Il prezzo dell’emergenza – NUDM Torino sul Covid19
Condividiamo questa interessante lettura dei fenomeni derivati dall’arrivo del coronavirus in Italia di NUDM Torino con alcune riflessioni anche rispetto allo sciopero produttivo e riproduttivo dell’8-9 marzo.
L’esperienza del Covid19 ha mostrato i nervi scoperti di una società impaurita, impoverita e confusa. Da alcuni giorni in Italia si respira un clima di sfiducia e sospetto, che, come NUDM Torino, abbiamo deciso di tentare di decifrare, dandone una lettura femminista, critica, il più possibile consapevole. Ci proviamo, consce di trovarci di fronte a un’esperienza che storicamente non avevamo mai affrontato, facendo attenzione a non assumere toni e atteggiamenti “arroganti”. Prendiamo voce non solo perché l’emergenza si sovrappone a un momento per noi simbolicamente fondamentale come l’8 marzo, ma anche e soprattutto, perché riteniamo che una informazione corretta e adeguata possa diventare strumento di crescita e autodeterminazione collettiva. In quanto donne e soggettività non conformi riconosciamo gli strumenti della narrazione tossica e la combattiamo.
Le informazioni circolanti sui media mainstream sono caotiche e discordanti: si passa dai toni complottisti di certi salotti, all’insolenza di altri, dalle apparizioni televisive a tappeto del premier, a contraddittori confusi, nei quali si confrontano figure spesso incapaci di offrire una posizione competente, col risultato di aumentare la tensione anziché migliorare l’informazione. Cosa significa raccontare e costruire un discorso pubblico intorno a una situazione di crisi e di emergenza come quella che stiamo affrontando? Quanto la narrazione mediatica si è resa complice nell’alimentare paure e comportamenti discriminatori in un momento già di per sè confuso e complesso? Sono anni che vediamo praticata una politica della paura, alla costante ricerca di nuovi nemici da isolare, combattere, respingere, rimpatriare. Il clima di diffidenza e la mancanza di solidarietà sono i suoi immediati effetti e, soprattutto in un momento di crisi come questo, non stupisce che le persone siano portate a reazioni individualistiche e frammentate, in preda al timore e alla consapevolezza (reale o percepita, non fa differenza) di essere sol*, di avere spalle sempre più fragili e cariche.
Ci domandiamo anche quanto questa emergenza sia stata utilizzata come laboratorio di “gestione crisi” in termini di controllo sociale. E ci chiediamo quanto, se tale è l’emergenza, si sia allora investito su una profilassi seria, il cui peso e impegno ricadesse e fosse gestito anzitutto dallo stato, invece che incoraggiare la cittadinanza a scelte autonome e necessariamente isolate, dispendiose, ed ecologicamente insostenibili. Uno stato che ha, negli anni, distrutto il welfare, sottoposto il sistema sanitario nazionale a tagli selvaggi in favore del settore privato e che oggi grida all’emergenza perché quello stesso sistema è allo sfinimento. Coerentemente con questo atteggiamento, nelle ultime ore il discorso pubblico è parso fare una brusca inversione, al grido di “il vero pericolo è il collasso economico”, e allora, se la chiusura delle scuole e degli asili, dei luoghi di aggregazione e di cultura, dei luoghi di lavoro e di sostegno ad anzian* o persone sole e non abbient* aveva generato un ulteriore carico di lavoro domestico e di cura su spalle soprattutto femminili, e a nessuno era importato nulla, ecco che invece il sistema capitalistico non può rallentare, e certo non può andare in quarantena. Se emergenza c’è, sfruttarla in senso repressivo è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, ma l’economia non può aspettare, mentre la psicosi e la paura si diffondono più velocemente del virus, con la complicità di media colpevolmente responsabili.
Le conseguenze di una gestione poco chiara e allarmistica del Covid19, e la sua stessa diffusione ci chiamano a esprimerci come femministe e trans-femministe e come soggettività che ogni giorno attraversano gli spazi cittadini e domestici.
