La fusione nucleare è ancora solo propaganda
Non credete ai titoli dei giornali: sta succedendo molto meno di quanto affermano gli esperti pro-nuke.
di Brian Tokar
Questo articolo di Brian Tokar è tratto da Climate and capitalism.
Qui l’originale in inglese
Traduzione in italiano a cura di Ecor.Network
Con una enfatica svolta scientifica e ingegneristica i ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory della Bay Area hanno recentemente raggiunto l’obiettivo a lungo cercato di generare una reazione di fusione nucleare che producesse più energia di quella che veniva iniettata direttamente in un piccolo contenitore del reattore.
Il giorno dopo, esperti di tutto lo spettro politico propagandavano quella svolta come un presagio di una nuova era nella produzione di energia, suggerendo che un futuro di energia da fusione illimitata e a basso impatto fosse forse lontano pochi decenni. In realtà, però, la fusione nucleare commercialmente valida è solo infinitesimamente più vicina di quanto non fosse nel 1980, quando una reazione di fusione contenuta – nel senso che non si verifica nel sole o da una bomba – è stata raggiunta per la prima volta.
La maggior parte dei giornalisti onesti hanno almeno riconosciuto gli ostacoli alla fusione su scala commerciale, ma in genere li sottovalutano ancora – oggi come nel 1980. Ci viene detto che una reazione di fusione dovrebbe avvenire “molte volte al secondo” per produrre quantità utilizzabili di energia. Ma l’esplosione di energia dal reattore a fusione LLNL in realtà è durata solo un decimo di nanosecondo, cioè un decimiliardesimo di secondo. Apparentemente altre reazioni di fusione (con una perdita netta di energia) hanno funzionato per alcuni nanosecondi, ma riprodurre questa reazione oltre un miliardo di volte al secondo è ben oltre ciò che i ricercatori stanno prendendo in considerazione.
Ci viene detto che il reattore ha prodotto circa 1,5 volte la quantità di energia che è stata immessa, ma viene conteggiata solo l’energia del laser che ha effettivamente colpito il contenitore del reattore. Quell’energia, necessaria per generare temperature superiori a cento milioni di gradi, era il prodotto di una serie di 192 laser ad alta potenza, che richiedevano oltre 100 volte più energia per funzionare.
E ci viene detto che la fusione nucleare un giorno libererà vaste aree di terra che sono attualmente necessarie per far funzionare gli impianti solari ed eolici.
Ma l’intera struttura necessaria per ospitare i 192 laser e tutte le altre apparecchiature di controllo necessarie è abbastanza grande da contenere tre campi da calcio, anche se la reazione di fusione effettiva avviene in un vaso d’oro o di diamanti più piccolo di un pisello.
Tutto questo solo per generare l’equivalente di circa 10-20 minuti dell’energia che viene utilizzata da una piccola casa ordinaria. Chiaramente, anche i sistemi solari sul tetto più economici possono già fare molto di più. Il gruppo di Mark Jacobson della Stanford University ha calcolato che una conversione totale all’energia eolica, idrica e solare potrebbe utilizzare circa la stessa quantità di terra attualmente occupata dalle infrastrutture mondiali dei combustibili fossili.
Il critico nucleare di lungo corso Karl Grossman ha scritto recentemente su Counterpunch dei molti probabili ostacoli al potenziamento dei reattori a fusione, anche in linea di principio, tra cui l’elevata radioattività, la rapida corrosione delle apparecchiature, l’eccessiva richiesta di acqua per il raffreddamento e la probabile rottura dei componenti, che dovrebbero funzionare a temperature e pressioni immensurabilmente elevate.
La sua fonte principale su questi temi è il Dr. Daniel Jassby, che ha diretto il pionieristico laboratorio di ricerca sulla fusione di Princeton per 25 anni. Il laboratorio di Princeton, insieme a ricercatori in Europa, ha guidato lo sviluppo del dispositivo più comune per ottenere reazioni di fusione nucleare, un recipiente a forma di ciambella o sferico noto come tokamak. I Tokamaks, che contengono volumi molto più grandi di gas altamente ionizzato (in realtà un plasma, uno stato fondamentalmente diverso della materia), hanno ottenuto reazioni di fusione sostanzialmente più voluminose per diversi secondi alla volta, ma non si sono mai avvicinati alla produzione di una energia maggiore di quella iniettata nel reattore.
