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Dialoghi con Georges Corm

Riportiamo qui di seguito un’intervista a Beirut con Georges Corm, economista, storico ed intellettuale libanese, professore presso la Saint Joseph University. Profondo conoscitore della realtà mediorientale e delle sue dinamiche, lo intervistiamo spaziando dalle primavere arabe al balance-of-power in medio-oriente, analizzando quella che è la questione sociale ed economica del mondo arabo, e per una critica delle categorie epistemologiche occidentali sul medio oriente.

Intervista di Lorenzo Carrieri (Beirut, aprile 2014)

[ENGLISH VERSION]

 

D: TEMPO FA ABBIAMO VISTO L’ESPLODERE DELLE PRIMAVERE ARABE: DI QUELLE ESPERIENZE COSA SOPRAVVIVE OGGI? HA ANCORA SENSO, OGGI, PARLARE DI PRIMAVERE ARABE DOPO IL COLPO DI STATO MILITARE IN EGITTO (E IN QUESTI GIORNI LA VITTORIA DI AL-SISI ALLE ELEZIONI, SEGNATE DA UN FORTISSIMO ASTENSIONISMO), LA VITTORIA DEGLI ISLAMISTI DI ENNHADA IN TUNISIA E IL SEMPRE CRESCENTE POTERE DELLE MILIZIE ISLAMISTE IN LIBIA?

Uno, nel breve termine, è tentato di essere pessimista guardando a cosa è successo. Ma non dobbiamo dimenticare che le primavere del 2011 sono un evento storico che può ancora produrre molte ondate di riflusso, una serie di tentativi rivoluzionari da parte delle classi sociali arabe: le rivolte del 2011 rappresentano un’impronta, un’ inizio, all’interno del mondo arabo. Se guardiamo ad ogni rivoluzione, la russa, la francese, anche la cinese, ognuna di queste ha avuto le sue tappe, lo stesso sta accadendo nel mondo arabo: la rivoluzione non può darsi in 3 giorni, è un processo di lunga durata!

Credo comunque che gli eventi del 2011 siano importantissimi: essi hanno contribuito a ricostituire ciò che io chiamo “la coscienza collettiva araba”, che è qualcosa di totalmente differente e antagonista rispetto al modo in cui i paesi arabi sono stati governati. Credo anche che questi eventi rimarranno nelle menti della gente, allo stesso modo in cui abbiamo visto ritornare in voga la figura di Gamal Abdel Nasser! Alla fine non possiamo avere un giudizio su cosa succederà in futuro, a questo punto ciò che su cui possiamo avere invece un giudizio più chiaro è ciò che è deragliato del processo rivoluzionario. I risultati di queste rivolte popolari sono state seriamente influenzate da qualcosa che non si riesce a identificare chiaramente, e che non è un elemento nuovo nella storia araba: l’interferenza straniera, che è stata estremamente intensa e profonda se guardiamo al caso siriano e libico. Questo è quasi incredibile.

Personalmente non mi sono affatto sorpreso che la stessa coalizione controrivoluzionaria di forze contro il cambiamento, nel mondo arabo e nell’Occidente, formatasi dall’Oman fino alla Mauritania, si sia coalizzata per far abortire questi movimenti di massa: ancora una volta abbiamo avuto, e abbiamo tuttora, l’alleanza tra i paesi mussulmani conservatori, i cui grandi sponsor sono l’Arabia Saudita e il Qatar, e i paesi occidentali. Abbiamo visto questa stessa alleanza al lavoro in Siria: non direttamente sul campo attraverso l’uso di un esercito occidentale, ma grazie all’uso di procuratori e combattenti stranieri, arrivati lì in nome della difesa dell’Islam. Dunque, personalmente non mi stupisce affatto che la stessa coalizione che si formò per contrastare Nasser e anche Muhammad Alì1, entrambi in Egitto, oggi si formi per ostacolare questi movimenti di massa: Il Medio Oriente è una regione strategica, contenente enormi riserve energetiche, ed è estremamente difficile, in assenza di un forte stato/potere arabo, prevenire queste interferenze esterne.

 

D: SEMPRE PER QUANTO RIGUARDA LE PRIMAVERE ARABE, PERCHÈ GLI ISLAMISTI SONO STATI IN GRADO DI “APPROPIARSI” DELLE PRIMAVERE, INVECE CHE LE FORZE DI SINISTRA?

Non parlerei di forze di sinistra, piuttosto di forze del cambiamento. C’è da dire subito una cosa: gli islamisti nelle piazze erano minoranza, e, a volte, non condividevano nemmeno la visione rivoluzionaria della maggior parte dei manifestanti, addirittura stavano in disparte. Ma quando si è arrivati al momento elettorale, loro rappresentavano la più grande forza sul campo, avendo una grande organizzazione e un capillare network di ONG e associazioni caritatevoli nelle aree rurali e povere delle grandi città: non bisogna infatti dimenticare che questi partiti/movimenti islamisti si erano stabiliti lì da 40-50 anni, e che potevano gestire grandissime quantità di petro-dollari. Le forze islamiste perciò erano molto meglio radicate, e subito mi resi conto che si apprestavano a vincere le elezioni. Al tempo stesso essi sono stati capaci, nel corso degli anni, di esercitare una qual specie di egemonia nei media mainstream, sia del Golfo (Al Jazeera è qatariota, Al Arabiya è saudita) che occidentali: gli islamisti si presentavano come vittime di longeve dittature sanguinarie e del panarabismo. C’è una specie di grande narrazione riguardo a ciò, e nessuna, al contrario, riguardante le migliaia di militanti laici e di sinistra che sono stati imprigionati e torturati.

Al tempo stesso nessun media parlava di ciò che accadeva, e continua ad accadere, nei paesi del Golfo, paesi retti da dittature familistiche, politico-religiose e sanguinarie, sotto la forma di monarchie, molto più crudeli che altre: questa narrazione ha dunque aiutato le forze islamiste.

In Egitto le forze del cambiamento presentarono un candidato, Sabahi Hamdine. Ma dato che ai seguaci del precedente regime di Mubarak venne permesso di presentare un loro candidato, Ahmed Chafic,ex primo ministro sotto lo stesso Mubarak, ciò facilitò l’elezione di Mohammed Morsi, il candidato della Fratellanza Mussulmana, che venne eletto con poche migliaia di voti di vantaggio sopra quelli ottenuti da Sabahi.

In Tunisia abbiamo visto il ritorno di Ennhada, ma al tempo stesso ci sono i sindacati, che sono una forza molto potente. Ma, quando si tratta di arrivare al momento elettorale, e quando ci sono partiti che possono godere del sostegno economico esterno, e di rapporti di forza a loro favore, la situazione è totalmente differente. La Fratellanza Mussulmana fu così in grado di costruire una propria benevola immagine, nonostante gli avvenimenti algerini dei primi anni ’902. La gente tende ancora a credere che gli islamisti siano vittime, che fu vergognoso metterli in prigione, e questa visione ha continuato a essere diffusa dalle grandi narrazioni mainstream: gli Islamisti furono martirizzati, perciò meritavano di essere eletti e governare, poiché, nella visione di questa grande narrazione islamista, tutti gli elementi secolari avevano fallito. Ma questa visione non ha retto quando è stata messa alla prova: abbiamo visto la rabbia popolare in Egitto, quando milioni di persone si sono riunite nelle piazze a chiedere le dimissioni di Morsi.

In Tunisia la situazione sembra essere migliore: è un paese più piccolo dell’Egitto, come detto i sindacati sono una forza contro-egemonica rispetto agli islamisti, ci sono movimenti femministi che si oppongo a Ennhada, e quando la violenza islamista è esplosa, con l’assassinio di personalità liberali, i tunisini sono stati in grado di reindirizzare la situazione sui giusti binari e ottenere sviluppi positivi, come la nuova costituzione.

Tornando all’Egitto, non so se la messa fuorilegge della Fratellanza stabilizzerà la situazione, mi auguro di si. È una situazione complessa e paradossale, perchè il colpo di stato militare che ha deposto Morsi è appoggiato dal più grande paese islamista della regione, l’Arabia Saudita. I sauditi sono stati sempre i più grandi sponsor di tutte le branche delle Fratellanze nel mondo arabo e mussulmano, e le hanno usate per assicurarsi l’influenza e mantenere le tensioni all’interno dei loro vicini arabi: ma oggi, nel caso dell’Egitto, qualcosa è cambiato: Morsi e il suo governo erano entrate in diretta competizione con la leadership saudita, e questa competizione si manifestava non solo nel mondo arabo ma nell’intero mondo mussulmano. E perciò andavano puniti. Sarà interessante vedere come la situazione si evolverà, anche alla luce dei comportamenti paradossali dei paesi del Golfo verso le varie Fratellanze.

