Elezioni europee e Lista Tsipras: Il dibattito è aperto #1
Molt* compagn* suggeriscono una lettura ideologico-massimalistica di Infoaut sull’argomento, cosa che non corrisponde al nostro ragionamento. Come abbiamo già detto, ci sono situazioni, contesti e momenti in cui il voto può anche assumere – a ben determinate condizioni – una valenza e un’utilità. Non ci sembra questo il caso, dove un’accozzaglia di “personalità” dalla provenienza e dagli orientamenti spesso divergenti si mettono insieme per “un’altra Europa”, mai definita nelle linee sostanziali (tra l’altro, ci risulta da qalcuni scambi avuti con compagn* grec*, alcune componenti dell’aggregato Syriza sono tentate da ipotesi anti-europeiste).
L’insistenza sulla “necessità di Europa” è poi quanto di più generico e astratto si possa immagnare. Non si capisce perché i fallimenti su scala nazionale della sinistra verrebbero magicamente risolti con un tocco di bacchetta magica europea, laddove vediamo solo la sommatoria di debolezze e limiti. Qual è stato il dibattito europeo che ha portato alla lista? Quali forze del cambiamento si stanno misurando su questa scommessa? Silenzio… Gli euro-entusiasti di casa nostra non adducono ragioni, agitano parole magiche e pretendono qualcosa che sembra molto ad un atto di fede. La nostra impressione è che l’agitarsi della discussione sia un fatto soprattutto italiano… (ci viene detto che “Tanto maggiore sarà il valore della lista Tsipras quanto più riuscirà ad essere «non italiana» e, per certi versi, «antitaliana»” ma poi troviamo qui dentro vari tromboni, trombati e intellighentsia varia di quella sinistra made-in-Sel e affini, di cui ci sarebbe tanto bisogno di sbarazzarsi!).
Nulla ci toglie dalla testa che tanto entusiasmo per questa ennesima avventura elettorale, se si escludono i nostalgici di Social Forum, Arcobaleni e Albe mai sorte, si annidi in quella sinistra molto liberal, tra Sel, Micromega e Repubblica che sente la necessità di apoggiare il greco e chi gli si accoda, da un lato per recuperare l’emorragia di voti a sinistra irriducibili al renzismo, dall’altra per esorcizzare le derive verso il voto grillino. Piaccia o meno – e a noi non esalta – è l’unico attore della politica istituzionale italiana che ha alzato la voce di fronte alle nuove ruberie e ristrutturazioni operate tra Parlamento e Governo (a differenza di Vendola che tra una telefonata ad Archinà e un brindisi con Scajola non si fa macare proprio niente!).
Detto questo, al di là di tutte le considerazioni già espressa sopra, c’è poi anche una questione di fiducia personale, che non ci sembra sia accordabile a nessuno dei delegati, con la sola eccezione di Nicoletta Dosio, che siamo sicuri – nel caso fosse eletta – non mancherebbe di presenziare a tutte le marce verso il cantiere di Chiomonte e alle altre iniziative del movimento e de* compagn*, a prescindere dalla loro legalità. A lei (e a Gigi Richetto, anche lui del movimeno Notav) facciamo gli auguri che merita(no) – pur restando della nostra opinione. In fondo a questa pagina, riportiamo quindi le sue ragioni – e condizioni – relative alla partecipazione alle elezioni come candidata. Lei può affermare quanto sotto riportato, in palese contraddizione con gli/le altr* candidati, proprio perché dietro la ‘Lista per Tsipras’ non c’è nessun progetto collettivo.
Infoaut_Torino
Lettera aperta ai compagni della sinistra radicale sulle elezioni europee
Carlo Formenti (www.alfabeta2.it)
Dire che la Lista per Tsipras, così come viene configurandosi, rischia di essere un’ennesima occasione mancata per rilanciare una sinistra italiana degna di questo nome è un eufemismo. Quello che si sta prospettando è una sorta di Ingroia2, o Arcobaleno3, affiancato da un’area neoliberale rappresentata dal “Partito dei Professori” di ALBA e da alcuni intellettuali (come Barbara Spinelli e Paolo Flores D’Arcais) che fanno capo a testate come Micromega e il Fatto Quotidiano.
