Fango sulle mani, rabbia dentro al cuore
Ci siamo fatti tante domande prima di scrivere questo testo, ma alla fine abbiamo risolto decidendo che non occorreva altro che la naturalezza che ci ha portato tra il fango e i detriti fin da subito, la stessa naturalezza che sulle strade, nelle creuze ha portato tante persone: giovani, vecchi, incazzati o semplicemente stanchi, tutti scesi nelle strade per ripulire ancora una volta quel maledetto fango.
Non ci interessa affrontare le discussioni che sentiamo fare nei salotti televisivi su questo o quel modello meteorologico, bastava camminare per le strade di questa città, già dal mattino di giovedì, per capire che si poteva temere il peggio. Ore ed ore di muro d’acqua impenetrabile, fiumi gonfi da giorni per le perturbazioni intense. Non abbiamo avuto bisogno di pluviometri o modelli previsionali, sapevamo già che su un territorio martoriato da speculazioni e abbandono bastava poco più di una pioggia per trasformare i rivi in fiumi e le vallate in mari in tempesta.
L’abbiamo detto fin troppe volte alle marce verso il cantiere dell’alta velocità di Fegino che quella maledetta collina alla prima pioggia sarebbe venuta giù. E così è stato. Il paradosso del TAV che ferma un TAV. Un cantiere “all’avanguardia” alle spalle della ferrovia ottocentesca: un fiume d’acqua, pietre e fango sui binari che fa deragliare un Frecciabianca.
Ma non ci importa parlare solo di questo. Ci importa parlare di cosa è stato trovarsi, di nuovo, a 3 anni di distanza nelle stesse strade, a pulire ancora una volta lo stesso fango maleodorante. Ci siamo chiesti perché ci bastassero 2 ore per pulire un magazzino e in quel tempo non si presentasse nemmeno un camion a portar via la melma. Ci siamo chiesti cosa dire davanti a persone che ti dicevano che nel 2011 avevano perso 60mila euro di merce e da allora hanno pagato mutui da 600 euro al mese per riuscire a ripagarla, ed ora, di nuovo, non hanno più nulla. Ci siamo chiesti cosa dire di fronte a chi è fuori casa come le tante famiglie sfrattate dall’acqua.
Ma come ogni città che si rispetti, le risposte vengono dalla gente che la vive e la attraversa e di fronte all’ennesimo disastro è sempre pronta a rimboccarsi le maniche per rimettere tutto a posto.
Siamo stanchi di tutte le passerelle nei telegiornali, di tutte le loro scuse, di tutti i loro non sapevo, di tutte le loro stronzate, di tutte le loro grandi opere devastanti fatte con i soldi con cui si dovrebbe mantenere il territorio; un’amministrazione che è solo attenta a discolparsi dalle proprie responsabilità, uno stato che schiera sfilate di uomini e mezzi di polizia e carabinieri tutti tirati a lucido a difesa dei veri sciacalli di questa città, politica ed amministrazione cittadina.
Non vogliamo più stare a spalare il fango che esce dalle loro scelte, non vogliamo più stare a consolare chi ha avuto un parente ucciso dal fango, non vogliamo più far finta di niente mentre la nostra città crolla su se stessa, come palafitte in mezzo a una tempesta.
Non siamo angeli del fango, non ci importa delle foto in piazza , delle magliette vendute.
Come diceva qualcuno nei giorni passati: “Gli angeli, nella mente della gente hanno il culo di stare in cielo. Noi stiamo nel fango da quando nasciamo, stiamo nel fango a scuola, nel fango all’università o sfruttati a 4 euro all’ora in un call center, siamo nel fango quando facciamo i portapizze in nero, oppure lavoriamo 3 mesi si e tre mesi no, nel fango quando occupiamo una casa o un edificio abbandonato per farne uno spazio di aggregazione e socialità. Stiamo nel fango tutti i giorni quando i nostri genitori non riescono ad arrivare a fine mese o quando vengono messi in cassaintegrazione per salvare qualche banca. Non siamo angeli: gli angeli non sono incazzati”.
Abbiamo passato la giornata con i piedi nella melma, accomunati dallo stesso odio profondo, persone con le facce sporche, uomini e donne con pale, scope e tiraacqua. Persone piene di rabbia che scherzano e ridono per rendere la fatica più sopportabile, ma che cercano di non parlare della propria incazzatura per paura che esploda. E invece quella è la rabbia che dobbiamo mettere in connessione, farla esplodere, riprenderci il territorio, riconquistarlo pezzo a pezzo, riprendere collettivamente le città, i fiumi, le strade, riprendere le colline e strapparle alle ditte devastatrici, riprendere le case vuote quando rimaniamo senza casa per colpa di uno sfratto o di un maledetto fiume di fango, riprendere le scuole e le università contro coloro che vogliono trasformarle in catene di montaggio.
Dobbiamo prendere le pale in mano e togliere tutto il fango che rimane in questo mondo.
Le città sono di chi le vive! Riprendiamoci le città!
Re.UP Genova
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