Di migranti, passerelle politiche ed eccedenze della piazza
Sono stati giorni concitati nello spiazzo che porta al molo della Diciotti. La protesta è montata giorno dopo giorno e sembra sia passato un secolo da lunedì scorso, quando i primi solidali hanno iniziato a formare un presidio permanente, a sabato pomeriggio, quando migliaia e migliaia di persone hanno invaso il porto.
La Diciotti ha squarciato un velo di torpore, con la sua presenza fisica nel porto, la sua vicinanza alla terraferma, e l’insopportabile e arbitrario divieto di scendere. Ha portato in piazza una molteplicità di singoli e di gruppi, li ha allontanati dalle tastiere e avvicinati al cuore della realtà, la violenta realtà dell’abuso di potere e del disprezzo per la dignità umana. Il porto di Catania ci ha sbattuto in faccia una delle contraddizioni più feroci dell’epoca che viviamo: il dispotico blocco dei confini di una fortezza Europa che continua a difendersi da una presunta minaccia di invasione esterna, minaccia che dovrebbe essere rappresentata da indifesi individui in fuga, quando, dall’interno, la feroce colonizzazione dei poteri economici continua.
I migranti della Diciotti, al contrario di quanto si possa pensare, sono stati preziosi. Sulla loro pelle ognuno ha potuto speculare e i loro corpi sono stati strumentalizzati senza pietà: Salvini e di Maio hanno giocato una partita sporchissima, perdendola miseramente; lo stesso hanno fatto vari esponenti di partito che hanno sfruttato la vicenda per fare passerella elettorale e dichiarare la loro vicinanza ai migranti, usandoli per fare un’opposizione politica al governo che è vuota di contenuti e si presenta come pura contrapposizione simbolica, populismo contro populismo. D’altronde c’è un’evidente continuità politica tra la gestione del fenomeno migratorio da parte del ministro dell’interno Salvini, e quello che hanno fatto i governi precedenti (non c’è colore politico che regga). Basti pensare che lo scorso ministro degli interni è stato Minniti, che ha aumentato i rimpatri forzati, firmato accordi bilaterali con i paesi di origine e transito dei migranti, esteso il sistema dei CIE, ecc.; e quello precedente è stato Angelino Alfano, sotto il cui ministero è stata annunciata la nuova operazione di Frontex, Triton, un’ulteriore militarizzazione del Mediterraneo, con l’intensificarsi del controllo delle frontiere, primo obiettivo della missione, mentre il soccorso in mare è passato in secondo piano, anzi, è diventato incidentale alle operazioni militari.
La piazza di sabato era variegata, composita. Molte bandiere di partiti e sindacati puntellavano il molo, come se l’obiettivo fosse quello di rimarcare la propria presenza in un luogo carico di senso storico piuttosto che quello di praticare una riappropriazione reale, inseguire un sogno di liberazione e porsi di fronte alla realtà in maniera trasformativa. Ma questo non è stato tutto. La piazza era carica di odio e amore, di viva avversione nei confronti di un governo razzista e fascista, di vicinanza e solidarietà con le sorelle e i fratelli ingiustamente imprigionati. Da qui l’azione reale: lo spostamento in corteo e lo scoppio di fuochi d’artificio per fare sentire una voce di vicinanza ai migranti, il tentativo di forzare lo sbarramento delle forze dell’ordine e la determinazione con cui si è tenuto testa alle cariche della polizia, l’azione diretta di chi si è buttato in mare, sfidando la distanza imposta dai controllori, sfuggendo alle barche delle forze dell’ordine e arrivando a pochi metri dalla Diciotti. Di questa piazza governo e prefettura hanno avuto paura sin dall’inizio, lo dimostra l’enorme dispiegamento di forze dell’ordine presente sabato, che comunque, non è riuscito ad arginarla. Corpi e cuori che hanno deciso di rifiutare qualsiasi forma di contrattazione e mediazione con forze politiche e istituzionali, di rifiutare l’attesa infinita di una giustizia giudiziaria che nel suo attuarsi risulta sempre monca, parziale, spesso nulla.
Questo è stato il porto di Catania in questi giorni. Quel che resta oggi è la soddisfazione per una giornata partecipata, una piazza presente, per la liberazione delle sorelle e fratelli africani. Ma quel che resta è anche la necessità di ripartire da questo dato, da questa presenza della piazza, per costruire una contestazione più strutturata, creare e rafforzare complicità e relazioni in vista di un autunno che si presenta caldissimo.
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