Ma non si voleva arrivare appunto a una lista unitaria in grado di proiettarsi al di là delle vecchie coalizioni dei partitini della sinistra radicale? Sì, ma l’idea era che questo progetto unitario conservasse chiari tratti di sinistra e incarnasse una forte scelta politica contro questa Europa, espressione antidemocratica degli interessi del capitale finanziario globale. Di tutto questo non mi pare resti traccia alcuna, a partire dal simbolo, una sorta di tappo di bottiglia, da cui è stata espunta persino la parola sinistra (a scanso di ogni equivoco, caso mai qualcuno ancora nutrisse illusioni in merito) e nel quale l’unica connotazione ideologica è affidata al nome del leader (si sa, siamo in tempi di personalizzazione della politica) e al colore rosso dello sfondo sul quale il nome si staglia.
Ma ad apparire intollerabili sono soprattutto altri due fatti: 1) l’idea di Europa che emerge dal dibattito politico fra i promotori della lista; 2) la discussione sulle modalità di scelta dei candidati. I primi segnali di un “sequestro” del dibattito su quale Europa vorremmo al posto di quella della BCE e della Troika, si sono avuti con la “discesa in campo” di Vendola e Sel, cui si sono affiancati, pur non appoggiando (almeno finora) esplicitamente la candidatura Tsipras, autorevoli esponenti della sinistra Pd, come Fassina e Civati che, in dialogo con la Spinelli e Gianni Alfonso, prospettano l’idea di una “terza via”, né mercatista né euroscettica.
Da qualche decennio (Blair docet) abbiamo sperimentato sulla nostra pelle dove portino le “terze vie”; nel caso in questione credo portino a far smarrire ai cittadini europei la consapevolezza che tanto le attuali istituzioni quanto l’attuale configurazione del sistema produttivo e finanziario europei sono irriformabili, e che, se si vogliono difendere gli interessi delle classi subalterne, questa Europa può solo essere distrutta per costruirne dal basso un’altra sulle sue ceneri. Ma questi, si sa, sono pericolosi discorsi sovversivi, cui nessuno dei Professori che hanno preso saldamente in pugno le redini del progetto desidera lasciare spazio. Quindi, per evitare falle nel dispositivo, occorre stabilire un ferreo controllo anche sulla scelta dei candidati, e qui veniamo al secondo punto.
Il testo (se ho ben capito redatto da Guido Viale per conto di ALBA) che fissa alcuni punti di principio in merito è un vero capolavoro di ipocrisia. Dopo i soliti peana sulla democrazia dal basso e sul ruolo dei movimenti (che però non sono mai convocati a parlare in prima persona) si dice che vanno accuratamente evitate soluzioni assembleari, primarie e quant’altro perché “manipolabili” dai partitini (cioè i professori si arrogano il diritto di vegliare sulla democrazia perché non “divori se stessa?”). Poi vengono fissati criteri rigorosamente antipartitici in onore al sentimento populista diffuso – tanto per far vedere che non si è da meno di 5Stelle – dove non è difficile capire che, quando si parla di non ricadere nel minoritarismo, il vero bersaglio sono le sinistre radicali e antagoniste più che l’idea di partito in sé. Quindi no a chi abbia ricoperto cariche istituzionali o ruoli politici all’interno di questo o quel partito. Unica eccezione i sindaci.
E perché mai?! Non siamo pieni di sindaci sotto inchiesta per collusione con la mafia, corruzione e quant’altro, esiste forse un solo motivo perché i sindaci debbano essere apriori considerati più affidabili degli altri politici (che non sia mera demagogia populista: sono più “vicini” agli elettori e consimili banalità). E i criteri in positivo? Quelli delle macchine elettorali che ormai mettono tutti d’accordo, in onore delle esigenze di spettacolarizzazione/ personalizzazione della politica: scegliere “nomi forti” che possano attrarre il maggior numero di voti possibile. Proviamo a riassumere. Chi c’è dentro questo progetto?
Un’alleanza fra Professori e intellettuali europeisti che è un curioso miscuglio di populismo di sinistra e riformismo socialdemocratico; i resti compressi e messi in un angolo dei partiti della sinistra radicale e un po’ di nouveaux philosophes postoperaisti felicemente avviati ad arruolarsi nel campo degli europeisti liberali di sinistra: Negri e Casarini (che per la verità non è philosophe né nouveau) hanno già dato il loro appoggio, e da poco si è aggiunto il mio vecchio amico Franco Bifo Berardi che, secondo quanto leggo in una mail che mi invita a sostenerne la candidatura, avrebbe accettato di impegnarsi solo dietro insistenze dei compagni e per “spirito di servizio” nei confronti dei movimenti (ho riso per mezz’ora leggendo quella formula da vecchio notabile Dc che sicuramente gli è stata indebitamente attribuita, nel senso che avrebbe potuto usarla solo per provocazione dadaista).