 

D: COSA MI DICE DELL’ISLAMIZZAZIONE DELLE SOCIETÀ, DI CUI HA MOLTO PARLATO NEI SUO LAVORI?

Ho trattato molto non soltanto della strumentalizzazione dell’Islam, ma delle religioni in generale: anche sull’uso politico del Giudaismo e del Cristianesimo durante l’ultimo periodo della Guerra Fredda.

L’uso strumentale dell’Islam politico è stata una chiara politica sostenuta dagli Stati Uniti d’America per bilanciare le forze comuniste nel mondo arabo: non dobbiamo infatti dimenticare che i comunisti era una forza molto potente nei paesi mussulmani. Pensiamo all’Iran, dove c’era il Tudeh, o al partito comunista iracheno, ma anche ai comunisti in Egitto, in Indonesia e in Sudan. Anche qui la grande narrazione egemonica non dice questo perché, per la maggioranza della gente, il comunismo non si “abbinerebbe” con l’Islam: ma questo è un punto di vista totalmente orientalistico.

Comunque gli Stati Uniti, presi dalla paura per la diffusione dell’ideale socialista lungo tutto il mondo arabo durante gli anni ’60 e ’70 dell’ultimo secolo, iniziarono una particolare politica, ispirata dal security advisor Zbingniew Brzezinski: stimolare i sentimenti, e i partiti religiosi, per controbilanciare l’estensione delle varie forme di ideologia comunista. Lo stesso lavoro che è stato poi portato avanti anche da Papa Giovanni Paolo II in Polonia! Non è sicuramente un fatto nuovo l’uso del fattore religioso per contrastare le idee socialiste e secolari: anche nel Giudaismo abbiamo visto lo stesso, con molti intellettuali e liberali, spinti da buone intenzioni, trasformatisi poi in conservatori.

Comunque, per quel che riguarda l’islamizzazione delle società e la repressione dei movimenti comunisti, dobbiamo guardare a quello che accadde in Sudan: qui c’era il più influente partito comunista del mondo mussulmano, e le forze islamiste di Nimeiry, alleato degli Stati Uniti, diedero un giro di vite contro di esso. Lo stesso accadde in Indonesia, con la repressione del regime di Suharto, che uccise più di 500mila persone. In Iran invece accadde ciò che io chiamo un “fraintendimento geopolitico”: Khomeini è stato aiutato a prendere il potere per prevenire che, prima di lui, lo prendesse il Tudeh, il partito comunista iraniano alleato agli islamo-marxisti di Mujhaidin Khalq e ai liberali di Mehdi Bazargan. Ma per l’Occidente Khomeini avrebbe dovuto essere un altro Fratello Mussulmano, davvero gli Stati Uniti non avrebbero mai pensato che avesse potuto trasformarsi in un capo di stato anti-imperialista e anti-americano: essi coccolarono Khomeini, lo fecero rifugiare a Parigi nello stesso momento in cui lo Shah era ancora in carica in Iran, senza dubbio per usarlo contro le forze secolari e nazionaliste.

Possiamo dunque dire che esiste una specie di mercato delle religioni, così come descrive bene la sociologia americana: la religione, in fin dei conti, è un gran business, persino qui in Libano!

Ma quello che voglio sottolineare qui è che l’uso della religione non significa, di per sé, un declino delle idee secolari, come il panarabismo: per esempio, se guardiamo a quello che è successo durante le primavere arabe, notiamo l’esplodere di una coscienza araba collettiva, di carattere secolare. E persino in questo caso i regimi politici hanno preferito bilanciare questa coscienza collettiva con l’uso dell’Islam politico, perché è sicuramente più facile avere a che fare con il panislamismo, che non mette in discussione niente delle strutture e dei rapporti di potere, piuttosto che con il panarabismo/forze del cambiamento!

 

D: TORNANDO ALLE PRIMAVERE ARABE, COME MAI LE MONARCHIE DEL GOLFO NON LE HANNO AVUTE, O LE HANNO VISSUTE IN MANIERA MINORE?

Per prima cosa le hanno vissute, eccome se le hanno vissute! Eccetto probabilmente il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti, abbiamo avuto rivolte in Oman, Bahrein e Arabia Saudita nel 2011: il problema è che non c’è stata copertura mediatica di questi avvenimenti, non c’era l’interesse a diffondere l’immagine di queste rivolte. Non dobbiamo infatti dimenticare che il Bahrein è stato invaso dall’esercito saudita, che ha aiutato la famiglia regnante degli Al-Khalifa a reprimere duramente la primavera di questo paese: ma, nonostante la repressione, queste dimostrazioni vanno avanti ancora oggi, giornalmente!

Persino in Arabia Saudita ci sono state rivolte e sollevazioni, soprattutto nelle provincie a est del regno, abitate per lo più da una popolazione di confessione sciita: qui la monarchia, per tenere sotto controllo la situazione, da una parte ha applicato una politica di aumento dei redditi, dando incentivi economici e facendo concessioni superficiali alla libertà di persona; dall’altra ha continuato nella sua dura politica di repressione.

Tuttavia dobbiamo tenere in considerazione che queste rivolte, Bahrein e Arabia Saudita, non sono collegabili al fatto che molti dei dimostranti erano sciiti, sebbene essi rappresentino la parte della popolazione privata ed esclusa dalla vita politica: essi sono stati invece supportati da numerosi manifestanti e liberali di confessione sunnita che desiderano il cambiamento dell’esistente.

La cosa strana è che gli Stati Uniti non hanno una politica estera per quel che riguarda gli avvenimenti nel mondo arabo durante il 2011: se fate caso ogni giorno c’era una dichiarazione di qualche rappresentante americano che contraddiceva completamente quella di un altro nel giorno precedente! Comunque credo che gli States siano guidati, nel loro approccio alle primavere arabe, dal pragmatismo: ufficialmente sostengono le rivolte e le richieste di democratizzazione, ma, in maniera ufficiosa, in alcuni casi sono a favore del mantenimento dello status quo, come in Bahrein, dove hanno un’importantissima base navale3, e in Arabia Saudita, che è il loro alleato chiave nella regione.

 

D: PARLANDO DELLA QUESTIONE SOCIALE, CREDE ANCORA CHE IL GRANDE PROBLEMA DEI PAESI ARABI SIA L’ECONOMIA DI RENDITA? IL FATTORE ECONOMICO QUANTO SERVE A SPIEGARE LA SOLIDITÀ DEI REGIMI E LA DEBOLEZZA DEL CAPITALE UMANO (MOVIMENTI, SOCIETÀ CIVILI,…)?

Per prima cosa dobbiamo affermare che l’economia di rendita può solo ed esclusivamente avvenire in un regime autoritario: per consolidare l’economia rentier c’è dunque bisogno di un regime autoritario. Tutti questi discorsi sulla promozione della democrazia nel mondo arabo, senza affrontare il problema dell’economia di rendita non hanno senso, perché non c’è attaccamento alla realtà, non esiste collegamento ai rapporti socio-economici sul campo! E io sono scioccato da ciò: pochissimi intellettuali tengono in considerazione le cause socio-economiche delle rivolte arabe, e quasi nessuna forza politica ha sviluppato un contro-discorso economico contro quello egemonico, che poi è quello dell’economia rentier!

