Diario della crisi – Dalla gestione della crisi al sistema di guerra
In questa decima puntata del Diario della crisi – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto – Stefano Lucarelli riflette sull’inopportuno susseguirsi di crisi che, spiazzando ed eliminando le cause e dunque le possibilità d’intervenire sulle conseguenze di quelle precedenti, fanno sì che gli effetti di queste ultime si accumulino e si articolino con quelli delle prime in modo sempre più intrattabile. L’economia dell’attenzione è quindi legata alla formazione di un potere politico sempre più autoritario, che ci invita a pagare il «prezzo della libertà» (Josep Borrel) e ad accettare la creazione di circuiti economici definiti in termini strettamente geopolitici (friend-shoring) legati all’opzione della guerra come orizzonte normalizzato. Le politiche economiche, monetarie e fiscali sono di conseguenza concepite dalle attuali classi dirigenti secondo questi parametri reazionari, con assoluta indipendenza dai loro effetti nocivi sulle classi lavoratrici e povere. Nel frattempo, l’Unione Europea segue docilmente il disegno delle classi dominanti egemoniche globali, imprigionata nella propria impotenza nazionalista.
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1. Esistono dei collegamenti fra la Pandemia e il nuovo scenario militare ̶ uno scenario in cui la guerra appare sempre più vicina all’Europa, e diviene una parte via via più rilevante dell’insieme informativo che condiziona le scelte politiche, ma anche le scelte di chi subisce le politiche?
Non si tratta di una domanda oziosa se in ballo c’è la comprensione del fenomeno della crisi. Redigere un diario della crisi significa innanzitutto non arrendersi alla logica degli shock esogeni, gli eventi del tutto inattesi che non dipendono dalla responsabilità di nessuno. A tal riguardo appare molto interessante l’editoriale che Kamran Abbasi, editor in chief del British Medical Journal ha redatto il 16 Marzo 2022.
«Nel fuoco della pandemia abbiamo messo in stallo la nostra risposta al cambiamento climatico. Nel fuoco della guerra della Russia contro l’Ucraina, la pandemia e il cambiamento climatico passano adesso in secondo piano».[1]
Abbasi si preoccupa dello smantellamento del sistema di sorveglianza Covid del Regno Unito e della vendita al settore privato del centro di produzione e innovazione dei vaccini del Regno Unito. Ragionare sulla produzione e sull’innovazione dei vaccini e sul ruolo che essi hanno per la sanità pubblica è un argomento scivoloso e complesso – che tra l’altro contribuisce a sfaldare le possibili reazioni ai processi decisionali condotti in assenza di un adeguato dibattitto pubblico che stanno caratterizzando questi anni. Tuttavia, Abbasi ha il merito di portare alla luce la grande precarietà dell’attenzione generale che di questa crisi è parte integrante.
2. L’economia dell’attenzione sta svelandosi in tutta la sua profondità. Sono passati tanti anni dal 1° settembre 1969, quando Herbert Simon, di lì a qualche anno insignito del premio Nobel per l’economia, pose il problema della sopravvivenza dell’attenzione in un mondo caratterizzato da informazioni crescenti:
«Il mio titolo parla di “un mondo ricco di informazioni”. Da quanto tempo il mondo è ricco di informazioni? Quali sono le conseguenze di questa prosperità, se di questo si tratta?
La scorsa Pasqua, i miei vicini hanno comprato alla figlia una coppia di conigli. Che sia per volontà o per caso, uno era maschio e l’altro femmina, e ora viviamo in un mondo ricco di conigli. Le persone meno affezionate di me ai conigli potrebbero addirittura descriverlo come un mondo sovrappopolato di conigli. Se un mondo sia ricco o povero di conigli è una questione relativa.
