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Londra dopo le rivolte

E’ stata una delle notizie principali della scorsa estate. Il titolo “Londra brucia” (e non solo Londra) rimbalzava dai media mainstream ai blog, echeggiando una famosa canzone dei Clash di fine anni Settanta. Oggi, quasi due mesi dopo le rivolte inglesi, tutto sembra tranquillo e la notizia è scomparsa. Ma che ne è delle ragioni materiali all’origine di saccheggi e devastazioni?

Anticipando il reportage Le vie della rivolta, che comparirà sul numero di ottobre di E-il mensile (in edicola da mercoledì 5 ottobre), PeaceReporter l’ha chiesto alla filosofa ed editorialista britannica Nina Power.

Un mese dopo le rivolte inglesi: cosa hanno fatto le autorità per affrontare i problemi alla loro origine, a parte militarizzare le strade?
Le autorità stanno facendo ben poco anzi quasi niente per risolvere i problemi sociali che sono la vera causa delle violenze. Addirittura si può dire che fanno esattamente quello che non dovrebbero e che potenzialmente potrebbe peggiorare la situazione: le operazioni di polizia si concentrano sulle minoranze etniche, l’ineguaglianza economica peggiora, coloro che erano coinvolti nelle sommosse vengono puniti in maniera eccessivamente dura. Molte di queste misure non sono altro che un atteggiamento populista per dimostrare alla classe media, alla classe “proprietaria”, che qualcosa “è stato fatto”. Ma un atteggiamento criminalizzante può provocare più rivolte. La complicità dei giudici che si piegano di fronte a questo populismo, non è da sottovalutare. Penso che la gente veda il nucleo polizia/giustizia/governo come un’organizzazione predisposta per punire e raccogliere informazioni su chiunque sia da considerarsi socialmente indesiderabile (studenti che protestano, rivoltosi, squatters etc.)

Qual è stata la reazione dei gruppi di sinistra di fronte alle sommosse?
Ci sono state reazioni di tipo diverso: alcuni gruppi anarchici e di sinistra hanno organizzato una campagna per dire NO agli sfratti quando gli organi di governo della città di Londra hanno mandato lettere dichiarando che chi avesse preso parte alle violenze sarebbe stato buttato fuori dalle case popolari, costringendo di fatto famiglie intere a diventare dei “senza tetto”. Altri cercano di fare campagne per difendere chi è stato condannato. Io penso che sia necessario fare di più per spiegare e difendere le ragioni dei dimostranti, e bisognerebbe anche ripensare alla nozione di “proprietà” e al fatto che sia alla base di tutte le preoccupazioni della politica tradizionale.

Qualcuno cerca di organizzare la protesta e di darle degli obiettivi politici?
Forse più a livello di analisi che di azione: la forte reazione, l’arresto e la condanna di coloro che erano coinvolti sono stati eseguiti con tale rapidità (con tribunali aperti anche di notte e gente spedita in prigione in tempi decisamente accelerati rispetto alla norma) che l’organizzazione ha avuto difficoltà a stare al passo. Credo che la natura politica delle rivolte sia identificabile proprio nella risposta dell’establishment, che ha fatto di tutto per negarla.

Secondo lei queste rivolte sono una forma di lotta di classe contemporanea o no?
Si, nel senso che si sono ribellati soprattutto gli esclusi, quelli che vengono perseguitati: i disoccupati, già criminalizzati, e continuamente assillati dalla polizia. Tutto questo in un contesto in cui ricchi politici ipocriti dicono alla gente che deve trovarsi un lavoro, quando di lavoro non ce n’è. Penso che ci saranno altre violenze, la coalizione al governo è molto debole e sanno che non saranno rieletti. Penso che stiano cercando di portare avanti quanti più tagli possibile e contano sui giudici e sulla polizia per bloccare ogni resistenza nel modo più brutale possibile.

Crede che ci sia una connessione tra le rivolte e la gentrification (trasformazione dei quartieri popolari in residenziali)?
Senza dubbio, ma è difficile da quantificare. E’ certamente vero che i poveri e i disoccupati vengono spinti sempre più verso le periferie, sempre più fuori Londra ad esempio, e che il costo della vita aumenta vertiginosamente per un numero sempre maggiore di persone.

Cosa ne pensa, da un punto di vista sia politico sia teorico, dell’attitudine dei rivoltosi al saccheggio?
Penso che sia perfettamente comprensibile, è il piacere dello “shopping proletario”. Abbiamo un governo di avidi politici eletti da noi cittadini che rubano ai poveri, si fanno rimborsare per spese illegali, etc. Non credo che il saccheggio sia negativo, ma chi ritiene che la proprietà sia sacrosanta penserà che sia una cosa spaventosa, a livello della violenza contro le persone, mentre chiaramente non lo è. I media hanno detto che i rivoltosi hanno attaccato i piccoli negozi indipendenti mentre in realtà hanno saccheggiato solo le grandi catene o attaccato le banche, gli istituti finanziari, come il banco dei pegni o le agenzie che fanno prestiti usurai, insomma i luoghi in cui ci si approfitta dei poveri e dei disoccupati.
_________

(traduzione di Laura Passetti)

a cura di Gabriele Battaglia per Peace Reporter

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