Bisogna analizzare infatti la struttura demografica della popolazione scesa in piazza: sicuramente c’era una parte di borghesia importante, ed essa era polarizzata su questioni di libertà politica e libere elezioni. Ma la stragrande maggioranza, il 70% a mio modo di vedere, era gente povera, proletariato e sottoproletariato, la cui lotta era molto chiara: essi chiedevano pane, dignità, lavoro, così come la fine della corruzione e dell’ingiustificata concentrazione della ricchezza in poche mani (redistribuzione della ricchezza). E questa lotta non è mai stata analizzata dal punto di vista economico, nessuno ha parlato dei modelli di sviluppo economico che i paesi del mondo arabo stanno seguendo, che sono, fondamentalmente, politiche pubbliche di stampo rentieristico, che consolidano lo sfruttamento delle rendite da parte di pochi a danno di molti. La mia spiegazione è che le giovani generazioni arabe sono state cresciute in una struttura mentale neo-liberal: hanno studiato ad Harvard, alla Sorbone, alla Soas, hanno dunque assorbito completamente il modello economico neo-liberista! E ciò è totalmente differente dalle esperienze di quelli della mia generazione: noi studiavamo l’economia politica, il suo funzionamento, il welfare state, la distribuzione della ricchezza come giustizia sociale! Oggi le nuove generazioni non possono concepire qualcosa di differente dal neoliberismo, e questo è un dramma! C’è un pensiero unico economico! Nessuno parla di come migliorare la giustizia sociale, la competitività, di come acquisire scienza&tecnica, di come fermare la fuga dei cervelli dal mondo arabo: queste sono domande che nessuno sembra porsi!

Comunque, per tornare alla domanda: sì, possiamo certamente spiegare la mancanza di democrazia e di spazi di libertà attraverso il fattore economico. Quando c’è una struttura economica totalmente incapsulata in tali relazioni di dipendenza dalle fondi di rendita controllate dagli stati neo-patrimonialisti, sicuramente bisognerebbe abbattere le strutture autoritarie per assicurare il miglioramento delle performance economiche in termini di lavoro e giustizia sociale. Guardiamo al caso saudita: regime autoritario, retto da un antica famiglia dirigente, cattivo stato dei diritti umani, per non parlare dei diritti delle donne. Da una parte c’è la famiglia saudita, insensibile alle richieste di democratizzazione, che, per mettere in sicurezza il proprio regno, supporta tutte le politiche americane nella regione, dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti, che, per assicurarsi il flusso petrolifero a prezzi contenuti, sostengono un autoritario regime repressivo come quello dei Saud. Come ben sappiamo la storia della democrazia è storia di distruzione dei modi di produzione feudali e delle economie di rendita, come con la Rivoluzione Francese e l’industrializzazione che avvennero in Europa.

È veramente difficile oggi [liberarsi di questi modelli economici] quando hai una dipendenza da un potere esterno e interferenze straniere: se non si considerano tutti gli interessi in gioco (come ad es. la base navale US in Bahrein, come l’accesso ai flussi petroliferi,…) si possono scrivere pagine e pagine su diritti umani, e riempirsi la bocca con parole come democratizzazione e diritti umani, ma non si coglie quella che sta realmente succedendo!

Dobbiamo, senza ombra di dubbio, mettere la questione economica [del mondo arabo] al primo posto, ma, sfortunatamente, tutti i lavori accademici arabi sono polarizzati oggi dal fattore Islam: io appartengo ad una generazione che non considera l’Islam né il fattore centrale dei paesi arabi, né il suo problema preponderante. Oggi ogni cosa è cambiata, e l’appiattimento sull’Islam è strettamente funzionale al pensiero unico di cui abbiamo parlato poc’anzi.

I paesi arabi [per uscire dall’impasse dell’economia rentier] devono fare come Taiwan e i paesi del Sud-Est asiatico: questi erano paesi poveri, rurali, con un PIL più basso dell’Egitto dei primi anni ’60, guardiamo invece dove sono adesso. Essi hanno acquisito scienza&tecnica, hanno diversificato le loro economie. Qui, nel mondo arabo, manchiamo di questi fattori, siamo ancora totalmente economie rentier: siamo paesi superficialmente industrializzati, dove l’industria petrolifera è una specie di enclave senza connessioni con altri settori, dove c’è un altissima dipendenza dalla tecnologia esterna, siamo paesi nei quali la mentalità da rentier ha inibito la nascita di una mentalità imprenditoriale del rischio e della competitività, dove c’è un altissimo tasso di fuga di cervelli, paesi nei quali esistono pochissime opportunità per lavoratori qualificati, che preferiscono emigrare.

Ci sono stati senza dubbio dei tentativi di industrializzazione nel mondo arabo: guardiamo a Muhammad Alì in Egitto nel XIX sec e Nasser sempre in Egitto nel XX, o Boumedienne in Algeria e Saddam in Iraq, solo per guardare agli ultimi decenni. Sotto questi leader i loro paesi raggiunsero un livello rapido e spettacolare di sviluppo, attraverso l’integrazione delle donne nella vita pubblica ed economica, una scolarizzazione di massa, una diversificazione dell’economia, una profonda industrializzazione, con la creazione di metodi di sicurezza sociali per lavoratori e gente povera. Molti risultati sono stati raggiunti, ma ognuno di questi ha fallito per una serie di fattori, esterni ed interni: Mohammad Alì perché provò a deporre il Sultano Ottomano, Nasser per la sua sconfitta nel 1967 contro Israele e Saddam perché entrò in guerra contro l’Iran per accontentare l’Occidente e le petro-monarchie.

 

D: PARLANDO DEL SETTARISMO, STIAMO ASSISTENDO OGGI AD UN CLIMAX DELLE DIVISIONI SUNNITI-SCIITI, DOVUTI AD UNA SERIE DI FATTORI: L’INTERVENTO AMERICANO IN IRAQ NEL 2003, LA PARTICOLARE STORIA DI COSTRUZIONE DEL SISTEMA DI STATI E LA LOTTA PER L’EGEMONIA REGIONALE TRA IRAN E ARABIA SAUDITA. SONO DUNQUE QUESTE DIVISIONI SETTARIE, ALIMENTATE DAL CONFLITTO IN SIRIA, IL RISULTATO DI UNA STRATEGIA PREVENTIVA O IN QUALCHE MODO SONO QUALCOSA DI ESSENZIALE NELLA STORIA DELLA REGIONE?

C’è una descrizione molto ben fatta sull’uso politico, da parte americana e saudita, di questo conflitto in un articolo di S. Hersh (sul numero di marzo 2007 del New Yorker, dal titolo “The Redirection”4): gli Stati Uniti, dopo aver visto il disastro dell’occupazione dell’Iraq (che ebbe come unico risultato di aumentare l’influenza iraniana nel paese e, in Medio Oriente, dell’arco sciita), si sono decisi ad un confronto più serrato con l’Iran e, con lo scopo di indebolire il regime degli Ayatollah, hanno alimentato un esteso conflitto di carattere settario tra mussulmani Sunniti e Sciiti. Cioè, tutto quello che noi vediamo oggi, è il risultato dell’uso politico del settarismo religioso: se l’Iran fosse pro-US non ci sarebbe il settarismo! Comunque ecco perché oggi Hezbollah è demonizzato: non è questione di religione, per niente, anche se gli sciiti sono stati marginalizzati in molti dei paesi arabi, non è la religione il problema. Il problema principale è la politicizzazione delle sette, e il loro uso per contrapporsi e provocare scontri.

 

D: ARGOMENTO SIRIA: SI STA VIVENDO LA STESSA SITUAZIONE DELLE PRIMAVERE ARABE CHE ABBIAMO VISTO IN EGITTO E ALTRI PAESI? QUAL È IL RUOLO DEI POTERI ESTERNI?

No, secondo me non è la stessa situazione. Non c’è stata una sollevazione generale in Siria, affatto. Se si guarda alla mappa delle proteste in Siria, esse sono scoppiate a ridosso dei confini, in villaggi e aree rurali povere, dove c’era scontentezza poiché le linee di politica economica del regime, per seguire i dettami del Fondo Monetario e degli Stati Uniti, e per aprirsi gradualmente ad un’economia di mercato, avevano avuto una svolta neo-liberista. Ciò aveva inciso sui sussidi agricoli, che erano stati drasticamente tagliati, ciò nonostante il più grande successo del regime era stato raggiunto in termini di autosufficienza nella produzione di cibo: le aree rurali erano così tra i pilastri del regime. In aggiunta, anni di siccità danneggiarono gravemente il mondo rurale e contadino. Quando scoppiarono le proteste, ai confini con Turchia, Giordania e Libano, divenne chiaro come la politica occidentale e dei suoi alleati arabi fosse di usare le proteste per sbarazzarsi di Assad e deporlo: fu un calcolo sbagliato perchè ciò non teneva in considerazione la base sociale del regime di Assad, la sua forza e le sue debolezze, così come la distribuzione del suo potere. Tutto ciò avvenne dopo che gli States e l’Occidente avevano cercato di cambiare il comportamento del regime nella geopolitica regionale: Assad avrebbe dovuto isolare l’Iran, smetterla di finanziare Hezbollah, e tutto sarebbe stato ok per il suo regime. Ma Assad continuò sulla stessa via precedente, ecco perché gli States e l’Occidente hanno deciso di sbarazzarsi di lui, prima attraverso il Libano, accusandolo dell’assassinio di Hariri, e ora attraverso la guerra in Siria.

