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Il gran bazar della guerra

Il governo ucraino, guidato da Volodymyr Zelensky, ha utilizzato i fondi dei contribuenti americani per pagare a caro prezzo il carburante diesel, di vitale importanza nella guerra con la Russia. Non si sa quanto il governo Zelensky paghi per ogni gallone di carburante, ma il Pentagono pagava fino a 400 dollari al gallone per trasportare benzina da un porto del Pakistan, tramite camion o paracadute, all’Afghanistan durante la decennale guerra americana.

(Seymour Hersh, Trading with the enemy, 12.4.2023)

di Carlo Tombola, da Officina Primo Maggio

Così come non sono stati i malumori dei contribuenti americani a chiudere una guerra di vent’anni in Afghanistan, così probabilmente non saranno le decine di miliardi già bruciati in diciotto mesi di guerra a riportare la pace in Ucraina. Al contrario, il fiume di denaro immesso nel complesso militare-industriale, su tutt’e due le sponde dell’Atlantico, ha portato una concordia generale tra politici, giornalisti, imprenditori e anche – con rare eccezioni – lavoratori.

Forse gli entusiasmi guerreschi sarebbero un po’ attenuati se Stati Uniti e alleati rischiassero e perdessero sul campo i propri soldati. Il Vietnam costò agli americani 60.000 morti, l’Afghanistan 2.400, l’Iraq 4.500, ma in Ucraina sembra che gli “alleati” possano fare una guerra azzerando i costi umani, per interposti combattenti. Almeno per ora, perché il destino dell’enclave russa di Kaliningrad sta agitando i falchi di Polonia, Finlandia e paesi baltici, in cerca di storiche rivincite, con il rischio di dare fiato alle rivendicazioni dell’estrema destra tedesca sulla Prussia orientale.

A compensazione del sacrificio ucraino in corso, la “comunità internazionale” – cioè gli Stati Uniti e i loro alleati – si sta accollando un illimitato sostegno economico.

E dovrà chiudere gli occhi sul fatto che il principale beneficiario è un paese in cui la corruzione è una piaga endemica a ogni livello («Stai prendendo tangenti maggiori dei tuoi generali!», sembra abbia gridato a Zelensky il direttore della CIA William Burns, in un burrascoso incontro a Kiev lo scorso gennaio ricordato nell’articolo di Seymour Hersh).

Ma la dipendenza dall’aiuto finanziario internazionale non è una conseguenza della guerra, piuttosto è la strategia per la definitiva conquista dell’Ucraina al campo “occidentale”. Avviata nel 2014, anno della “rivoluzione di Maidan” e della conseguente annessione russa della Crimea, oggi è ai passi finali. Nell’agosto 2022 i creditori esteri dell’Ucraina (ma non il Fondo Monetario Internazionale) sono stati convinti a congelare per due anni i rimborsi di capitale e interessi, così permettendo alle riserve nazionali, crollate a 7,5 miliardi nel 2014, di raggiungere l’attuale livello record di 40 miliardi di dollari e di rendere presentabile il bilancio statale. Tuttavia il passivo sta crescendo al ritmo di 4-5 miliardi di dollari al mese, in un paese che dall’inizio della guerra ha perduto un terzo della popolazione e del prodotto interno. Così nello scorso aprile sono intervenuti FMI, Banca Mondiale e altri partner internazionali, varando un pacchetto quadriennale di aiuti da 115 miliardi di dollari.

Il cerchio si è chiuso. Gli strumenti del ricatto e del controllo finanziario sono in campo, c’è solo da vedere chi pagherà il conto. Lo scontro inter-alleato è rimandato alla fine della guerra e alla spartizione del colossale business della ricostruzione, perché è già chiaro che sarà l’Occidente a gestirlo e che la Cina rimarrà fuori. La Banca Mondiale ha stimato che serviranno 411 miliardi di $ in dieci anni, il governo Zelensky ha buttato lì 750 miliardi, ma sono cifre che andranno riviste al rialzo.

Allestimento dell’alloggio temporaneo per i soldati americani nell’arena civile di Rzeszow, 5 febbraio 2022 (Reuters).