La reazione di fusione mediata dal laser ottenuta al LLNL si è verificata in un laboratorio chiamato National Ignition Facility, che promuove il suo lavoro sulla fusione per l’energia, ma è principalmente dedicato alla ricerca sulle armi nucleari. M. V. Ramana dell’Università della British Columbia, il cui recente articolo è stato pubblicato sul nuovo ZNetwork, spiega: “Il NIF è stato istituito come parte del Science Based Stockpile Stewardship Program, che era la compensazione pagata ai laboratori di armi nucleari statunitensi per aver rinunciato al diritto di testare, dopo la firma da parte degli Stati Uniti del Trattato sulla messa al bando totale dei test” nel 1996. È “un modo per continuare a investire nella modernizzazione delle armi nucleari, anche se senza test esplosivi, e mascherarlo come un mezzo per produrre energia ‘pulita“.
Ramana cita un articolo del 1998 che spiega come uno degli obiettivi degli esperimenti di fusione laser sia quello di cercare di sviluppare una bomba all’idrogeno che non richieda una bomba a fissione convenzionale per innescarla, eliminando potenzialmente la necessità di uranio o plutonio altamente arricchiti nelle armi nucleari.
Mentre alcuni autori prevedono un futuro di reattori a fusione nucleare funzionanti con acqua di mare, il combustibile attuale sia per i tokamak che per gli esperimenti di fusione laser è costituito da due isotopi unici di idrogeno noto come deuterio – che ha un neutrone in più nel suo nucleo – e trizio – con due neutroni in più. Il deuterio è stabile e piuttosto comune: circa uno su ogni 5-6000 atomi di idrogeno nell’acqua di mare è in realtà deuterio, ed è un ingrediente necessario (come componente di “acqua pesante”) nei reattori nucleari convenzionali.
Il trizio, tuttavia, è radioattivo, con un’emivita di dodici anni, ed è in genere un sottoprodotto costoso ($ 30.000 al grammo) di un insolito tipo di reattore nucleare noto come CANDU, che si trova principalmente oggi in Canada e Corea del Sud. Con la metà dei reattori CANDU operativi programmati per la chiusura in questo decennio, le forniture di trizio disponibili raggiungeranno probabilmente il picco prima del 2030 e un nuovo impianto sperimentale di fusione in costruzione in Francia esaurirà quasi del tutto la fornitura disponibile nei primi anni del 2050. Questa è la conclusione di un articolo altamente rivelatore apparso sulla rivista Science lo scorso giugno, mesi prima dell’ultima svolta sulla fusione (successivamente ho appreso che la maggior parte di quei dati è stata riportata per la prima volta per un pubblico non specializzato nel New Energy Times nel 2021).
Mentre il laboratorio di Princeton ha fatto alcuni progressi verso il potenziale riciclaggio del trizio, i ricercatori della fusione rimangono fortemente dipendenti dalle forniture in rapida diminuzione.
Sono in fase di sviluppo anche combustibili alternativi per reattori a fusione, basati su elio radioattivo o boro, ma questi richiedono temperature fino a un miliardo di gradi per innescare una reazione di fusione.
Il laboratorio europeo prevede di sperimentare nuovi modi di generare trizio, ma questi aumentano anche significativamente la radioattività dell’intero processo, e si prevede un approvvigionamento di trizio solo del 5-15%. Maggiore sarà il tempo di inattività tra le prove sperimentali, minore sarà il trizio prodotto.
L’articolo di Science cita D. Jassby, ex del laboratorio di fusione di Princeton, dicendo che il problema della fornitura di trizio essenzialmente “rende impossibili i reattori di fusione deuterio-trizio“.
Allora perché tutta questa attenzione verso il potenziale fantasticato per l’energia da fusione?
È l’ennesimo tentativo da parte di coloro che credono che solo un approccio su larga scala e ad alta intensità tecnologica possa essere una valida alternativa alla nostra attuale infrastruttura energetica dipendente dai combustibili fossili. Alcuni degli stessi interessi continuano a promuovere le false affermazioni secondo cui una “nuova generazione” di reattori nucleari a fissione risolverà i persistenti problemi dell’energia nucleare, o che la cattura su larga scala e lo stoccaggio sottoterra dell’anidride carbonica dalle centrali elettriche a combustibili fossili renderà possibile perpetuare l’economia basata sui fossili nel lontano futuro.
