Green Passion – No Green Pass e Sanità Pubblica: un problema da considerare
Di seguito pubblichiamo un primo contributo, quasi una serie di appunti preliminari, che riflette sulle mobilitazioni No Green Pass a partire dalle trasformazioni della sanità pubblica. L’articolo meriterebbe di essere approfondito in alcuni passaggi, ma può essere una prima suggestione per aprire il dibattito. Buona lettura!
No Green Pass e Sanità Pubblica: un problema da considerare
Il dibattito intorno al vaccino ed al Green Pass riguarda in toto la nostra società perché tratta uno degli aspetti centrali di ogni società, cioè la cura.
La cura è un fatto che ha a che fare con la riproduzione della specie. Chi si occupa della cura nelle società precapitalistiche o in quelle non eccessivamente integrate nei circuiti del capitale riveste ruoli centrali, a volte anche di governo e comando. Questo perché in ultima istanza la cura è una “conditio sine qua non” per l’esistenza delle forme di aggregazione umana comunitarie e diventa maggiormente importante via via che le comunità diventano stanziali. Ciò accade perché una malattia può debilitare od uccidere il singolo individuo, ma può anche sconvolgere un’intera società, mettere in crisi i modi in cui è organizzata ecc… ecc…
La cura dunque è anche un fatto socialmente prodotto ed, almeno in teoria, la cura del malato è un fatto che coinvolge l’intera società.
Ora il problema è che quando oggi parliamo di cura tendiamo ad assimilare questo concetto a quello di “sanità” e con “sanità” per quello che è oggi intendiamo l’istituzione preposta a prendersi cura della salute di chi vive in una data società. La sanità dunque è il prodotto sociale di un determinato sistema di sviluppo.
Nel nostro paese per lungo tempo la sanità (non quella rivolta a tutta la società, ma principalmente quella che riguardava i settori proletari) è stata deputata alla sfera pubblica, cioè quella dello Stato che in sostanza essendo il “comitato d’affari della borghesia” si doveva occupare della riproduzione sociale della forza lavoro. Tanto che l’accesso alla sanità o meno era in parte condizionato dall’essere occupato in qualche mansione lavorativa. A fine anni ’70, inizio anni ’80 sulla spinta delle lotte operaie e proletarie e anche della ristrutturazione capitalista che ne era conseguita nasceva il Sistema Sanitario Nazionale, pubblico ed universale. A una ristrutturazione nel campo della produzione (con il disfacimento delle grandi concentrazioni operaie) corrispondeva un altro tipo di ristrutturazione che in parte era una risposta alle lotte degli anni precedenti, una ristrutturazione nei rapporti di riproduzione che andavano nella direzione di una maggiore socializzazione. Questa apparente contraddizione non era tutto sommato una novità. Inoltre il Sistema Sanitario si doveva adattare alle nuove condizioni della riproduzione della forza lavoro che si trovava parcellizzata, sparsa sui territori, fuori dalla fabbrica. Se questa era la conseguenza materiale di alcuni processi, il prodotto sociale dei conflitti tra capitale, lavoro e vita degli anni precedenti, il suo corredo ideologico si inseriva perfettamente nella narrazione gradualistica del PCI del “farsi Stato” della classe.
Intendiamoci, il Sistema Sanitario Nazionale, alle date condizioni di sviluppo e contrapposizione, fu una grande conquista, ma come ogni conquista dentro un contesto comunque capitalista va vista in modo dialettico.
Di fatto in un certo senso quella dello Stato con la nascita del SSN fu un’operazione di recupero a fronte delle lotte operaie con la costruzione di molti ambiti territoriali e di prossimità che si occupavano della cura e con esperimenti anche molto avanzati per i tempi. Anche a suo modo uno strumento di rilegittimazione dopo l’antistituzionalità profonda degli anni ’60 e ’70.
Ma la fase peculiare che aveva portato alla nascita del SSN nella sua eccezionalità italiana era destinata a chiudersi in fretta.