Una bella ammucchiata da far impallidire tutti i vecchi Arcobaleni e che, temo, avrà scarso appeal nei confronti degli elettori delle classi subalterne incazzati con l’Europa i quali, di fronte a questo pasticcio, saranno fortemente tentati di astenersi o di votare per Grillo. A meno che i compagni dei movimenti trovino le energie per entrare con i piedi nel piatto dei professori e imporre candidature che siano riconoscibili non in quanto “nomi eccellenti” ma in quanto bandiere delle lotte
Carlo Formenti
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«Per una sinistra europea»
Marco Bascetta (Il Manifesto)
Accenti così aspri si potrebbero capire se questo o quel «miraggio elettorale» stesse rischiando di distogliere energie e attenzione in una fase di forte espansione dei movimenti o addirittura di condizionarne la percezione e manipolarne il senso di marcia. Ma con tutta evidenza questo scenario non corrisponde in alcun modo alle attuali circostanze, per quanto ottimismo si possa spendere nella loro lettura. Cosicché il linguaggio del purismo antiborghese suona più che altro come un esercizio di maniera.
Tuttavia vi è un motivo di allarme che converrebbe raccogliere. Cominciando col chiarire un pericoloso equivoco di fondo. La lista Tsipras non è e non può essere un progetto, sia pure aperto, di ricostruzione della sinistra italiana, di ricomposizione dei suoi mediocri frammenti sparsi combinati con le eccellenze della mitica «società civile». La via obliqua per restaurare una formazione politica nazionale alla quale, probabilmente, alcuni di coloro che si sono schierati, in mancanza d’altro, sotto le insegne del giovane leader di Syriza aspirano. Una operazione di questo tipo non avrebbe alcuna ragione di parlare in greco. E infatti si tratta, o dovrebbe trattarsi, esattamente del contrario. Di sostituire, cioè, alla sinistra italiana, alle sue baruffe paesane e ai suoi galatei giustizialisti, una sinistra europea che tragga dalla scala stessa su cui opera la sua radicalità. Per dirla ancor più ruvidamente, bisogna impedire che la sinistra nel nostro paese si rifondi come «sinistra italiana», come riesumazione di questa salma.
Tutto ciò, sia chiaro, muove essenzialmente sul piano simbolico: nessuno dotato di buon senso può infatti immaginare che i rapporti di forza tra le oligarchie finanziarie e le popolazioni del vecchio continente possano essere modificati per via parlamentare (per di più trattandosi di un Parlamento, come quello europeo, sottoposto a rigidi vincoli e povero di poteri reali). E, tuttavia, l’occasione elettorale può rivelarsi un buon terreno sul quale cominciare a elaborare un pensiero e un linguaggio che separino definitivamente l’aspirazione alla trasformazione dei rapporti sociali dalla dimensione nazionale e dalle sclerotiche dinamiche politiche che vi si svolgono. Tanto maggiore sarà il valore della lista Tsipras quanto più riuscirà ad essere «non italiana» e, per certi versi, «antitaliana». E’ questo il solo vero antidoto alla riedizione degli «arcobaleni» e delle «rivoluzioni civili» in cui si è ultimamente esibita, con scarso successo di pubblico, la nostra commedia dell’arte politica. Uno strappo, insomma, nel tessuto «moderato» e miope della politica nostrana, forzandone riti, vincoli e confini. Uno strappo che Martin Schulz, bandiera di partiti largamente compromessi con il salasso liberista del vecchio continente, non potrebbe in alcun modo rappresentare.
Pensare la ricostruzione «sociale» e democratica dell’Europa come una sommatoria di successi delle sinistre nazionali (riesumando il mito, che anche Syriza fatica troppo ad abbandonare, dell’«effetto domino»), è un punto di vista che contraddice in pieno la dimensione globale e internazionalista nella quale la rivoluzione sociale era stata pensata prima che lo statalismo e il nazionalismo le imponessero il loro guinzaglio. Dopo le catastrofi che ne sono conseguite è a quella dimensione che dovremmo cercare di fare ritorno. Rileggendo in questa chiave la necessità dell’Unione europea. Come una necessità tanto indipendente dall’ordine «indiscutibile» dei mercati quanto avversa all’ordine disciplinare degli stati-nazione che lo asseconda anche quando fa mostra di denunciarne le pretese.