Lo ribadisco: la situazione della Siria è totalmente differente dalle sollevazioni popolari degli altri paesi arabi. Il popolo siriano è cauto guardando a cosa è successo all’Iraq dopo il 2003, e anche a ciò che ha vissuto il Libano dal 1975 agli anni ’90: non vuole una rivoluzione violenta, forse se non ci fossero eserciti e mercenari stranieri nel suo territorio avremmo potuto vedere un’estensione di questa rivolta parziale e contadina, ma quando il popolo siriano ha visto combattenti islamisti stranieri, oltre che le loro ideologie autoritarie e anti-democratiche, beh, ciò ha consolidato le basi sociali del regime, dato che la gente si è impaurita riguardo a ciò che sarebbe potuto accadere nel caso in cui il regime si fosse sbriciolato. Altra cosa: dobbiamo sicuramente sottolineare come Assad abbia fatto alcune riforme e concessioni all’opposizione interna, non sicuramente a quella “straniera”: alcuni prigionieri politici sono stati liberati dalle carceri e alcuni addirittura cooptati all’interno del governo.

Come ho già ricordato, i poteri esterni sono profondamente coinvolti: su tutti, sauditi e turchi. Essi non hanno mai nascosto i loro propositi, e continuano a dichiarare “vogliamo Bachar fuori”, in maniera chiara e giornaliera.

Per finire, penso comunque che la situazione siriana faccia parte di un grande disegno per indebolire la posizione dell’Iran, che è in diretta competizione con l’Arabia Saudita in Medio Oriente, e inoltre per indebolire lo stesso Hezbollah, che è diventato un importante attore regionale.

 

D: SUL COINVOLGIMENTO DI HEZBOLLAH IN SIRIA: CREDE CHE LA DECISIONE DEL PARTITO DI DIO DI PARTECIPARE AL CONFLITTO SIRIANO SIA UN “TRADIMENTO” DEL SUO RUOLO DI RESISTENZA ARABA? COSA PENSA DELLE DIFFICOLTÀ CHE STANNO INCONTRANDO IN LIBANO PER SPIEGARE IL LORO RUOLO IN SIRIA?

Non credo che stiano incontrando difficoltà. Quelli che non vogliono capire il loro comportamento logico sono semplicemente persone che vogliono solo demonizzare Hezbollah.

In quanto al conflitto siriano, dobbiamo ricordare che i primi libanesi che sono andati a combattere sono stati quelli anti-regime: molti estremisti sunniti dalla città a nord del Libano di Tripoli, vicino al confine siriano, che è poi diventata una grande base di reclutamento per l’opposizione siriana, sono intervenuti in Siria. In realtà Hezbollah è intervenuta abbastanza dopo, nell’estate del 2013. Oltre a ciò, se un governo islamista fosse emerso in Siria, Hezbollah avrebbe avuto le sue linee di rifornimento tagliate, e ciò avrebbe inibito la sua capacità di risposta ad un eventuale tentativo israeliano di attacco, come fu (in quello fallito) nel 2006. Ecco perché é molto chiaro come Hezbollah stia difendendo il suo ruolo di forza di Resistenza, è una conseguenza logica: sono gli unici in grado di tenere a freno Israele, e, per fare ciò, necessitano le linee di rifornimento siriane; al tempo stesso dobbiamo sottolineare che sono intervenuti in difesa dei confini libanesi dall’infiltrazione dei Jihadisti provenienti dalla stessa Siria.

E come ho già ricordato, la prevenzione della nascita di un governo islamista in Siria è a tutto interesse del Libano (e non solo di Hezbollah ), che ne risulterebbe completamente destabilizzato.

Penso dunque che Hezbollah stia senza dubbio comportandosi come forza di Resistenza, e stia, allo stesso tempo, difendendo il Libano e i suoi confini con la Siria dai combattenti islamisti, che hanno incominciato a diffondere il terrore in Libano (ossia a mandare macchine cariche di esplosivo in aree densamente popolate e contro l’ambasciata iraniana).

 

D: QUAL È L’IMPATTO DELLA CRISI SIRIANA IN LIBANO, E LA SITUAZIONE ODIERNA NEL PAESE DEI CEDRI?

Come ho sempre sottolineato, il Libano è uno stato-cuscinetto per conflitti esterni, ed è sempre stato così, fin da quando è stato concepito. Le cose sono cambiate solamente durante la carica di Èmile Lahoud, quando egli fu Presidente della Repubblica (1998-2007). Per la prima volta l’esercito fu rinforzato e ricevette chiari ordini di supportare e facilitare le operazioni della Resistenza contro l’occupazione israeliana del Sud del Libano, e, per la prima volta, l’esercito libanese ottenne una chiara e precisa dottrina militare. E tutto ciò permise di ottenere il ritiro israeliano dal Sud nel 2000, senza che vi fossero contropartite: fu un grandissimo risultato, perché il Libano riconquistò la sua sovranità su dei territori illegalmente occupati. Oltretutto Mr Lahoud tenne sotto controllo le azioni di Rafiq Hariri, che era uno stretto alleato dell’Occidente e dell’Arabia Saudita, e che stava provando a portare il Libano su posizioni ciecamente filo-occidentali nella regione.

Ecco perché Lahoud fu ostacolato dall’Occidente, specialmente dalla Francia, le cui relazioni tra il presidente Chirac e Hariri erano abbastanza “eccentriche”. Vorrei qui ricordare che Chirac, in una delle sue ultime visite in Libano nel 2002, dichiarò che l’esercito siriano si sarebbe dovuto ritirare dal Libano solamente in occasione della risoluzione del conflitto israelo-palestinese, poi nel 2004 cambiò idea e, insieme con gli States, pilotò una risoluzione, la 1559 del Consiglio di Sicurezza del settembre 2004, che chiedeva il ritiro siriano immediato!

Continuando a rispondere alla domanda, credo personalmente che, finché avremo un sistemo settario all’interno del Libano, rimarremo una specie di stato-cuscinetto, e, fintanto che ci sarà una potente oligarchia finanziaria e politica, che domina il paese, non potremo avere un sistema di tassazione funzionante ed egualitario che finanzi un esercito potente: ed ecco perché credo che avere Hezbollah, che non costa nulla allo stato, sia il miglior contrappeso possibile ad Israele. I libanesi che non vogliono vedere quest’equazione sono ciechi!

Ci sono poi molti cristiani oggi che sostengono Hezbollah. Ora c’è la tendenza ad analizzare ogni cosa libanese in termini settari, ma non funziona così: l‘Hezbollah è oggi protetto da un’implicita alleanza di popolazione secolare, cristiana, sunnita, drusa e sciita, di ogni estrazione sociale. Lasciatemelo dire: il problema del Libano non é Hezbollah, il vero problema è tutta la classe dirigente che crede, in tipico stile saudita, che lo stato sia qualcosa del loro patrimonio. Queste persone considerano la ricchezza dello stato come se fosse quella del loro portafoglio! E questo modo di fare politica è stato ben rappresentato in Libano da Mr Hariri: dato che egli ha vissuto in Arabia Saudita per anni, egli si è comportato come un monarca saudita che credeva che le istituzioni statali fossero suo patrimonio personale e dei suoi alleati nel sistema settario e nelle oligarchie finanziarie. E, sfortunatamente, questo modo-di-fare-politica tende a diventare senso comune nelle classi dirigenti odierne.

Per quanto riguarda ancora il sistema comunitario, esso permette alla corruzione di farsi sistema: perché non si può considerare affidabile un leader politico che si presenta come difensore dell’onore dei cristiani, dei sunniti etc etc. Questa è solo l’apparenza per nascondere il fatto che questi leaders stanno derubando il paese da sempre!

 

D: COSA PENSA DELLA COSTITUZIONE DEL TRIBUNALE SPECIALE PER IL LIBANO?