Poiché il cibo è essenziale per le popolazioni biologiche, potremmo giudicare il mondo come ricco o povero di conigli mettendo in relazione il numero di conigli con la quantità di lattuga e di erba (e di fiori da giardino) disponibili per i conigli. Un mondo ricco di conigli è un mondo povero di lattuga e viceversa. […] Allo stesso modo, in un mondo ricco di informazioni, la ricchezza di informazioni implica una scarsità di qualcos’altro: una scarsità di qualsiasi cosa l’informazione consumi. Ciò che l’informazione consuma è piuttosto ovvio: consuma l’attenzione dei suoi destinatari. Quindi una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione e la necessità di allocare quell’’attenzione in modo efficiente tra la sovrabbondanza di fonti di informazione che potrebbe consumarla».[2]
In fondo la gestione politica delle crisi che stanno segnando le nostre esistenze, prima che rappresentare un problema economico in senso classico, si presenta come un problema di gestione dell’attenzione, o meglio di condizionamento dell’attenzione, in un bombardamento mediatico che stordisce e sfinisce. La gestione di una sovrabbondanza di impulsi che toccano il piano emotivo e persino la propria postura etica (quando si è costretti a scegliere da che parte stare accettando implicitamente l’idea che in una guerra occorra schierarsi sempre meno che contro la guerra stessa) rappresenta la nuova frontiera del giudizio convenzionale. Ma la convenzione che indirizza le aspettative di una collettività che viene resa sempre più fragile, sempre più incapace di pensarsi come general intellect – conseguenza questa di una richiesta di attenzione estenuante – torna ad assumere la forma dello Stato Nazione costruendo i presupposti per nuovi processi aggregativi, in cui la guerra sembra dominare gli immaginari individuali. Uno strano ritorno ad esortazioni in fondo nazionalistiche accompagna la riorganizzazione della politica economica europea.
3. Il 30 Marzo 2022 l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrel ha sintetizzato in modo chiaro la prospettiva politica abbracciata dall’Unione Europea dinanzi al conflitto russo-ucraino introducendo una espressione altisonante – ma forse non del tutto appropriata se si analizzano con cura gli orizzonti programmatici che sottende – che si è andata imponendo nel dibattito pubblico europeo: il prezzo della libertà.
«Per far fronte all’impatto a più ampio raggio della guerra in Ucraina dobbiamo potenziare la resilienza economica europea, porre fine alla nostra dipendenza energetica dalla Russia e rafforzare ulteriormente la difesa europea. … anche all’interno dell’UE dobbiamo accettare di pagare un prezzo per fermare questa guerra scandalosa e non provocata, perché da questo dipende il futuro della nostra sicurezza e delle nostre democrazie. Questo prezzo è il prezzo della libertà».[3]
La relazione di Borrel si sofferma sulla diversità degli approvvigionamenti, sull’efficienza energetica sull’accelerazione delle energie rinnovabili, e sull’accoglienza dei rifugiati, ma anche sul riarmo:
«questa guerra ci costringerà anche ad aumentare la spesa per la difesa. Dobbiamo spendere di più ma soprattutto spendere meglio, vale a dire insieme. Alcuni Stati membri, come la Germania, hanno già adottato nuove importanti misure in questo settore, con 100 miliardi di EUR di spesa supplementare per la difesa nel 2022 e un aumento del bilancio per la difesa al di sopra del 2 % del PIL a partire dal 2024. È necessario fare lo stesso ovunque i livelli di spesa per la difesa siano ancora troppo bassi». [4]
Il prezzo della libertà europea non mi pare scisso da un obiettivo statunitense: il friend-shoring. Lo spiega, fra gli altri, Janet Yellen, Secretary of the Treasury statunitense:
«Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di realizzare un commercio libero ma sicuro… Facciamolo con i paesi su cui sappiamo di poter contare. Favorire il friend-shoring delle catene di approvvigionamento, contando su un gran numero di paesi fidati, in modo da poter garantire in modo sicuro l’accesso a mercato, ridurrà i rischi della nostra economia […] Io tendo a vedere il friend-shoring come un gruppo di partner con i quali sentiamo sintonia con la nostra geopolitica […] Dobbiamo approfondire i nostri legami con quei partner e lavorare insieme per assicurarci di poter soddisfare le nostre esigenze di materie prime essenziali» (13 Aprile 2022). [5]
Stando all’analisi delle sanzioni applicate dagli Stati Uniti (600 nuove sanzioni per anno nel corso degli 8 anni della presidenza Obama, 1500 nel solo 2017, secondo anno della presidenza Trump), questa nuova visione del mondo trae forma prima del conflitto russo-ucraino.
4. Giungiamo così dinanzi al problema dell’ordine internazionale e delle istituzioni che dovrebbero decidere e garantire questo ordine. A tal riguardo può essere utile rileggere alcuni passi della Enciclica Pacem in terris in cui, l’11 Aprile 1963, Papa Giovanni XXIII scriveva:
«La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente».[6]
E aggiungeva:
«L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. […] L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi».[7]
In particolare, ciò comporta che:
«al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia».[8]
Sarebbe sbagliato relegare le considerazioni del Pontefice a mera questione morale. In The Strategy of Conflict (1960), Thomas Schelling – premio Nobel per l’economia nel 2005 – sostiene che «il potere di vincolare un avversario può dipendere dal potere di vincolare se stessi».
