
Perché non c’è nulla di esaltante nell’arrivo di più donne ai vertici della polizia
Pochi giorni fa è stato pubblicato su La Stampa Torino un articolo intitolato “Anche in Questura si può rompere il tetto di cristallo”.
Il giornale celebra le “otto donne ai vertici degli uffici più strategici della polizia” di Torino. Questa sarebbe la dimostrazione di nuovi traguardi in cui “è l’universo delle donne che avanza”. Cosa leggere in questa narrazione?
Capiamo insieme perché l’accaduto NON simboleggia una vittoria femminista.
Questo tipo di descrizione della società che avanza grazie a un maggior numero di donne al potere è spesso utilizzato da governi reazionari che nulla hanno a che vedere con il transfemminismo come orizzonte rivoluzionario (ma neanche con semplici politiche pubbliche a favore di donne e persone LGBTQIA+). Come Meloni al governo, come ora Alice Weidel in Germania con AfD, essere donne in posizioni di potere tipicamente coperte da uomini non significa molto se si è dalla parte politica che opprime altre donne*, persone razzializzate e classi più povere.
Questo articolo è un esempio della narrazione liberale e autoritaria del concetto della non-discriminazione sul lavoro, con l’intento di dipingere la polizia come un ambiente progressista. In altre parole un esercizio di pink-washing mentre viviamo un attacco senza precedenti al diritto di protesta in Europa e in Italia. Torino, più in particolare, è un laboratorio di repressione e criminalizzazione mirata del dissenso che colpisce i movimenti che mettono a critica le ingiustizie alla base di questa società, tra cui le discriminazioni e la violenza di genere in Italia e in altre parti del mondo. Sono queste forze dell’ordine che inoltre sono chiamate a portare avanti forme di repressione sempre più stigmatizzanti come “zone rosse” appena introdotte anche nella nostra città, o come i centri per il rimpatrio (CPR, di imminente riapertura a Torino).
L’arrivo di otto poliziotte ai vertici non è una fotografia rappresentativa della condizione collettiva che viviamo come donne e persone LGBTQIA+. In Italia il divario di genere sul lavoro è doppio rispetto agli altri paesi europei e, secondo il global gender gap index, la situazione italiana è addirittura peggiorata negli ultimi anni. Viviamo sulla nostra pelle quelle che sono le condizioni più diffuse: la precarietà lavorativa, la mancanza di reddito e di riconoscimento, i mestieri usuranti, il carico doppio del lavoro di cura, le molestie sul posto di lavoro (secondo gli ultimi dati ISTAT, il Piemonte è la regione italiana al primo posto per percentuale di lavoratrici molestate: due su dieci).
Sono tantx lx pensatrici transfemministx che ci insegnano a riconoscere l’oppressione che le donne in posizione di potere possono esercitare, come attraverso il loro ruolo in strutture poliziesche e securitarie. Nel mondo, la violenza razzista e classista della polizia – come il numero di persone uccise nelle comunità nere e latine degli Stati Uniti o in Palestina – sono la dimostrazione che non può esistere la liberazione delle donne senza una rivoluzione antirazzista e anticapitalista. Come suggerisce Angela Davis, definanziare la polizia (dallo slogan del movimento Black Lives Matter “defund the police”), prelevando fondi dalle forze dell’ordine, permetterebbe di costruire nuove istituzioni e nuovi servizi sia per l’educazione che per il diritto all’abitare, perché: “la sicurezza, salvaguardata dalla violenza, non è davvero sicurezza”.
Oggi più che mai è importante riconoscere come le destre portino avanti una vera e propria propaganda con i nostri corpi.
Si appropriano della categoria politica di donna preoccupandosi delle condizioni apparenti di poche donne bianche che possano lavorare a servizio di regimi sempre più autoritari. Di recente, autrici come Sophie Lewis ci mettono in guardia contro questi tipi di “femminismi nemici” che, ad esempio, vogliono “difendere le donne dall’ideologia gender” e negare l’esistenza (e di conseguenza i diritti) delle persone trans, come da programma di Trump. La liberazione di donne e persone LGBTQIA+ non passerà attraverso la riproduzione delle strutture repressive, ne attraverso la loro femminilizzazione.
Non avverrà attraverso il primato dei meccanismi dell’ordine e del capitalismo sulla giustizia sociale.
Ed è per tutto questo che l’accaduto NON simboleggia una vittoria femminista. È necessario rimanere ben saldx di fronte a una propaganda che fa uso di queste narrazioni mentre perpetua attacchi sempre più forti allo stato di diritto. È necessario portare avanti una contro narrazione e una contro proposta che tenga insieme le nostre esperienze vissute, qui e dallx nostrx sorellx nel mondo. Un approccio di classe, decoloniale e transfemminista, che continui a portare a galla tutte le contraddizioni di questo sistema. E che con la promozione di alcune donne ai vertici della polizia non ha nulla a che fare.
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