Tracciare questo orizzonte, smontare le demagogie nazionaliste, denunciare le complicità delle classi dirigenti nazionali con le oligarchie finanziarie è quanto si può chiedere a chi sceglie il terreno della competizione elettorale. Non è certo «uno spettro che si aggira per l’Europa», ma sarebbe già qualcosa.
Marco Bascetta
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ELEZIONI EUROPEE E LISTA ITALIANA PRO-TSIPRAS: LA RIPOSTA DEL “MANIFESTO” ALLA LETTERA DI CARLO FORMENTI E LA QUESTIONE DEL SOGGETTO POLITICO
Franco Astengo (www.pane-rose.it)
La lettera di Carlo Formenti indirizzata Bifo e pubblicata ieri da Alfabeta (ripresa anche dal nostro sito: http://sinistrainparlamento.blogspot.it) sul tema delle prossime elezioni europee e della costruenda, nell’occasione, lista pro-Tsipras ha ricevuto una particolare risposta in un articolo di Marco Bascetta, uscito sulle colonne del “Manifesto”.
Tra le argomentazioni usate in questa risposta, emergono alcuni spunti di dibattito e di riflessione che meritano sicuramente di essere approfonditi, almeno dal nostro punto di vista.
Il primo riguarda quella che può essere definita una singolarità nella definizione delle gerarchie al riguardo del rapporto tra movimenti, soggetti politici, eventuali liste elettorali.
Bascetta, afferma, infatti, che le argomentazioni usate da Formenti circa la critica ai modi di costruzione della lista pro-Tsipras (“narcisismo professorale” e “accecamento elettorale”, tanto per ricordare due espressioni contenute nella lettera citata) sarebbero state opportune se indirizzate, in una fase di forte espansione dei movimenti, al tentativo di far sì che i movimenti stessi non risultassero condizionati o manipolati nel loro senso di marcia da espressioni – appunto – di tipo elettoralistico.
Questo scenario non corrisponde però alla realtà e siccome stiamo vivendo evidentemente una fase di “bassa” per quel che riguarda i movimenti, allora è del tutto legittimo che questi siano usati – più o meno direttamente – per costruire, assieme a partitini vari ed espressioni soggettive d’intellettualità di vario tipo, una lista elettorale.
Emerge da questa valutazione di Bascetta una perlomeno, curiosa interpretazione del concetto di rappresentatività politica attraverso cui si pensa che movimenti a bassa intensità e modesta partecipazione (non in fase di “forte espansione” quindi) siano comunque assimilabili ad altre espressioni di soggettività, compresi i partiti, in un “mix” davvero micidiale laddove si confondono piani diversi di rappresentanza e azione politica dai quali è scaturita una sorta di abbastanza ridicolo ”manuale Cencelli” attraverso il quale si sta procedendo alla scelta delle candidate e dei candidati, vagliati da una sorta di Areopago non nominato né controllato da nessuno (candidati autoproposti attraverso il web).
Insomma una “strozzatura del grillismo” che i “movimenti” (quali?) possono sopportare perché si trovano in una fase di “stanca”.
Più avanti scorrendo l’articolo Marco Bascetta affronta il tema del soggetto politico, che rappresenta – alla fine – il dilemma vero che aleggia attorno alla lista Tsipras: nuovo Arcobaleno o “motorino d’avviamento” del nuovo soggetto della sinistra italiana dopo la lunga sequela di fallimenti che ne hanno contraddistinta l’esistenza negli ultimi dieci anni?
Bascetta è categorico: bisogna impedire che la sinistra si rifondi, nel nostro Paese, come “sinistra italiana”: il quadro non può che essere quello della dimensione europea perché non è possibile pensare a una ricostruzione “sociale” e democratica dell’Europa come frutto di una sommatoria dell’azione e dei successi delle singole sinistre nazionali.