Esula dallo scopo di questo articolo affrontare sistematicamente tali affermazioni, ma è chiaro che le promesse odierne per una nuova generazione di reattori “avanzati” non sono molto diverse da quelle che stavamo ascoltando negli anni 1980, ’90 o nei primi anni 2000.
La gola profonda del nucleare Arnie Gundersen ha sistematicamente esposto i difetti nel “nuovo” progetto del reattore attualmente sostenuto da Bill Gates, spiegando che la tecnologia con raffreddamento al sodio che ne è alla base è la stessa del reattore che ha messo a rischio di scomparsa la città di Detroit a causa di una fusione parziale nel 1966, e ha ripetutamente causato problemi in Tennessee, Francia e Giappone. L’infrastruttura nucleare francese, che è stata a lungo propagandata come un modello per il futuro, è sempre più afflitta da problemi alle apparecchiature, enormi sforamenti dei costi e alcune fonti di acqua di raffreddamento non sono più abbastanza fredde, a causa dell’aumento delle temperature globali. Un tentativo di esportare tecnologia nucleare francese in Finlandia ha richiesto più di vent’anni oltre il previsto, e la moltiplicazione del costo stimato originariamente.
Per quanto riguarda la cattura del carbonio, sappiamo che innumerevoli esperimenti di cattura del carbonio, altamente sovvenzionati, sono falliti e che la stragrande maggioranza della CO2 attualmente catturato dalle [emissioni delle] centrali elettriche viene utilizzata per il “recupero avanzato del petrolio”, cioè per aumentare l’efficienza dei pozzi petroliferi esistenti. I gasdotti che sarebbero necessari per raccogliere effettivamente la CO2 e seppellirla sottoterra sarebbero paragonabili all’intera infrastruttura attuale per le condutture di petrolio e gas, e la nozione di cattura permanente nel sottosuolo e probabilmente si rivelerà un sogno irrealizzabile.
Nel frattempo, sappiamo che i nuovi impianti solari ed eolici sono già più economici da costruire rispetto alle nuove centrali elettriche a combustibili fossili, e che in alcune località sono ancora meno costosi rispetto al continuare a far funzionare le centrali elettriche esistenti. Lo scorso maggio, la California è stata brevemente in grado di gestire l’intera rete elettrica con energia rinnovabile, un traguardo che era già stato raggiunto in Danimarca e nell’Australia meridionale. E sappiamo che una varietà di metodi di stoccaggio dell’energia, combinati con una sofisticata gestione del carico e con aggiornamenti alle infrastrutture di trasmissione, stanno già aiutando a risolvere il problema dell’intermittenza dell’energia solare ed eolica in Europa, California e altre località.
Allo stesso tempo, sta crescendo la consapevolezza della crescente dipendenza della tecnologia rinnovabile, comprese le batterie avanzate, dai minerali estratti dalle terre indigene e dal Sud del mondo. Pertanto, una transizione energetica significativamente giusta deve essere pienamente rinnovabile e anche rifiutare i miti della crescita perpetua emersi dall’era dei combustibili fossili. Se la fine dell’era dei combustibili fossili fa presagire la fine della crescita capitalista in tutte le sue forme, è chiaro che tutta la vita sulla terra alla fine ne sarà beneficiaria.
* L’attivista e autore Brian Tokar è docente e membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto per l’ecologia sociale. Il suo ultimo libro, co-curato con Tamra Gilbertson, è Climate Justice and Community Renewal: Resistance and Grassroots Solutions.
Immagini:
1) Exterior patio of the National Ignition Facility, by Lawrence Livermore National Security. Licenza CC BY-SA 3.0.
2) Nuclear fusion display at the Weiss Energy Hall, by kpfellows. Licenza CC BY-NC-SA 2.0.
3) Deuterium-tritium fusion-ru, by Kirill Borisenko. Licenza CC BY-SA 4.0.
4) Enhanced Oil Recovery, U.S. Department of Energy.
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