioni. La comune svolge anche il ruolo di intermediario rispetto all’amministrazione della giustizia: l’intento è risolvere i conflitti senza passare attraverso i tribunali istituzionali ed evitare di rivolgersi all’asays ( guardie armate rivoluzionarie) cui si ricorre solo in casi più gravi e specifici.
L’organizzazione sociale ovviamente non si ferma alla città. Come vari quartieri a seconda della densità formano un’area amministrativa, così vari villaggi ne compongono un’altra. Se nei quartieri le comuni hanno spesso riconnesso un tessuto sociale che tendeva a sfaldarsi, nei villaggi hanno radicalmente cambiato l’organizzazione di comunità già di per sé coese, anche solo a livello geografico. La struttura è la medesima ma i processi sono differenti: la maggior parte dei villaggi infatti è passata alla forma comunale da un assetto strettamente feudale. Per esempio nella comune di Carudie la differenza sostanziale, oltre alla messa in comune delle terre e dei greggi, sta nel passaggio di titolarità della giustizia dal mukhtar (il signorotto locale) ai comitati, quello dell’autodifesa sul piano militare (parliamo di un villaggio pericolosamente vicino al confine turco) e quello del ‘consenso’ sul piano dei conflitti interni alla comunità. Fino a prima della rivoluzione il mukhtar proibiva di costruire nuove case, con il risultato di famiglie sempre più grandi che vivevano in spazi sempre più piccoli. Ora lo sviluppo architettonico del villaggio viene deciso in assemblea e regolato in base alle necessità collettive. La divisione del lavoro è lasciata all’autonomia della comune, finché non contravviene i principi rivoluzionari (lavoro infantile, sfruttamento) e per quanto riguarda i greggi per esempio si lavora per una quantità di tempo proporzionale al numero di mucche che si hanno. Due mucche, ora condivise, sono due giorni di lavoro e così via. Le assemblee, che in città avvengono nella casa comunale, nei villaggi avvengono nelle case degli abitanti e gli spazi comuni vengono usati più per la formazione e le celebrazioni. Un dato interessante rispetto a questo villaggio, rappresentativo della forza organizzativa di questa rivoluzione è la partecipazione al sistema comunale, che è totale. Non perché tutti gli abitanti condividano i principi rivoluzionari, infatti alcune famiglie del paese sostengono l’Enks legato al KDP Barzani, quanto perché questo modo di amministrare le cose funziona. “All’inizio si tenevano in disparte, poi hanno visto che le cose funzionavano e che non era vantaggioso rinunciare a far parte del nostro sistema, quindi adesso siamo tutti insieme”. Le contraddizioni rimangono, il processo è ancora in atto: le terre del Mukhtar per esempio sono state redistribuite solo in parte. “Ora dobbiamo combattere Daesh, poi il regime e poi andremo a prenderci anche le sue terre”.
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