La buona scuola di renzi? Tagli, disciplinamento..dismissione!
Superata la sbornia delle promesse, come da copione italico l’inizio dell’anno scolastico e di quello accademico coincide con un brusco ritorno alla realtà: non solo mancano le coperture, ma altri tagli paiono in vista. Stando alle indiscrezioni del “Sole” – faticosamente smentite o smorzate da diversi esponenti del PD – dal Ministero dell’ Istruzione è partita una vasta operazione di sottrazione dei fondi ordinari destinati a scuola, ricerca, università, che investe svariate centinaia di milioni di euro e punta tra le altre cose a snellire ulteriormente fette di organico del personale tecnico-amministrativo già falcidiato nel post – Gelmini.
Non solo: il giro di vite molto stretto in nome della “Spending Review” giustificherebbe la volontà dell’ esecutivo renziano di eliminare le graduatorie d’ Istitituto che regolano l’attiività del corpo di insegnamento. Una mossa che ha allertato la categoria, già abituata nel recente passato a essere messa al centro degli attacchi in nome del rigore e dell’austerità. Di fatto, l’eliminazione delle graduatorie sarebbe di per sè qualcosa a dir poco folle e difficilmente gestibile, nonché minerebbe la garanzia della fruizione stessa di una continuità dell’ insegnamento.
In realtà, l’annuncio della eliminazione delle graduatorie può diventare un apripista retorico per una maggiore discrezionalità dei presidi nell’ arrogarsi la possibilità di chiamare a piacimento il personale addetto all’insegnamento: una flessibilizzazione tout court, usando il gergo neoliberale, che inciderebbe significativamente sull’ impostazione della scuola voluta da Renzi. Dare maggiore potere discrezionale ai presidi, by-passando di fatto le misure procedurali che in qualche modo sanciscono una affidabilità “oggettiva” del personale (uno degli scopi delle graduatorie), significherebbe introdurre un maggiore grado di ricattabilità all’interno degli istituti, e a cascata un effetto di irrigidimento gerarchizzante così come lo notiamo all’interno della flessibilizzazione del mondo del lavoro che si risolve a discapito dei nuovi precari.
Niente di nuovo sotto al sole, si potrà obiettare: le manovre, i tagli e le riforme che passano di esecutivo in esecutivo, vedono nella dismissione del welfare scolastico e nell’aziendalizzazione della forma-sapere un obiettivo primario e praticato senza soluzione di continuità. Ai tagli e alle ristrutturazioni dall’alto negli scorsi lustri di “movimento” corrisposero prese di posizione da parte del personale tecnico-amministrativo e dell’ insegnamento fondamentalmente semi-corporativiste, molto avviluppate in sé stesse alla ricerca del contentino e quindi tutte in difensiva rispetto alla portata complessiva delle manovre portate avanti.
Di fatto, solo quando sono partiti dei segnali di insofferenza molto estesi nel corpo studentesco, anche per altri settori della scuola sotto attacco si sono date possibilità di andare oltre la vertenzialità chiusa e, in prospettiva, fallace, cavalcata dalla maggiorparte dei sindacati di categoria. Non stupisce, ragionando in quest’ottica, che fette di sindacalismo del personale tecnico-amministrativo, degli insegnanti e del più vetusto corporativismo studentesco, si affrettino or ora a caldeggiare mobilitazioni contro la riforma e i tagli: se nel passato si era trattato di portare a casa “il punticino”, dettato anche da mere logiche di auto-rafforzamento, pare che la prospettiva dell’autunno attuale non consegni nulla di più, come in un processo rituale volto a deplorare le spinte che all’ìnterno delle scadenzialità stesse si danno.
Fare in modo che queste spinte che vengono dalla scuola, figlie di spontaneità e subitanee , possano darsi il tempo di maturare ed evolversi e intrecciarsi con i segmenti sociali in continua agitazione nei territori, è qualcosa che, oltre che auspicabile, segna un percorso di rottura e ricomposizione proprio laddove il terreno risulta minato già in partenza in nome del rituale opportunismo da rappresentanza..
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