In ogni caso, appena due mesi dopo l’invasione Washington ha dettato la linea, adottando l’Ukraine Comprehensive Debt Payment Relief Act, con cui ha sospeso ogni pagamento relativo al servizio del debito ucraino e chiesto alle istituzioni finanziarie internazionali di fare altrettanto. Inoltre, da allora a oggi ha immesso nelle casse di Kiev 20,4 miliardi di dollari di finanziamenti a fondo perduto. La finanza internazionale continua a prendere tempo, e quando nel luglio scorso il FMI ha concesso un prestito quadriennale da 15,6 miliardi nell’ambito dell’Extended Fund Facility (Eff) – cioè gravato da interessi a prezzi di mercato – ha dato per scontato l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, evidentemente individuata come garante di ultima istanza. Né gli Stati Uniti, né le istituzioni finanziarie mondiali hanno preso in considerazione, almeno per ora, la cancellazione del debito ucraino, storico slogan “anti-capitalista” tornato in auge soprattutto in ambito ambientalista. Se si arriverà a questo, e risulterà difficile se non impossibile rivalersi sulla Russia, allora è probabile che sarà l’Europa a doverne sostenere la maggior parte del costo.

È sul piano più strettamente militare che si è giocata – e, a mio parere, si è già chiusa – la partita inter-atlantica tra chi detta l’agenda (gli Stati Uniti) e chi ne deve assumere l’onere economico (l’Europa, o meglio i ventidue paesi dell’Unione Europa membri NATO). Ci sono state due fasi. Nella prima, Stati Uniti e Regno Unito hanno voluto credere che gli ucraini avessero buone chance di respingere militarmente gli invasori russi, e hanno svuotato i magazzini per inviare armi e munizioni. Nella seconda, cioè a partire dall’inverno 2022-23, ci si è orientati a sostenere un conflitto che si potrebbe protrarre nel tempo, per anni, e sono intervenuti più massicci gli aiuti militari europei, segnatamente quelli tedeschi. Dei circa 80 miliardi di $ di aiuti militari decisi in sedici mesi di guerra, oltre il 55% è relativo soltanto ai mesi di marzo-aprile (fermate i russi!) e al dicembre 2022 (prepariamo la controffensiva). È un fatto che gli aiuti stanziati nei primi cinque mesi del 2023 siano mediamente inferiori del 40% rispetto all’anno precedente (non si tornerà alle frontiere ante-guerra).

Quanti degli aiuti militari USA – quelli rispetto a cui si devono misurare gli alleati europei – sono donazioni, e quanti sono prestiti, anche se – come abbiamo visto – non è ancora chiaro chi se li dovrà accollare?

Gli aiuti degli Stati Uniti seguono tre schemi legali differenti. Il primo è la cosiddetta presidential drawdown authority, il diritto del presidente di prelevare materiale militare dagli arsenali del Dipartimento della difesa in caso di crisi internazionale. Si basa sul Foreign Assistance Act varato da John Kennedy nel novembre del 1961, pochi mesi dopo la Baia dei Porci, per finanziare la campagna segreta di sabotaggi e terrorismo a Cuba (Cuban project, noto anche come “Operazione Mangusta”). È il principale strumento giuridico per fornire immediati aiuti militari all’estero senza sottostare alle normative sul controllo dell’esportazione di armi.

Fino a questo momento (agosto 2023), il presidente Biden si è avvalso della facoltà di prelievo a favore dell’Ucraina ben 43 volte, per un approssimativo controvalore di 22,1 miliardi di dollari, che diventano 25,93 miliardi quale costo effettivo per ripristinare le scorte. Tra parentesi notiamo che il primo prelievo è stato firmato da Biden il 27 agosto del 2021, cioè circa sei mesi prima che iniziasse l’invasione russa. Da quello che abbiamo imparato con la guerra in Iraq e le ricerche dell’ong TransArms, ci vogliono circa sei mesi perché la macchina militare americana, che dipende dalla mobilitazione dei big mondiali della logistica integrata, possa organizzarsi per un’operazione all’estero su larga scala.

Il secondo schema è quello dell’Ukraine Security Assistance Initiative (USAI), utilizzato quindici volte in due anni per altri 18 miliardi di dollari, dedicato a soddisfare le necessità dell’esercito ucraino mediante ordinativi di materiale made in USA. Una terza voce è il Foreign Military Financing (FMF), il programma che consente all’amministrazione presidenziale di acquistare armi e servizi militari da inviare a paesi terzi in forma di prestito o di grant. Su questo capitolo sono stati spesi ulteriori 4,73 miliardi di dollari a beneficio dell’Ucraina e dei paesi più direttamente coinvolti dalla situazione ucraina.

