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Libia, porto insicuro per Salvini ed i suoi alleati islamisti

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L’asse Lega-Fratelli Musulmani e la nuova fase del conflitto nel paese nordafricano

Da poco i riflettori mediatici si sono riaccesi sulla sponda sud del Mediterraneo. Che da “porto sicuro” per i barconi migranti, secondo il vicepremier Salvini, è divenuta nel giro di una decina di giorni polveriera del potenziale esodo di “800.000 persone” – in base alle dichiarazioni del premier di Tripoli al Serraj, alleato proprio del segretario leghista. Il quale, nel completo asservimento dell’informazione nostrana, non ha di mancato di smentirsi – né di ululare (complice il periodo pasquale) allo spauracchio del radicalismo islamico. Eppure è proprio quest’ultimo il suo principale referente nel contesto libico, e non solo.

Nel marzo 2011 l’intervento militare francese, statunitense e britannico contro il rais Muammar Gheddafi, a cui si accodò prontamente il governo forzaleghista allora in carica, fu determinante per depotenziare le sollevazioni nordafricane che avevano già rovesciato i regimi tunisino ed egiziano; le cui piazze presidiate da giovani, donne, operai ed ultras avevano messo inizialmente in crisi l’opposizione istituzionale designata, quella di stampo prettamente islamista della Fratellanza Musulmana.

Un movimento le cui milizie nel contesto libico – dopo il periodo turbolento seguito alla caduta di Gheddafi, inclusa la sanguinosa parentesi locale dell’ISIS – costituiscono la spina dorsale del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Serraj, contrapposto al Governo di Tobruk sostenuto dal maresciallo Khalifa Haftar. E che dal proprio quartier generale in Qatar, sotto la protezione della monarchia assoluta dell’emirato, propugna un modello di Islam conservatore e suprematista da conseguirsi sia per via elettorale (come in Turchia con l’AKP) che militare (come in Siria con le formazioni a sostegno di una rivoluzione teocratica anti-Assad).

A fine ottobre scorso Salvini ha visitato il Qatar, confermando entusiasticamente i rapporti privilegiati delle istituzioni nostrane con la monarchia reazionaria del Golfo. Un “lavoro per le imprese italiane” dell’ammontare di 9 miliardi di euro nel solo settore delle commesse militari, ed a cui fanno eco il via libera alla speculazione immobiliare dell’emirato in Lombardia (complesso di Milano Porta Nuova) e Sardegna (Costa Azzurra) ed i 22 milioni di euro stanziati, secondo il libro “Qatar Papers” dei giornalisti francesi Chesnot e Malbrunot, per la penetrazione dell’ideologia della Fratellanza Musulmana nelle moschee italiane: per questi flussi incrociati sì che i porti sono aperti.

L’altra carta di scambio è appunto la Libia, in cui il Qatar e la Turchia di Erdogan (altro principale esponente della Fratellanza) sostengono anch’esse il governo Serraj – nei cui campi di concentramento finiscono i migranti provenienti dai paesi sub-sahariani. Chiudendo un ideale cerchio di continuità con il doppio binario “interno-estero” delle politiche di Minniti – e solo in apparente stridore con la propaganda islamofoba della Lega – si è così consolidato un asse con due tra i peggiori regimi del Medio Oriente.

Relazioni pericolose (per noi e per i libici) a cui non è immune nemmeno la Francia “globalista” di Macron, che nonostante il Bataclan e le successive retoriche su sicurezza e stato di emergenza ha continuato ad intessere fortissimi legami economici e militari con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Finendo per allinearsi ad esse – in contrapposizione a Salvini – proprio al fianco di Haftar, assieme alla “sovranista” Russia e all’Egitto di al Sisi, desiderosi di imporre il proprio protettorato sul paese. Ultimi arrivati gli Stati Uniti, in cui Haftar è stato esule ed ha ottenuto la cittadinanza.

Dopo aver occupato nel 2017 i terminali petroliferi della Sirte, ed imposto il suo dominio sulla Cirenaica, Haftar ha così approfittato delle cosmetiche conferenze internazionali “di pace” come quella di Palermo del novembre scorso per impossessarsi dei giacimenti di greggio del Fezzan, stringere un accordo con le milizie Tuareg della zona e prepararsi all’avanzata su Tripoli.

Cosa succederà ora? E’ difficile che le armi ed i finanziamenti esteri ai due contendenti possano sbloccare rapidamente il conflitto, dato il carattere tribale ed opportunista delle milizie che sostengono sia Serraj che Haftar. Nel lungo termine il maresciallo potrebbe però essere avvantaggiato dal maggior peso dei suoi sponsor internazionali e dalla frammentazione del blocco pro-Serraj – tenuto in piedi dalle formazioni armate delle città di Misrata e Zawia, tra le meglio armate e rodate nella breve guerra del 2011.

Otto anni più tardi la Libia quindi ritorna, anche per reazione ai nuovi moti rivoluzionari in Algeria e Sudan, baricentrale nello scontro tra le potenze internazionali per rifondare uno status quo autoritario nella regione. E non è detto che l’aspirante uomo forte di casa nostra non ne trovi altri più potenti e spietati di lui.

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