In questo quadro risultano del tutto trascurati , a nostro avviso, due elementi fondamentali : il primo riguarda l’assoluta necessità che un nuovo soggetto politico della sinistra d’alternativa (sulla cui necessità non ci sono dubbi) si fondi – prima di tutto – sulla materialità delle contraddizioni in atto e sulla base di quelle contraddizioni elabori il suo progetto al di fuori da riferimenti vaghi, sostanzialmente astratti; il secondo riguarda l’esigenza di porsi a diretto contatto e confronto con la realtà specifica delle condizioni di agibilità democratica che, nel “caso italiano” (“caso” inteso, ovviamente, in negativo) stanno svoltando seccamente verso una dimensione autoritaria.
Si segnala, invece nella risposta di Bascetta, una dimensione europea come “campo d’azione” del tutto indefinita, al centro di un processo di globalizzazione e internazionalizzazione che, come stiamo osservando in questi giorni, appare ormai superato da un impetuoso “ritorno all’indietro” sul terreno – addirittura – della geopolitica ottocentesca e dei richiami westfaliani.
Così come proprio la gestione capitalistica della fase ha mostrato per intero il perseguimento dell’obiettivo di ristabilire, per intero, antichi rapporti di forza posti proprio nei campi dello sfruttamento, del ritorno al servaggio, della negazione dei diritti sociali.
Su di un punto Bascetta ha sicuramente ragione: il progetto di una nuova soggettività della sinistra italiana non potrà essere frutto di ricomposizione dei suoi mediocri frammenti sparsi combinati con le eccellenze della mitica “società civile” (proprio ciò che sta avvenendo, è bene sottolinearlo, con la costruzione della lista italiana pro-Tsipras, non a caso definita “l’altra Europa” senza specificazioni, in maniera del tutto indeterminata rispetto alle coordinate ideologiche, politiche, di riferimento sociale. “Altro e basta: un po’ poco, forse?).
Non si tratta infatti di promuovere una “ricomposizione” ma una “nuova” soggettività affatto diversa da quelle sconfitte e triturate nel passato.
E’ il caso di discutere seriamente di un progetto in questo senso e queste note hanno lo scopo, soltanto, di far riprendere di nuovo una discussione in questo senso anche prendendo atto dell’ambiguità di tentativi che pure si stanno operando.
L’idea internazionalista e del conflitto di classe non possono essere, però, proiettate in una dimensione posta oltre la realtà dello scontro sociale che è ancora, prima di tutto, quello della dimensione dello “Stato – Nazione” .
Cercare di collocarsi oltre, in un orizzonte europeo non definito (tenuto conto che l’Europa è questa, dal punto di vista politico: un’Europa da rompere) significa non intendere la materialità dello scontro in atto oppure più semplicemente (non nascondiamo la malizia) cercare di non dare fastidio al PD.
Franco Astengo
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Lista Tsipras, «Ci sarò solo se sarà uno strumento per i conflitti
Nicoletta Dosio (http://popoff.globalist.it)
Doverosa premessa all’accettazione di una mia eventuale candidatura.
Il mondo che amo e conosco è quello delle lotte “dal basso”.
In esse storie ed esperienze si uniscono, diventano forza collettiva e, insieme, senza leaderismi e opportunismi, crescono verso l’alto, con chiarezza di obiettivi e metodi.
Ne è l’esempio la realtà in cui milito, il Movimento No Tav, che si oppone senza compromessi non solo alla devastazione della Valle di Susa, ma a sfruttamento, ingiustizie, lavoro sempre più precario e nocivo, devastazioni sociali ed ambientali, rapina delle risorse e del futuro di tutti; e mette in discussione, con concretezza e lucidità, il modello di vita e di sviluppo che sta desertificando la Terra.
Ritengo non riformabile l’Unione Europea di Maastricht e fiscal compact, l’Europa delle banche, della guerra all’uomo e alla natura, quella che garantisce libera circolazione ai capitali e alle merci mentre la nega alle persone; l’Europa delle privatizzazioni, dei patti di stabilità e della crisi voluta dal capitale e pagata dai popoli. Penso ci si debba battere non per “democratizzarla”, ma per rompere la struttura e le compatibilità che la governano, in modo da ridare a tutti e a ciascuno voce, agibilità, diritti, dignità, uguaglianza e libertà vere e praticabili.
Accetto la mia candidatura solo se potrà essere un piccolo strumento in più a servizio dei conflitti sociali che stanno nascendo e che devono crescere, ai quali vanno il mio impegno e la mia totale fedeltà.
Nicoletta Dosio
Bussoleno, 17 febbraio 2014
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