In totale 48,7 miliardi di dollari negli esercizi fiscali 2022 e 2023: Si tratta di donazioni e finanziamenti a perdere, ma in pratica andranno ai grandi gruppi dell’industria militare americana, sia per la ricostituzione delle scorte, sia come commesse dirette da destinare all’Ucraina. I materiali sono stati spediti, ma i soldi restano in casa. Ben diverso è il destino degli aiuti finanziari, che in gran parte sono prestiti, la cui solidità dipenderà dalla solvibilità del debitore nei prossimi anni.

Il “generoso” aiuto militare americano non è stato altro che un vero e proprio finanziamento alla guerra, cioè indirettamente al complesso militar-industriale, iniziato nel 2014 in parallelo agli aiuti finanziari, per fornire assistenza “non letale” (Obama) e poi equipaggiamento “letale” (Trump nel 2017). Tra 2014 e 2017, da importante paese esportatore di armamenti (era tra i primi quindici al mondo, secondo il SIPRI) l’Ucraina è divenuto importatore assoluto, tributario dei programmi americani di assistenza militare, cioè gli stessi FMF e USAI ma in forma di prestiti agevolati.

Programmi USA di assistenza militare all’Ucraina

(in milioni di $ per anno fiscale (FY=1.10-30.9); fonte: Congressional Research Service, U.S. Security Assistance to Ukraine, giugno 2023)

Dopo l’invasione russa, da una parte è diventato indispensabile aumentare il sostegno finanziario al governo, sostanzialmente in bancarotta, di Volodymyr Zelensky, con il ricorso misto ai grants e ai prestiti a lunga scadenza. Dall’altra, l’urgenza dell’aiuto militare ha giustificato il carico sul bilancio USA, così come gli invii di ogni classe di armamenti presenti nei magazzini, e quindi seguendo la tipica ridondanza dei sistemi d’arma prodotti dal complesso militare-industriale americano, dove a orientare investimenti e spesa militare dei governi sono i mega-gruppi quotati in borsa.

Il lunghissimo elenco delle diverse tipologie e sistemi d’arma è lo specchio del rapporto simbiotico tra governo e industrie della difesa-aerospazio, rapporto su cui si fonda l’egemonia mondiale degli Stati Uniti, ma che – come temeva Eisenhower nel celebre farewell address del 1961 – ha finito per consegnare la gigantesca spesa pubblica nelle mani di un’élite tecnocratica-burocratica.

Sintesi grafica dello sforzo logistico per l’Ucraina nel 2022. Fonte: US Transcom

La pletora di sistemi d’arma e di munizionamento è notevole, peraltro scelta obbligata di fronte a stock risultati troppo “corti” nel concreto impiego in battaglia. Prendiamo ad esempio i droni. Il Pentagono ha inviato migliaia di Switchblade, i piccoli “droni killer” con testata esplosiva da 50 kg e un raggio d’azione massimo di 40 km; i Penguin progettati in Lettonia e realizzati su licenza in California; i mini-elicotteri Hornet e i grandi droni Puma da ricognizione; e centinaia di Phoenix Ghost, un nuovo sistema “suicida” di cui non si conosceva l’esistenza prima dell’invio in Ucraina. E poi veicoli e cannoni di ogni tipo, e ogni tipo di munizione per cannone… Dal giugno 2022 anche le batterie M142 HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System), lanciarazzi multipli su camion, con un raggio d’azione di 480 km. E da settembre 2022 i missili aria-terra anti-radar HARM (High-speed Anti Radiation Missile), con portata fino a 150 km. Missili, droni e Stinger – i lanciamissili portatili capaci di abbattere un aereo in volo a 3.500-4.000 m – rappresentano già quelle armi a lungo raggio che Zelensky ha continuato a reclamare e che l’amministrazione Biden si è mostrata ufficialmente restia a concedere.

In questa delicata strategia politico-militare degli invii, i partner europei hanno avuto un ruolo di secondo piano. Washington ha controllato ogni aspetto della guerra, sollecitato l’intervento di ciascun alleato solo attraverso accordi bilaterali, non ha promosso conferenze tra i donors, e le assemblee della NATO sono diventate solo tribune per i “falchi” est-europei, dove si ripeteva ancora una volta agli alleati il diktat dell’aumento delle spese militari al 2% del PIL.