È semplicemente una presa in giro, ed esso non serve la nobile causa della giustizia internazionale. Fino ad ora i 4 generali libanesi e i 15 civili messi in carcere, sotto falsa testimonianza per 4 anni, non sono stati ricompensati ne hanno ricevuto delle scuse: questo sembra incredibile! E invece coloro che hanno dato falsa testimonianza sono ancora protetti dall’Occidente. Fondamentalmente si tratta di un atto contro la sovranità libanese, incostituzionale: la richiesta del Presidente della Repubblica, che dovrebbe, per costituzione, condurre i negoziati del trattato internazionale ed emendare una bozza di trattato che istituisca il tribunale, non è stata presa in considerazione dall’ONU, mentre lo stesso trattato non è stato approvato dal Parlamento. Si tratta di uno strumento usato de-facto per influenzare gli affari interni libanesi, solo per creare pressioni alla Siria prima, e oggi usato contro Hezbollah, che sta venendo accusato di aver portato a termine l’assassinio di Hariri.

Ciò che è ancora più scandaloso é che il Libano paghi ogni anno, per il Tribunale, l’equivalente dell’intero budget a disposizione del Ministro della Giustizia!

Le corti penali internazionali sono create per giudicare i responsabili di crimini di guerra, genocidi, assassinii di massa, pulizia etnica e trasferimento forzato di popolazioni: è dunque inappropriato creare una tale corte per giudicare un assassinio politico (compiuto in un paese sovrano)!

Pochi mesi dopo che Hariri è stato ucciso, ci fu l’assassinio dell’ex primo ministro Benazir Bhutto in Pakistan, e nessuno richiese l’istituzione di una speciale corte internazionale per identificare e giudicare i responsabili…

 

D: SULLA QUESTIONE PALESTINESE, QUAL È L’ATTUALE E PIÙ PROBABILE SCENARIO? LEI HA SCRITTO: “AGLI ARABI È STATO CHIESTO DI CAPIRE E ACCETTARE LA DINAMICA ISRAELIANA CHE HA TRAUMATIZZATO LE LORO VITE, SENZA CHE GLI ARABI SIANO MAI STATI RESPONSABILI DELLA SHOAH”, COSA INTENDE CON CIÒ?

Noi, come arabi, non siamo implicati nella Shoah. Non ci riguarda. Tutti gli ebrei che vivevano nel mondo arabo furono trattati alla stregua degli altri cittadini, salvaguardati: la Shoah è un problema europeo, come ho analizzato nei miei libri. C’è stato un spostamento dell’ostilità degli ebrei dai tedeschi e dagli europei, che perpetrarono il genocidio durante la seconda guerra mondiale, verso gli arabi in Palestina: ma noi arabi non abbiamo niente a che vedere con lo sterminio di massa degli Ebrei d’Europa, non possiamo in alcun modo essere considerati responsabili per questo! E inoltre non possiamo provare quei sentimenti di colpa che gli europei giustamente provano. È molto semplice: dato che i popoli arabi e la loro cultura non hanno fatto parte dell’antisemitismo europeo, culminato col genocidio di massa, non ci si può chiedere di sviluppare una sorta di sensibilità artificiale verso l’Olocausto per comprendere le preoccupazioni in materia di sicurezza di Israele. Noi siamo naturalmente portati a empatizzare con la sofferenza che stanno vivendo i palestinesi fin dalla creazione dello stato d’Israele, e con le sofferenze che abbiamo passato in Libano per mano israeliana, con le sue crudeli operazioni militari e l’occupazione della nostra terra, prima dal 1978 al 2000, e poi di nuovo nel 2006.

Parlando del problema israelo-palestinese, credo che l’unica soluzione possibile sia la “one-state solution”: ciò potrebbe impiegare 20,30,40 anni, non lo so in realtà. Quello che so per certo è che palestinesi e israeliani possono vivere insieme, basta guardare alle varie inziative comuni, come l’Orchestra Israelo-Palestinese: il problema è la leadership israeliana e il supporto attivo all’occupazione e alla politica degli insediamenti che Israele riceve dai paesi Occidentali.

Ad ogni modo (giungere ad una soluzione definitiva) significherebbe mettere in discussione l’idea sionista, ma oggi abbiamo molti sionisti che non sono ebrei, e che sono degnamente rappresentati nelle lobbies e nei governi, e un sacco di ebrei anti-sionisti, che sono in realtà ridotti al silenzio e messi in secondo piano! Questa è una situazione veramente paradossale!

 

D: UN’ULTIMA DOMANDA: LEI HA STUDIATO LE CATEGORIE DI PENSIERO ATTRAVERSO LE QUALI IL MEDIO ORIENTE É ANALIZZATO E IL MODO IN CUI È COLTO DALLO SGUARDO OCCIDENTALE. TUTTO SEMBRA APPIATTITO SULL’ELEMENTO RELIGIOSO (ed etnico). QUESTO COME PUÒ AVER CONTRIBUITO ALLA FRAMMENTAZIONE/DEBOLEZZA DEL MONDO ARABO, E COME PUÒ AVER AIUTATO A RIPRODURRE UN VUOTO DI POTERE?

Bene, il grande cambiamento avvenne quando l’Unione Sovietica collassò: nel passato c’erano un sacco di arabi che si recavano a studiare nel paese sovietico e nell’Europa Centrale, che era sotto la dominazione di Mosca. Tutti questi arabi ritornavano nei propri paesi con un background socialista, animati da buone intenzioni, anti-imperialisti e laici. Oggi, negli ultimi 30 anni, abbiamo persone che vanno a ricevere un’educazione solamente in Occidente: quando questi fanno ritorno nei paesi d’origine sono completamente imbevuti di mentalità neo-liberal, e anche le loro categorie di pensiero sono modellate secondo le agende occidentali e/o dell’ONU! Il vuoto di potere consiste nel fatto che un’agenda araba comune ancora non esiste o, in molti casi, è totalmente appiattito su quelli occidentali!

Così ci sono un sacco di ottimi lavori che non seguono il trend principale, che non considerano l’Islam politico come il fattore principale del mondo arabo: e nessuno, nei media e nel mondo accademico, li prende in considerazione! Personalmente sono molto contento nel vedere persone che leggono i miei libri e articoli, che sono totalmente al di fuori dal mainstream, benché gli stessi miei scritti siano ispirati dalla mia fede nei valori umanistici!

Ecco perché evito di parlare con rappresentanti europei o americani, perché essi sentono solamente quello che voglio sentirsi dire: ma, al contrario, se hai un diverso punto di vista, essi tendono a ignorarti. Questa è la tipica forma-mentis della conoscenza occidentale: questo è il sistema culturale, che riproduce un tipo stereotipato di conoscenza sul Medio Oriente, quella che l’ultimo Edward Said criticò radicalmente nella sua opera famosissima “Orientalismo”.

Oggi possiamo proprio cambiare questa specie di Grande narrazione, attraverso le conquiste delle primavere arabe: queste ultime possono essere anche considerate l’inizio di una contro-narrazione collettiva! Che non è finita, che è ancora in corso: sono stato in Egitto poco tempo fa e la gente mi diceva che stava aspettando per una terza ondata di rivoluzione!

Per finire, penso che l’idea della giustizia sociale possa unire le classi più basse e la classe-media, religiosi e laici, gente povera e lavoratori, così come la borghesia illuminata: dobbiamo dare sostanza ai discorsi rivoluzionari, per ricomporre e riunire insieme nuovamente le forze del cambiamento!

 

Note:

1 Muhammad Alì Pascià (1769-1849) è considerato il padre fondatore dell’Egitto moderno. Mise fine alla dominazione mamelucca, modernizzò l’esercito, portò avanti politiche di industrializzazione e di rinnovamento nell’amministrazione dello stato, creò un sistema di istruzione generalista, slegò sempre più il paese dall’Impero Ottomano.

2 A seguito della vittoria nelle elezioni del Fronte Islamico di Salvezza (FIS), l’esercito prese il potere con un colpo di stato nel gennaio 1992. A seguito della repressione che seguì il golpe, (alcuni) islamisti formarono gruppi armati dediti all’assassinio di intellettuali laici e liberali, e a personalità di sinistra: molti di questi gruppi erano formati da combattenti che avevano partecipato alla guerra contro l’invasione sovietica in Afghanistan nel 1979, ed erano portatori di ideologie salafite.

3 Il Bahrein ospita la Naval Support Activity della Marina Militare americana, dove è di stanza il Comando Centrale delle Forze Navali e la Quinta Flotta. Quest’ultima è responsabile per le operazioni nel Golfo Persico, Mar Rosso, Mar Arabico e una parte di Oceano Indiano.