Il controllo degli armamenti può essere fattivamente messo in pratica – seguendo la lezione di Schelling – attraverso «tutte le forme di cooperazione militare tra potenziali nemici nel comune interesse di raggiungere tre obiettivi cruciali: evitare una guerra che nessuna parte vuole, minimizzare i costi politici ed economici della competizione negli armamenti e ridurre la portata e la violenza della guerra, qualora si verifichi». E, se ci pensiamo bene, questa strategia, per alcuni anni, è stata di fatto intrapresa dagli USA e dall’ex URSS.
Tuttavia, l’analisi dell’andamento delle spese militari delle principali potenze negli ultimi venti anni mostra che non abbiamo vissuto un periodo caratterizzato né da forme di cooperazione militare fra potenziali nemici, né tantomeno da una riduzione della competizione negli armamenti. I numeri sono impietosi[9]: tra il 2000 e il 2021 le spese militari degli USA sono passate da circa 485000 a circa 768000 milioni di dollari; quelle della Cina da circa 50000 a circa 270000 milioni di dollari; quelle della Russia da circa 24000 a 64000 milioni di dollari; quelle del Regno Unito da circa 51000 a circa 62000 milioni di dollari[10].
Questa preoccupante tendenza al riarmo sembrerebbe definire ciò che in una lettera del 1986 estesa da Raniero La Valle e Claudio Napoleoni (primo firmatario il vice-presidente del Senato Adriano Ossicini) è definito «sistema di guerra»:
«un sistema dove le armi non sono solo strumenti militari di difesa, accessori e subordinati alla volontà generale, ma sono di fatto la massima struttura di potere della società, ciò che ne esprime e determina la vera natura; un sistema dove le armi non hanno solo una funzione militare, ma ancor più hanno una funzione politica; esse di fatto determinano la natura del regime politico, ne producono la costituzione materiale segnano limiti rigidi alle possibilità di alternative e di mutamenti interni al sistema politico, fissano i confini di compatibilità dei suoi rapporti esterni e della sua politica internazionale, si impongono come fonte normativa primaria e architrave del sistema; in una parola, oltre una certa soglia, esse non sono più l’armamento di una società, ne sono l’ordinamento».[11]
Come riportare l’attenzione sulla parola pace? Come fare di essa un reale antidoto a un sistema di guerra?
5. Il coordinamento delle decisioni assunte dai banchieri centrali può contribuire a sostenere aspettative che alimentano o ostacolano i venti di guerra?
Le politiche monetarie hanno chiare conseguenze sul processo di centralizzazione dei capitali – quindi sulla tendenza ad acquisire il controllo di specifici pacchetti azionari da parte di determinate corporation in grado di indirizzare le traiettorie tecno-economiche future. Un contesto caratterizzato da flussi di capitali cinesi, arabi e russi sempre più propensi ad acquisire pacchetti azionari di società per azioni occidentali ha accompagnato le risposte protezionistiche soprattutto degli Stati Uniti che hanno reso sempre più costose queste operazioni dense di conseguenze sugli equilibri politici internazionali.
Le recenti dichiarazioni della signora della BCE sono di grande interesse. Forte della sua laurea in giurisprudenza a Paris-Nanterre, del suo stage presso l’equipe del futuro Segretario alla Difesa statunitense William Cohen, e delle sue esperienze ministeriali in Francia in tempi in cui, stando alla Cour de Justice de la République, assumeva le proprie decisioni con una ingerenza un po’ sopra le righe dell’imprenditore Bernard Tapie, Christine Lagarde cerca di barcamenarsi fra ciò che è opportuno sostenere per rendere accettabili i sacrifici richiesti ai governi europei privati dei propri approvvigionamenti energetici a buon mercato e ciò di cui hanno bisogno i mercati: un fantomatico shock positivo della domanda che si può intravedere solo se si guarda il mondo da Washington.