Eppure, proprio in rapporto ai rispettivi PIL l’Europa supera gli Stati Uniti negli aiuti all’Ucraina complessivi, cioè umanitari, finanziari e militari insieme. Secondo i dati del Kiel Institute (aggiornati alla fine di maggio 2023), gli USA hanno sostenuto il 45% della spesa complessiva, i 27 paesi dell’Unione Europea (più Commissione e Consiglio d’Europa) il 39%, il Regno Unito il 7%. Però, se riferiti al PIL 2021 gli aiuti degli Stati Uniti sono pari allo 0,33% – un record storico senza precedenti, nella loro pur lunga storia di aiuti militari all’estero – e quello europeo addirittura allo 0,39% del PIL, superando persino il Regno Unito (0,37%). Ci sarebbe di che restituire la polemica innescata negli scorsi mesi da alcuni senatori repubblicani, che hanno proposto sanzioni economiche contro i paesi europei beneficiari del “sacrificio” degli Stati Uniti ma i cui contributi sono al di sotto del rapporto con il PIL. Invece, come sappiamo, i leader europei non si pensano come Unione, e stanno al gioco del bilateralismo USA che giustifica l’anacronismo dei loro piccoli stati nazione.

La sudditanza europea agli Stati Uniti è, del resto, frutto di una circolarità storica. È stata edificata sul rapporto di forza e l’occupazione militare, nel 1945, ed è stata mantenuta nei decenni attraverso la limitazione della produzione europea di armamenti, che a sua volta ha richiesto (e ovviamente ancora richiede) l’ombrello protettivo USA. Nei programmi di cooperazione militare industriale, gli Stati Uniti accettano solo comprimari e subfornitori. La proporzione degli aiuti militari a Kiev fotografa lo stato di fatto: gli Stati Uniti al 57%, i 27 paesi UE il 30%, il Regno Unito il 9%.

Infine, la scarsa trasparenza dei governi europei circa quali armi stanno inviando in Ucraina, e in quali quantità, è anche il segnale che le rispettive opinioni pubbliche – nonostante il battere della propaganda mediatica pro-guerra – non possono accettare troppo facilmente il fiume di denaro speso per una guerra voluta altrove, sottratto al welfare interno e profittevole a una limitata filiera produttiva. Nel caso italiano, poi, l’opacità si è tradotta in secretazione tramite l’approvazione di una delega in bianco del parlamento al governo per l’invio a titolo gratuito di materiale militare all’Ucraina. Altro che i presidential drawdowns di Biden, con la loro puntigliosa elencazione di tipi e quantità di armi e munizioni! Quel che sappiamo è il poco che lavoratori e cittadini hanno visto con i propri occhi passare per i porti, i centri logistici e sui binari italiani, diretto a qualche aeroporto o stazione in Polonia. Secondo i leaks messi sul web da Jack Teixeira, per il Pentagono gli unici materiali italiani di qualche utilità in Ucraina sono stati i cannoni FH-70 da 155 mm prodotti dalla OTO Melara, un programma industriale italo-tedesco-britannico risalente agli anni Settanta. A parte ovviamente gli Stinger e i Javelin anticarro già in dotazione all’Esercito italiano e che ora dovranno essere riacquistati: a prezzi aggiornati, s’intende.

È il gran bazar della guerra.