4http://www.newyorker.com/reporting/2007/03/05/070305fa_fact_hers

 

 

ORIGINAL VERSION:

Dialogues with Georges Corm


Interview by Lorenzo Carrieri (Beirut, April 2014)

 

–A while ago we witnessed the outbreak of the Arab Uprising: of that experience what survives today? After military coup in Egypt (and Sisi victory at the poll), Islamic seizure of power of Tunisia, the power of Islamic militias in Lybia DOES IS STILL MAKE SENSO TO TALK ABOUT UPRISING?–

One, in the short term, is tempted to be pessimistic, looking at what happened. But 2011 Uprising are historical event that can still produce a lot of new waves, a lot of attempts by arab social classes: it’s a revolutionary footprint inside the Arab world. If you take every revolutions, the Russian one, the French one, the Chinese one, each of these has had his stage, the same in the Arab world: revolution can’t happen in 3 days, it’s a longstanding process.

I believe events of 2011 were great: they have helped to reconstitute what I call “arab collective consciousness”, that is something totally wrong with the way the arab countries have been managed. I also believe these events will remain in the minds of the people, as much as we have seen Gamal Abdel Nasser came back to the forefront. Finally we can’t have a judgment of what is going to happen in the future, so far what we can see is what has derailed. The outcomes of these popular revolt has been seriously affected by something you can’t clearly identify, and that are not new in the Arab history: that is foreign interference, which has been extremely intense and deep if you look at the Libyan and the Syrian situation. This is almost unbelievable.

Personally I was not astonished at all that the same coalition of anti-change forces in the Arab world and in the West got togheter in order to abort these mass movements, going from Oman to Mauritania: here again we got the alliance of muslim conservative forces, whose big sponsors are Qatar and Saudi Arabia, and western countries. We have witnessed this coalition on the job with the military intervention in the case of Syria: not directly by western armies but thanks to the use of proxies and foreign invaders/fighters, coming in the name of Islam. So personally I am not surprised that is the same coalition that as formed against Nasser and against Muhammad Alì in Egypt. This is a very strategic region, it contains huge energy reserves: it is extremely difficult, in absence of a powerful arab state, to prevent all these interventions.

 

–Why The ISLAMIC FORCES HAVE BEEN ABLE TO TAKE OVER THE UPRISING INSTEAD OF LEFTIST ONES?–

I wouldn’t talk about leftist forces, it is negatively connoted: I would rather talk about forces of change. Islamists in the squares were a minority, and sometime they didn’t share the revolutionary view of the most of the people, they stood aside: but when elections has been held, they were the biggest force on the ground, they had well-ground organizations and widespread networks of charitable NGOs in rural and poor areas of the largest arab towns. They’ve been established there since 40-50 years, and they handled petro-dollars: Islamist forces were very well ingrained and I immediately saw they were going to win the elections. They were also able to exercise a kind of hegemony in the media mainstream, both Gulf and Western ones: Islamists showed off themselves as a victim of bloody longstanding dictatorships, of stupid arab nationalism. There’s a kind of story-telling about this, on the contrary no one talks about secular and leftist activists have been imprisoned and tortured, no one talks about what happened in the Gulf countries where there are political-religious dictatorships under the form of monarchies far more bloody than others: this view has helped them a lot.

In Egypt the forces of change presented a candidate, mr. Sabahi Hamdine, but as the followers of the Moubarak fallen regime were allowed to present a candidate, Ahmed Chafic, the former prime minister under Moubarac, this has facilitated the election of Mohammed Morsi the Muslim Brotherhood candidate who was elected with a few votes above those obtained by Mr. Sabahi. In Tunisia we witnessed the return of Ennhada, and also we have the Unions, that are very might and powerful. But it’s totally different when you have general elections, the help of foreign money and the balance-of-power on you: the Muslim Brotherhood was able to set up a good image, even in spite of what happened in Algeria in the 90’s. People still tend to believe they were victims, that was awful to put them in jail. This views has been spread by the story-telling: the Islamists were martyred people, as they deserved to be elected and rule the country, because all the secular elements have failed. But this story-telling didn’t stand when put to the test: we have seen the popular reaction in Egypt, when millions of people gathered in the squares asking Morsi to step down. In Tunisia the situation seems to be better: it’s smaller than Egypt, trade unions are powerful, there are feminist movements opposing Ennhada, and when Islamist violence erupted, with the assassination of liberal personalities, Tunisians have been able to redress the situation and to get positive development, like the new constitution.

Coming back to Egypt, I don’t know if the outlaw of Brotherhood will stabylize the situation, I hope so. It’s a complex and paradoxical situation, because military rule that toppled down Morsi is backed by the largest Islamist power in the region, Saudi Arabia. In my view Saudis have always been the most powerful sponsors of every muslim Brotherhood branch in Arab and Moslem countries, to secure its influence and maintained tensions inside its Arab neighbors: But in the case of Egytp something else is to have a Muslim Brotherhood regime in the greatest arab country which would be in competition with Saudi Arabia leadership. And this happens not only in the Arab world but in the whole muslim world: it’s interesting to see what is gonna happen, even in the light of the paradoxical behaviour of the Gulf countries towards the various Brotherhoods.

 

–What about the “islamization” of the societies you talked in your works?–

I wrote a lot on the instrumentalization of Judaism, Islam and Christianity during the last period of the Cold War. It was clearly a policy backed by the United States in order to balance communist forces in the Arab World. We don’t have to forget that communists were very powerful in the muslim countries: in Iran with Tudeh, in Iraq, also in Egypt and in Indonesia and Sudan.

Story-telling doesn’t say this, because, for the majority of people, the communism will not match with Islam, but this is an orientalistic point of view. The US started to panic looking at the spreading of the socialist idea all over the arab world during the sixteens and seventies of last centuries, so they began a particular policy, under the inspiration of security advisor Zbigniew Brzezinski: to arise the religious sentiment in order to counterweight the extension of various forms of communist ideologies. This was the same Pope John Paul II did in Poland. It is not a new fact the use of the religious factors to contrast the secular ideas: even in Judaism we have witnessed the same, with a lot of well-meaning intellectuals and liberals turned into a neo-conservative point of view.

Anyway, about Islamization of societies and the repression of communist movements, we have to look of what happened in Sudan: here we had the most influential communist party in the Muslim world, and the Islamist forces of Nimeiry, ally of the US, cracked down on communists. The same happened in Indonesia, with the crack down of Suharto regime, that killed more than 500’000 people. In Iran happened what I called geopolitical misunderstanding: Khomeini has been brought there to prevent the takeover by the Tudeh Iranian communist party allied to the islamo-marxists Mujahidin Khalq and the liberals under Mehdi Bazargan. But for the West Khomeini should’ve been another Muslim Brotherhood, indeed the US wouldn’t have tought he could turn into an anti-imperialist and anti-US head of state: they put Khomeini in Paris at the time the Shah was still in office in Iran in order to use him definitely against the secular political and nationalist forces. We can say there is a kind of “market” of religions as US sociology describes it, it’s a big business, even here in Lebanon.

But what I want to stress is that “use of religion” doesn’t mean a decline of secular ideas, like panarabism: for instance, if we look at what happened in the Arab Uprising, we see the outbreak of a new wave of “arab collective consciousness”. And even in this case the political regimes preferred to counterweight this “arab consciousness” with the use of political Islam, because is easier to deal with pan-Islamism, that doesn’t call into question anything of the power structures, rather than with panarabist/change forces.

 

–HOW COME THE MONARCHIES DIDN’T EXPERIENCE THE UPRISING?–

First of all they experienced the Uprising: definitely they experienced! Except probably for Kuwait and United Arab Emirates, we have Oman, Bahrein and Saudi Arabia revolts that broke out in 2011: the problem has been that there was not media coverage of these events, it was not interest to spread the image of these revolts. We don’t have to forget that Bahrein has been invaded by Saudi Army, who helped the ruling family of Al-Khalifa to crack down on the Uprising: but, despite the repression, the demonstrations goes on, daily. Even in Saudi Arabia we had revolts, above all in the eastern areas of the Kingdom, mostly inhabited by Shia populations: here the monarchy, to keep under control the situation, on one hand increased the pay, gave economic incentives and made some superficial concessions on personal freedoms; on the other hand they still carry on the repression. Nevertheless we have to consider that these revolts, Bahrein and Saudi, are not related to the fact the rioters are mostly Shia, though they are deprived and exluded from social and political life, but are supported by by numerous liberals Sunni which wants to change the situation. The weird thing is that US has not have a foreign policy on what happened in the Arab world during 2011 spring: each day there was a declaration of some american official that contradicted the one of the day before. Anyway the US are pragmatic towards the Arab Uprisings: they officialy backed revolts and requested democratization, but, off-the-record, in some case they stood with the status quo, like in Bahrein, where they have a very important naval base, and in Saudi Arabia, which is their key ally in the region.