A partire dagli anni 90, ad una progressiva mutazione dello Stato in senso neoliberale corrispondeva un attacco alla “mediazione” della fase precedente anche in campo sanitario. Anche qui bisogna sottolineare la corrispondenza tra la trasformazione dei rapporti di produzione, la riorganizzazione di quelli di riproduzione e il mutamento dello Stato impresso dal capitale. Materialmente questa trasformazione consistette in quei meccanismi che conosciamo bene:Aziendalizzazione della sanità pubblica, privatizzazione, messa a profitto, mercificazione ,medicalizzazione ecc… ecc… Bisogna annoverare che ci sono state significative resistenze a questi processi negli anni che hanno fatto in modo che tutto sommato non si consumassero così in fretta e senza costo da parte capitalistica.
La mercificazione della sanità corrispondeva anche ad un aspetto sociale di cui siamo arrivati ad avere piena coscienza oggi, e cioè il fatto che nella società iperindustriale il costo di riproduzione di una grande massa di forza lavoro progressivamente considerata superflua, o sottoimpiegata pesava sulle casse dello Stato.
L’esperienza “sanitaria” di larghi strati di proletariato (e non solo!) negli ultimi anni prima della pandemia era un bollettino di guerra. Un’esperienza di alienazione da parte della propria stessa riproduzione che andava di pari passo con quella del personale medico di fronte ad un lavoro sempre più standardizzato, con tempi definiti, metriche, standard ecc… ecc… Fornitore di prestazioni sanitarie e cliente sono entrati persino nel lessico ufficiale, senza più alcun velo. La sanità pubblica poi, depotenziata e mutilata, è destinata a quei clienti di serie B, che a volte preferiscono tenersi la malattia piuttosto che affrontare i suoi dedali.
Questi aspetti sono abbastanza scontati, se ne è discusso tante volte, ma bisogna tenerli presente quando si parla del Greenpass.
Perché in quelle piazze, oltre a un oggettivo individualismo a tratti antisociale, vi è anche un genuino e forse confuso scetticismo rispetto al fatto che lo Stato abbia realmente intenzione di prendersi cura di noi attraverso le sue emanazioni. Questo scetticismo è diffuso, in modo diverso, anche molto oltre chi si mobilita contro le vaccinazioni obbligatorie ed il green pass.
Ovviamente queste piazze sono profondamente interclassiste e vi sono tanti interessi diversi che si compongono, ma se guardiamo alla parte proletaria che partecipa alle manifestazioni questo è un elemento che dovremmo tenere presente.
D’altronde quando si parla della pandemia come “crisi della riproduzione sociale complessiva” non possiamo ignorare che questa crisi si riversa principalmente su chi regola, dirige ed organizza la riproduzione sociale dentro il capitale, cioè lo Stato. Nel nostro caso, se pur ci troviamo forse in una fase di transizione, stiamo ancora parlando dello Stato neoliberale a tutti gli effetti.
La rivendicazione di una sanità pubblica ed universale allo stato di cose presenti dunque, detto in maniera molto spartana, non solo non è all’altezza della sfida, ma rischia di essere controproducente. Perché per quanto possa essere confusa, esiste una consapevolezza estesa che lo Stato neoliberale non svolge nessuna funzione di mediazione tra capitale e vita (se non di fronte all’emergere di conflitti di scala e portata molto significativa), che in questa forma ad oggi nessuna “socializzazione” è possibile (qui anche alcuni dei termini della crisi) 1.
D’altronde questa consapevolezza dovrebbe essere acquisita tra coloro che hanno attraversato le lotte degli ultimi decenni. (Basta pensare al contesto universitario ad esempio, che dopo il grande ciclo resistenziale contro la riforma Gelmini è silente da anni e si potrebbe dire che il motivo di questo silenzio è che l’università non è più percepita come un bene comune da difendere, ma semplicemente come un erogatore di servizi. Nonostante ciò bisogna dire che di conflitti potenziali potrebbero essercene di enormi in quel campo, solo non sul piano della difesa del pubblico).
Il problema non si può risolvere con astrusi espedienti lessicali (“tra il pubblico e il privato, il comune”), perché è sostanziale, riflettendo come si è formata la soggettività dentro i processi della riproduzione e di come questa crisi agisce su quella soggettività.