DA LEGGERE
Sugli aiuti internazionali all’Ucraina e le loro diverse fasi:
Kiel Institute for the World Economy, Data Set. Ukraine Support Tracker Data, aggiornato al 6.7.23.
https://www.ifw-kiel.de/publications/ukraine-support-tracker-data-20758/
– Jonathan Masters and Will Merrow, “How Much Aid Has the U.S. Sent Ukraine? Here Are Six Charts”, Concil for Foreign Relations, 10.7.23
https://www.cfr.org/article/how-much-aid-has-us-sent-ukraine-here-are-six-charts
– Mark F. Cancian, What Does $40 Billion in Aid to Ukraine Buy?, Center for Strategic and International Studies, 23.5.2022
https://www.csis.org/analysis/what-does-40-billion-aid-ukraine-buy
– Bruno Bilquin, Russia’s war on Ukraine: The EU’s financing of military assistance to Ukraine,
EPRS European Parliamentary Research Service, 20.5.2022
https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2022/729436/EPRS_ATA(2022)729436_EN.pdf
– ISPI, “Ucraina: Zelensky a Washington teme ‘l’effetto Afghanistan’”, ISPI Daily Focus, 1.9.21 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ucraina-zelensky-washington-teme-leffetto-afghanistan-31473
– Anna Blaustein, “How Ukraine Unplugged from Russia and Joined Europe’s Power Grid with Unprecedented Speed”, Scientific American, 23.3.22
Sugli aiuti degli Stati Uniti all’Ucraina:
– U.S. Department od Defence, Fact Sheet on U.S. Security Assistance to Ukraine, 18.7.23
https://media.defense.gov/2023/Jul/19/2003263170/-1/-1/1/UKRAINE-FACT-SHEET.PDF
– Congressional Research Service, U.S. Security Assistance to Ukraine, aggiornato al 15.6.23
https://crsreports.congress.gov/product/pdf/IF/IF12040
– The White House, A Memorandum on the Delegation of Authority Under Section 506(a)(1) of the Foreign Assistance Act of 1961, 27.8.21
https://www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2021/08/27/a-memorandum-on-the-delegation-of-authority-under-section-506a1-of-the-foreign-assistance-act-of-1961/
– Seymour Hersh, Trading with the Enemy, 12.4.2023, https://seymourhersh.substack.com/p/trading-with-the-enemy
Sulle armi inviate all’Ucraina:
– Forum on the Arms Trade, Arms Transfers to Ukraine, aggiornato in tempo reale
https://www.forumarmstrade.org/ukrainearms.html
– U.S. Department of State, U.S. Security Cooperation with Ukraine. Fact sheet, aggiornato al 14.8.23
https://www.state.gov/u-s-security-cooperation-with-ukraine/https://www.state.gov/u-s-security-cooperation-with-ukraine/
– Marie Slavicek et Pierre Bouvier, “Quels armements la France fournit-elle à l’Ukraine?”, Le Monde, 17.2.23
https://www.lemonde.fr/international/article/2023/02/17/quels-armements-la-france-fournit-elle-a-l-ukraine_6145207_3211.html
– “Tutte le armi fornite dagli Stati Uniti all’Ucraina”, Wired, 2.1.23
https://www.wired.it/article/armi-aiuti-militari-stati-uniti-ucraina/
– Claire Mills, Military assistance to Ukraine since the Russian invasion, House of Commons Library, Research Briefing, 14.8.23
https://researchbriefings.files.parliament.uk/documents/CBP-9477/CBP-9477.pdf
– “Which weapons might the US send to Ukraine? And which are unlikely to reach the war-torn nation?”, Al Jazeera, 13.10.22
https://www.aljazeera.com/news/2022/10/13/explainer-all-the-weapons-the-us-is-sending-to-ukraine
– “What is the difference between NASAMS and Patriots and how do these systems work in Ukraine?”, Espreso.TV, 23.6.23
https://global.espreso.tv/what-is-the-difference-between-nasams-and-patriots-and-how-do-these-systems-work-in-ukraine
Sui costi della ricostruzione:
– “Ukraine reconstruction: what to expect from Lugano meet”, Euractive, 1.7.22 https://www.euractiv.com/section/europe-s-east/news/ukraine-reconstruction-what-to-expect-from-lugano-meet/
Sulla cancellazione del debito:
– Owen Jones, “There’s an easy way to help Ukraine without military escalation: cancel its foreign debt”, The Guardian, 21.3.22
https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/mar/21/help-ukraine-without-military-escalation-cancel-foreign-debt-russia?ref=cancel-ukrainian-debt.org
– il sito web https://www.cancel-ukrainian-debt.org/
– Maurice Obstfeld, Anna Gelpern, Yuriy Gorodnichenko, and Sean Hagan, Life or Debt in Ukraine, 9.4.22
https://www.project-syndicate.org/onpoint/ukraine-debt-deferment-restructuring-by-anna-gelpern-et-al-2022-04
– Maximilian Hess, “Why Ukraine needs a ‘jubilee’”, Al Jazeera, 11.8.22
https://www.aljazeera.com/opinions/2022/8/11/ukraine-needs-a-jubilee
– Eoin Drea, “The EU is leading Ukraine into a sovereign debt crisis”, Politico, 23.1.23
https://www.politico.eu/article/european-union-ukraine-war-debt-crisis-aid-loans-18-billion/

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