 

–Do you still think that the big problem of the Arab countries is the rentier economy? How much the economic factor could explain the robustness of authoritarianism and the weakness of society?– 

First and foremost we have to say that rentier economy can only take place if you have an authoritarian regime: to consolidate rentier economy you need an authoritarian regime. All the discourse of promoting democracy in the Arab world without dealing with rentier economy have no meaning, because there’s no relevance with the socio-economic reality on the ground. I am shocked by this situation: few intellectuals deals with the socio-economic causes of the revolts in the Arab world, and almost no political forces developed a kind of counter economic discourse against the hegemonic one, i.e. the rentier view of the economy. You have to analyze the demographic structures of the people who went to the streets: of course you have the bourgeoise class, this one is polarized by people who wants political liberty and free elections. But the mass of the people, 70% according to me, was poor people, whose struggle was very clear: They wanted bread, dignity, employment opportunities, as well as end to the corruption and undue concentration of wealth in the hands of a happy few. This struggle has never been economically analyzed, no one talked about changing development and economic patterns arab states are following, which are fundamentally rentier public policies consolidating the use of the rents in a few hands. My explanations is that arab young generations have been intellectually raised in a neo-liberal structure of mind: they study at Harvard, at Sorbone, at Soas, they completely get neo-liberal economy as a dominant model, and this is totally different from the experience of my generation: we studied political economy, welfare state, the distribution of wealth and the social justice. Today the new generation cannot conceive something different from neo-liberal economy, and this is a drama in my view. There’s a single minded economic thinking. No one writes about how to improve social justice, how to increase competitiveness, how to really acquire science and technology, how to stop the brain drain. These are questions no one talks about. To answer the question: yes, we can also explain the lack of democracy through economical factors. When you have an economic structrure totally encapsulated in such a relations of dependency on sources of rent controled by the neo-patrimonial States, of course you have to put down authoritarian structure to ensure the improvement of the country’s economic performance in terms of employment and social justice. Let’s look at Saudi Arabia: authoritarian regime, ruled by an ancient ruling family, bad state of human rights, not to mention woman rights. On one hand you have the Saudi family, insensitive to requests of democratization, that, to secure their reign, bolster all the US policies in the region, on the other hand we have the United States that, to ensure the oil flows, back a repressive authoritarian regime like the Saud one. As we know the story of democracy is story of putting down feudalism and rentier economic model, like the French Revolution and the industrialization that followed it all through Europe. It’s very hard today, when you have dependency and interferences: if you don’t consider all the interests involved (like naval base of US in Bahrein, like to guarantee oil flows,…) you can write a lot about human rights, about democratization, but you can’t grasp a full knowledge of what is really going on.

We have to put economic matter at first, but unfortunately all the arabic academic works is polarized by Islam: I belong to a generation which consider Islam nor the capital factor of Arab countries, nor a problem. Today everything has changed, and the flattening on Islam is functional to a single thought we’ve talked while back.

Arab countries has to do like Taiwan and the South Asian countries: these were extremely poor rural countries with GDP per capita lower than that of Egypt in the early sixties, look where they are now. They acquired science and technology, they diversified their economies. Here we lack of these factors, we are still typical rentier economy: we are superficially industrialized, oil industry is a kind of enclave without connections to other sectors, we have a technological dependency, rentier mentality of easy money inhibiting business mentality of risk and competitiveness, and we also suffer from a massive brain drain, indeed there are low opportunity of works for high-skills people, that prefer to emigrate. 

There were some attempts of industralization in the Arab world: look at Muhammad Alì in Egypt in the XIXth century and Nasser also in Egypt in the XXth century, or Boumedienne in Algeria, and Saddam Hussein in Iraq last century. Under these leaders their countries countries developed in a spectacular and rapid degree with integration of the woman in the public and economic life, general education, diversification of economy, industralization, social security for workers and poor people. Lots of achievements has been reached, but each of them failed for a combination of internal and external factors: Mohammed Alì because he tried to topple down the Ottoman Sultan, Nasser because was defeated in 1967 war against Israel and Saddam Hussein because he went to war against Iran to please the West and Petro-Monarchies.

 

–We are witnessing a climax of the sectarian divisions Sunni-Shia, due to a lot of factors: the american intervention in Iraq in 2003, the particular construction of regional States-system and, ever before, the struggle between Iran and Saudi Arabia. Are the clash Sunni-Shia a result of the alignment of regional powers or somehow essential in the history and society of the region?–

There was a very good description of the political use by US and Saudi of these strifes in a Seymour Hersh article (in the New Yorker issue of march 2007, under the title “The Redirection1): the US, after seeing the disaster of the occupation of Iraq (which had the only result to increase Iranian influence in this country ans in the so-called Shia Crescent), has brought themselves closer to an open confrontation with Iran, and, in order to undermine Teheran, they fueled a widening sectarian conflict between Shiite and Sunni Muslims. I mean, it’s a political use of religious sectarianism: if Iran was pro-US there wouldn’t have been sectarianism! Anyway that’s why today Hezbollah is demonized: it’s not about religion, at all, even if the Shia have been marginalized in most of the Arab world, it’s not the question. The main question is the politicization of the sect, and their use to antagonize and provoking strifes.

 

–Talking about Syria: Is it the same situation of Arab Uprising we witnessed in Egypt and other countries? What is the role of external powers?–

No, according to me it’s not the same. It was not a general uprising in Syria, at all. If you look at the map of Syria the protests were on the borders, in poor rural villages and areas, where there was miscontent, because for years the economic policiess of the regime, to please IMF and the US, and to open gradually to a free-market, has turned into a neo-liberal one. This has weighed on agricultaral subsidies, which has been drastically cut, while the biggest success in the Assad regime has been reached in terms of self-sufficiency of food production: the rural areas were among the pillaries of the regime. In addition, there had been years of drought that harmed the rural world. When the protests broke out on the borders with Turkey, Jordan, Lebanon it became a clear policy of the West and its arab allies to get rid of Assad and to topple him down: it was a big miscalculation because they didn’t consider the social basis of Assad regime, their strenght and the weaknesses, as well as the distribution of powers. All this came after the US and the West tried to change the behaviour of the regime in regional geopolitics: isolate Iran, stop fund Hezbollah and everything it will be ok for your regime. But Mr. Assad kept on the same line, that’s why US and the West decided to get rid of him, first through Lebanon, indicting him for the Hariri assassination.

I reaffirm: Syria situation is totally different from the Uprising of other Arab countries. People of Syria is very careful of what happened in Iraq after 2003, and also of what experienced Lebanon from 1975 to 19900. They don’t want a violent revolution, maybe if there were not arms and foreign fighters we could’ve seen an extension of this partial rural revolt, but when the syrian people saw the foreign islamists fighters and their authoritarian and anti-democratic ideology, well, it consolidated the social basis of the regime, as people became afraid of what could hapen if the regime was to crumble . In addition we have to say that Mr Assad made some reforms and concessions to the internal opposition, not to the foreign one: some political prisoners has been freed and some were even coopted inside the government.

As I just said external powers are deeply involved: above all, Saudi and Turkey. They’ve never hide their purposes, they keep on saying “we want Bachar out”, clearly and daily. I think it’s all a part of a big move to weak the position of Iran, which is the direct competitor of Saudi Arabia in the Middle East, and to weak also Hezbollah, which became a big regional player.