Rivendicare la sanità pubblica (o il vaccino per tutt*) oltre ad apparire irrealistico (per quanto si è detto prima sullo Stato neoliberale) per parte del proletariato, non nutre grande interesse, e rischia di essere frainteso, come un tentativo di salvataggio verso l’istituzione in crisi, una potenziale rilegittimazione dello Stato.
Ecco ora che questo si presenta come un problema immenso e di difficile soluzione, un vero rompicapo: come impostare una lotta che abbia come tema la demercificazione e la deindustrializzazione della cura, ma non come cessione della decisionalità sul tema dal privato allo Stato, ma come riappropriazione, contro-costruzione dei rapporti di riproduzione da parte dei settori proletari? Difficile immaginare un itinerario che si muova in questa direzione, ma mi viene in mente un esempio interessante con le dovute e profonde differenze. Le rivendicazioni di Black Lives Matter del “Defound / Abolish the Police” pretendendo che i soldi vengano dati alla comunità perché organizzino la “sicurezza” secondo i propri criteri offre uno spunto interessante. Mutatis mutandis si tratta di abolire… QUESTA SANITÀ e quindi ragionare su delle forme di contrapposizione che restituiscano decisionalità ai settori proletari della società sul tema della cura potrebbe essere interessante.
Questi sono alcuni spunti, ma la verità è che solo con un lavoro continuativo di conoscenza e organizzazione dentro e contro la macchina della riproduzione sociale capitalista possiamo costruire delle ipotesi credibili. Per questo serve anche andare a capire cosa si agita dentro queste piazze contro il greenpass, pure se a livello soggettivo ed esplicito non ci appassionano. Per questo serve andare a ricercare dentro i settori popolari quali sono le mancanze e le necessità, quali le cronicità che possono rappresentare un punto di coagulo, quali le forme autonome in cui si riarticola la cura, quali i saperi dati e quelli necessari. Per questo sarebbe importante creare le condizioni per delle forme di incontro paritarie tra il personale sanitario che può essersi soggettivato in questa crisi e la popolazione. Favorire una ricomposizione a partire dall’alienazione comune rispetto alla mercificazione della cura. Provare a capire se tra i lavoratori e le lavoratrici della sanità esiste una coscienza anche embrionale del problema.
Probabilmente questo è l’unico modo per non rimanere intrappolati nella scomposizione provocata artificialmente dal “doppio movimento del capitale” 2 nella sua tarda fase neoliberale.
1 Questo sembra essere uno dei limiti in campo ecologico di alcune letture della crisi pandemica che si rifanno ad O’Connor ed alla sua teoria sulla “seconda contraddizione del capitalismo” che per il resto è invece piuttosto pregnante alla fase. Difficile dire che il risultato della crisi pandemica sarà una maggiore “socializzazione”, da un certo punto prospettico pare di vedere l’opposto, compresa una seria difficoltà ad incorporare ulteriore lavoro vivo. La reale portata della ristrutturazione capitalistica che si sta dando però è difficile da cogliere oggi, nel mezzo della crisi quindi ci si potrebbe sbagliare. In ogni caso sembra plausibile guardare questa pandemia dentro un ciclo lungo che ci parla di una cronicizzazione e di uno stato permanente di crisi.
2 Melinda Cooper nel suo “Family Values” trattando della crisi della famiglia fordista in corrispondenza della rivoluzione dall’alto neoliberale parla di un “doppio movimento del capitale” che allo stesso tempo incoraggia questi cambiamenti perché intravede la possibilità di aperture di nuovi mercati e ne è preoccupato per via dei costi di riproduzione che potrebbero ricadere sullo Stato. Dunque tanto il progressivismo liberale, quanto la reazione conservatrice sarebbero da collocarsi all’interno della logica neoliberale. Volgarizzando pesantemente, negli ultimi anni movimenti di questo genere li abbiamo visti in azione più volte, anche se, anche qui un’impressione, la divaricazione di questo doppio movimento sembra farsi sempre più disfunzionale per la ripresa della valorizzazione.
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