«Il 2022 ha segnato un punto di svolta per la politica monetaria della Bce. Le prospettive di inflazione sono mutate bruscamente per effetto di due tipologie di shock che hanno colpito l’economia contemporaneamente. Innanzitutto, l’area dell’euro ha subìto una serie senza precedenti di shock negativi dal lato dell’offerta, causati dalle interruzioni nelle catene di approvvigionamento indotte dalla pandemia, dall’ingiustificabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dalla conseguente crisi energetica, che hanno significativamente accresciuto i costi degli input in tutti i settori dell’economia. In secondo luogo, si è verificato uno shock positivo della domanda a seguito della riapertura delle attività economiche dopo la pandemia, che ha consentito alle imprese di trasmettere gli aumenti dei costi ai prezzi molto più rapidamente e intensamente che in passato».[12]
Le politiche monetarie restrittive della Fed e della BCE non sembrano tanto una risposta razionale a spinte inflattive che nascono da restrizioni sul lato dell’offerta. Sembrerebbero invece motivate da un nuovo tipo di forward guidance, un governo delle aspettative che indirizza l’attenzione degli agenti economici verso scenari in cui la guerra, con tutti i suoi eroici appelli al prezzo della libertà, sia considerata normale.
Politiche monetarie funzionali all’esigenza – implicita nel periodo pandemico, esplicita dopo il conflitto russo-ucraino – di ridisegnare le alleanze internazionali, bloccando quei flussi di capitali resi ingovernabili dall’accumulazione consistente dei surplus commerciali propria dei Paesi «non in sintonia con la nostra geopolitica» – per parafrasare le parole di Janet Yellen su riportate. Il banchiere centrale veste i panni di Caronte e conduce pericolosamente le «anime prave» dell’economia occidentale verso un friend-shoring in cui quelle anime, soprattutto in Europa, accettino che le dinamiche inflattive e la compressione dei loro poteri d’acquisto si combattano con lo strano mix di politiche monetarie restrittive e politiche di bilancio propense a consolidare una ripresa degli armamenti e una compressione del welfare state. Stanno in fila sulla banchina attendendo i rialzi dei tassi di interesse ogni volta che si adagiano, ma non appaiono ancora prese dal panico e tardano a bestemmiare «Dio e lor parenti, l’umana spezie e ‘loco e ‘l tempo e l’seme di lor semenza e di lor nascimenti».
Note
[1] Cfr. K. Abbasi, “Storie corali. Clima, pandemia e guerra: una multicrisi incontrollata che minaccia la nostra esistenza”, 4 aprile 2022, https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Storie_corali_Clima_pandemia_guerra.html
[2] Cfr. H. Simon, Designing Organizations for and Information-Rich World, In M. Greenberger (Ed.), «Computers, communications, and the public interest». Baltimore, MD: The Johns Hopkins Press, 1971, pp. 40-41.
[3] Cfr. J. Borrel, La guerra in Ucraina e le sue ripercussioni sulla UE, 30 marzo 2023, https://www.eeas.europa.eu/eeas/la-guerra-ucraina-e-le-sue-ripercussioni-sullue_it
[4] Ibidem .
[5] Cfr. J. Yellen, Transcript: US Treasury Secretary Janet Yellen on the next steps for Russia sanctions and ‘friend-shoring’ supply chains, «Atlantic Council», https://www.atlanticcouncil.org/news/transcripts/transcript-us-treasury-secretary-janet-yellen-on-the-next-steps-for-russia-sanctions-and-friend-shoring-supply-chains/ .
[6] Cfr. Giovanni Paolo XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris , 11 aprile 1963, https://www.vatican.va/content/john-xxiii/it/encyclicals/documents/hf_j-xxiii_enc_11041963_pacem.html
[7] Ibidem
[8] Ibidem
[9] E. Brancaccio, R. Giammetti, S. Lucarelli, La guerra capitalista, Mimesis, 2022, p. 232.
[10] Ibidem.
[11] La lettera è consultabile in appendice a C. Napoleoni, Cercate ancora. Lettera sulla laicità e ultimi scritti, Editori Riuniti, 1990
[12] Si vedano le dichiarazioni alla stampa di Christine Lagarde durante la presentazione del Rapporto Annuale della BCE, il 25 Maggio 2023, https://www.ecb.europa.eu/pub/annual/html/ecb.ar2022~8ae51d163b.it.htm
Stefano Lucarelli, economista, insegna all’Università di Bergamo. Ha curato: con Andrea Fumagalli, il volume Fordismo e postfordismo. Il pensiero regolazionista (Università Bocconi editore, 2007) di Robert Boyer e la versione italiana di Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria (ombrecorte, 2009) di Andrè Orlean; ha inoltre scritto i volumi The resistible rise of mainstream economics (University press, 2012) con Giorgio Lunghini; Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale (ombrecorte, 2016) con Federico Chicchi e Emanuele Leonardi; La guerra capitalista con Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti (Mimesis, 2022).
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