 

–Talking about Hezbollah involvement in Syria: Is it a betrayal of their role of Resistance ? What about the difficulties they are facing in Lebanon to explain their role in Syria?–

I don’t think they are facing difficulties. Those who don’t to understand their logical behavior are simply people who just want to demonize hezbollah. In this respect, we have to remind that the first Lebanese that went to fight in Syria from Lebanon were against the regime: a lot of sunni extremists from the northern town of Tripoli on the border with Syria, which became a big base of Syrian opposition, stepped into the conflict. As a matter of fact Hezbollah came in quite late in the summer of 2013. In addition, if an Islamic-rule governement can emerge in Syria then Hezbollah would be cut off his arms supplies and this would affect its capacity to prevent another Israeli attempt to crush them like the failed one in 2006. that’s why it is very clear that Hezbollah is defending its role of Resistance, it’s a logic thinking. They are the only able to placate Israel and so they need their supply routes from Syria, then they are also defending the borders of Lebanon from the infiltration of Jihadists. Preventing an extremist Islamist government to take over in Syria is also to the advantage of Lebanon who would then be completely destabilized.

I think Hezbollah is definitely acting as a Resistance force and it has defended the Lebanese borders with Syria against Islamic fighters that had began to diffuse terror in Lebanon (namely sending cars full of explosives in densely populated areas and against the Iranian embassy.

 

–What is the impact of the Syrian crisis on Lebanon and the nowadays situation of the country?–

As I always said Lebanon is still a buffer state for foreign battles, and it has always been like this, since it was conceived. Things changed just during Mr Lahoud office, when he was president of Republic (1998-2007). For the first time the Army was strenghtened and received clear orders to support and facilitate Resistance operations against the Israeli occupation in Southern Lebanon.,For the first time the Lebanese army got a clear military doctrine. That has allowed the process to get the withdraw of Israel in 2000, without any counterparts: this is a great achievement, because Lebanon regained his sovereignity over illegally occupied territories. Furthemore Mr Lahoud reined in the actions of Mr Hariri, which is a strict ally of the West and Saudi Arabia trying to bring Lebanon as a blind ally of Western/Arab policies in the region.

That’s why Mr Lahoud was antagonized by the West, expecially by France, where the relations between President Chirac and Mr Hariri were quite odd. I would like to remind that Mr Chirac, in one of his last visit to Lebanon in 2002 claimed that the Syrian army should only withdraw from Lebanon when Palestine-Israel conflict will have been solved, then in 2004 he suddenly changed his mind and together with the USA manouvered to have Syria ouyt of lebanon through Resolution 1559 of the Security Council in september 2004!

Keeping on answering the question, what I personally believe is that as long as we have sectarian system inside Lebanon we will remain a kind of buffer state, and, as long as we have a powerful oligarchy, financially and politically, which is dominating the country we cannot have a performing and equitable tax system in order to finance a powerful army: and this is why I believe having Hezbollah, which doesn’t cost to the state, is the best counterbalance to Israel. The Lebanese who doesn’t see this equation are blind.

There are a lot of Christians now standing with Hezbollah. Now we have the tendency to analyze everything in terms of sectarianism, but it’s not right like this. The Hezbollah is now protected by an implicit alliance of secular, Christians, Sunni, Druzes and Shia people, of every walk-of-life. Let me say this: the problem of Lebanon is not Hezbollah, the real problem is all the ruling class that believes, in a tipical Saudi way, that the state is something of their own patrimony: they consider the wealth of the state as if it’s the one of their pocket! This way of doing politics has been well-represented in Lebanon by Mr Hariri: as he lived in Saudi Arabia for years, he behaved like a Saudi monarch believing that the State institutions were his personal patrimony and that of his domestic political allies in the sectarian system and the financial oligarchy of the country. And, unfortunately, this behaviour tend to become common sense in the today’s ruling classes. 

The communitarism system allows the corruption to became a system, because you can never hold accountable a political leader who presents himself as defending the “honour” of Christians, Sunnis,… it is just appearance to hide that you are robbing your country all time long!

 

–What about Special Tribunal for Lebanon?–

It’s simply a joke, it doesn’t serve the noble cause of International Justice. Up to now the 4 lebanese generals and 15 ordinary lebanese put in jail under false testimony , for 4 years, weren’t compensated and were not apoligized: this sounds incredible! And those who are perjurying are still protected by Western powers. Definitely it’s an act against the sovereignity of Lebanon, unconstitutional, the request of the president of Republic, who is supposed by constitution to conduct negotiations of international treaty, to amend the draft treaty instituting the tribunal were not taken in account by the UN, the treaty was also not approved by Parliament. So it’s a de facto instrument used to influence internal affairs of Lebanon, just to create pression against Syria before, and now against Hezbollah who is being accused of carrying the assassination of Hariri. What is more outrageous is that Lebanon pays every year for this the equivalent of the whole budget of the Minsitry of Justice ! International penal courts are created to judge those responsible of crimes of war, genocide, mass murder and forced displacement of population. It is improper to create such courts to judge political assassination. A few months after Hariri assasination, there was the assasination of former prime minister Benazir Bhutto in Pakistan, nobody asked to institute a special international court to identifie and judge the killers …..

 

About Palestine: By now, which is the probable scenario? You said: “Arabs are asked to understand and to accept Israeli dynamics that shocked their own lifes, without Arabs had never been in charged with the Shoah” What do you mean with this?–

We as Arabs are not concerned with the Shoah, it’s not our problem. All the Jews in Arab world were well-preserved, that’s an European problem. I analyze it in my books. There was a transfer of normal jewish hostility vis à vis the Germans and the Europeans who perpetrated the genocide during world war II towards the Arabs in Palestine: but we have nothing to do with the mass extermination of the Jews, we cannot be considered in charge with this! And also we cannot feel the same guilts as European people rightly do. It’s very simple: as the Arab people and their culture have never been part to European antisemitism culminating with the genocide, we can not be asked to develop a kind of artificial sensibility toward the Holocaust in order to understand the Israel’s demands of security. We are naturally concerned to the misery that has affected the Palestinian people since the creation of the State of Israel in 1948 and with the misery we suffered ourselves in Lebanon on the hand of the Israeli army and its cruel operations and occupation on our soil from 1978 to 2000 and then again in 2006.

Talking about Palestine-Israeli problem, I think the only soluton is the One-State solution: it would take 20, 30, 40 years, I really don’t know. What I know is that Palestinians and Israelis can live together, just see to the various initiatives like the Palestinian-Israeli Orchestra: the problem is the the Israeli leadership and the full support of its occupation and settlement policies it receives from Western countries . Anyway it would mean to call into question the zionist idea, but we’ve got a lot of zionists that are not Jewish, and they are well-represented in the lobbies and governements, and a lot of Jewish non-zionist, which is actually silenced and backgrounded! This is a paradoxical situation!

 

–YOU STUDY THE CATEGORY THROUGH WHICH MIDDLE EAST IS ANALYZED AND THE WAY THE WESTERN PEOPLE GET THE MIDDLE EAST: ALL IS FLAT ON RELIGIOUS ELEMENTS. HOW HAS THIS CONTRIBUTED TO THE FRAGMENTATION-WEAKNESS OF ARAB WORLD AND TO REPRODUCE A POWER VACUUM?–

Well, the big change happened when Soviet Union collapsed: in the past there were a lot of Arabs going to study in Soviet Union and in Central Europe, which was under Moscow domination. All these Arabs came back with a socialist background, well-meaning, anti-imperialists and secularists. Now, in the last 30 years, you have people going to study just in the West: when they come back are deeply involved in neo-liberal mind, and their categories of thoughts are also shaped by Western and UN agenda! The vacuum is that an Arab agenda still doesn’t exist or is totally flatten in most cases on Western one! So you have a lot of good works that are not on the main trend, that do not consider political Islam as the main factor of Arab world: nobody takes care of these in academia or in the media! Personally I’m really happy to see people reading my books and articles, that are totally out of the mainstream agenda, altough my writings are inspired by my creed in humanistic values!

That’s why I avoid to talk with European of Us representatives: because they hear you just in the case you tell them what they would like to hear. But on the contrary if you have different views they tend to disregard them. This is the typical forma-mentis of the Western-knowledge: this is the cultural system, which reproduces the stereotyped kind of knowledge about the Middle East that the late Edward Saïd criticized radically in his famous book “Orientalism”.

We can just change this kind of Big Narration through the achievements of the Arab Uprising: it could be also considered the beginning of a collective counter narration. It’s not over, it is still ongoing: I was in Egypt a while ago and people told me they’re waiting for a third wave of revolution! I think the the idea of social justice can unite underclasses and middle classes, religious and secularists, poor people and working classes, as well as enlinghtened bourgeoisie: we need to give substance to revolutionary discourses, in order to recompose and bring back togheter the forces of change.

 

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