Quante e quali le ricadute sulle nostre vite? Quanto incide questa emergenza sulle nostre condizioni materiali? Che tipo di conseguenze in termini di classe, “razza” e genere ha una crisi di questa portata? Il lavoro di cura pesa nella maggior parte dei casi sulle donne, che non si possono ammalare perché le bambine e i bambini vanno accudit* e sono a casa per un tempo non determinato. Sono le donne prima di tutt* che devono sperare che le loro figlie e figli non si ammalino, non solo per paura, ma anche perché curarl* richiederebbe tempo, medicine e permessi al lavoro non sempre concessi e quasi mai retribuiti: un aspetto che rende evidenti gli effetti differenziali dell’emergenza stessa, determinati dalla divisione sessuale del lavoro riproduttivo che si è enormemente intensificato per le donne. Sono per lo più donne, e per lo più migranti, in un’infinita catena globale di lavoro di cura, ad occuparsi nelle nostre case di persone anziane, disabili, malate, o a lavorare in settori come quello dei servizi di pulizia, dove l’emergenza ha determinato un’intensificazione del lavoro, a prescindere peraltro da qualsiasi considerazione relativa alla sicurezza e alla prevenzione.
Inoltre, al di fuori del mondo del lavoro, sono quasi sempre le donne che si prendono cura di persone anziane e/o malate, soggetti esclusi o lasciati ai margini dal welfare, che si ritrovano così a carico di chi ogni giorno cerca di tenere insieme la complessità di una vita segnata da precarietà, stress, fatica, oltre che dall’esperienza stessa di convivere con la malattia di un familiare. Non vogliamo sentirci rassicurat* dal fatto che i rischi maggiori del Covid19 ricadano soprattutto su persone anziane, immunodepresse o già affette da altre patologie (come certe narrazioni di questi giorni sembrano suggerire), ma vogliamo costruire una società che sia in grado di tutelare la salute e la dignità di tutt*, specialmente dei soggetti più vulnerabili.
Il sistema sanitario nazionale è eccellente grazie a molte delle persone che ci lavorano, ma è al collasso per un continuo processo di privatizzazione e smantellamento. In 10 anni sono stati sottratti alla sanità pubblica 37 miliardi e la salute continua ad essere il capitolo di spesa più aggredito. In questa situazione emergenziale diviene ancora più evidente come sia strutturalmente richiesto alle famiglie, ovvero alle donne, di sopperire alle carenza del sistema sociale, senza tener conto di cosa questo implichi nella vita concreta delle persone. Un lavoro invisibile e non riconosciuto eppure indispensabile per la tenuta economica e sociale, grazie al quale gli stati risparmiano milioni di euro l’anno.
È ancora sui soggetti socialmente più fragili che ricade tutto il carico di questo fallimento, figlio di una politica che alle esigenze delle persone continua ad anteporre quelle del capitale.
Siamo noi a perdere il lavoro, sempre se ne abbiamo uno o uno con contratto.
Siamo noi a perdere retribuzione in lavori nei quali già siamo pagate meno degli uomini.
Siamo noi le partite iva non per scelta.
Siamo noi le madri, le figlie, le nonne che sostengono una società deprivata dei servizi primari.
Siamo noi le malate, le deboli, le ferite che devono essere comunque guerriere.
Siamo noi quelle che spesso in casa non sono per nulla sicure e per le quali la quarantena potrebbe essere fatale.
Siamo noi le povere e precarie, abituate a contare i centesimi per la spesa, che non possono correre a fare scorte di alimenti né di generi di prima necessità.
Siamo noi quelle che si ammalano e magari non possono neanche dirlo.
Ma NON siamo quelle che odiano altr* additat* come untor*, che si divideranno cercando di salvarsi da sole e solu, che lasceranno qualcun* indietro, che sfrutteranno altr* per salvarsi.
Per questo continueremo a promuovere lo sciopero femminista e transfemminista e a diffondere i nostri contenuti, sperando di poter occupare fisicamente le strade con i nostri corpi l’8 e il 9 marzo. Certamente ci rendiamo conto che questa sia una situazione che, mentre rivela una volta di più l’urgenza dello sciopero femminista e transfemminista, rende estremamente difficile praticarlo (sia nel lavoro produttivo, sia in quello riproduttivo). Con questo comunicato abbiamo voluto dare conto delle riflessioni che stiamo facendo a tutte le donne e i soggetti che sono parte di questo movimento, che in questi anni hanno animato lo sciopero femminista e transfemminista e che oggi stanno materialmente subendo i colpi di questa situazione, per tenere aperto il processo e perchè pretendiamo welfare, dignità, cultura, possibilità di autodeterminazione.
Se le nostre vite non valgono, oggi come ogni giorno, noi scioperiamo! Non una di meno!
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