Naomi Klein: Occupy Wall Street oggi è la cosa più importante del mondo
Ho avuto l’onore di essere invitata a parlare a Occupy Wall Street giovedi sera [6 ottobre, n.d.t.]. Dato che l’amplificazione è (disgraziatamente) proibita, e tutto ciò che ho detto ha dovuto essere ripetuto da centinaia di persone in modo che gli altri potessero sentire, (a.k.a. “il microfono umano”), quello che ho effettivamente detto nella Piazza della Libertà ha dovuto essere molto breve. Tenendo presente questo, qui c’è la versione più lunga, non tagliata del discorso.
Vi amo.
E non ve lo dico solo perché centinaia di voi mi urlino in risposta “Ti amiamo”, anche se questo è un vantaggio in più del microfono umano. Dire agli altri quello che avreste voluto che vi dicessero, solo più forte.
Ieri uno dei portavoce all’incontro dei lavoratori ha detto: “Ci siamo incontrati”. Questo sentimento contiene la bellezza di quello che si sta creando qui. Uno spazio aperto (e un’idea così grande da non poter entrare in nessuno spazio) in cui tutti coloro che vogliono un mondo migliore possono incontrarsi. Vi siamo molto grati.
Se c’è una cosa che so, è che l’1% ama le crisi. Quando la gente è nel panico e disperata e nessuno sembra sapere cosa fare, quello è il momento ideale per far passare la propria lista di politiche pro-corporative: privatizzare l’educazione e la sicurezza sociale, smantellare i servizi pubblici, liberarsi degli ultimi limiti al potere corporativo. In mezzo alla crisi economica, questo avviene in tutto il mondo.
E c’è solo una cosa che può bloccare questa tattica, e fortunatamente è una grandissima cosa: il 99 per cento. E questo 99 per cento sta scendendo in piazza da Madison a Madrid per dire “No. Non pagheremo la vostra crisi”.
Lo slogan è nato in Italia nel 2008. È rimbalzato in Grecia e Francia e Irlanda e alla fine è arrivato al chilometro quadrato dove la crisi è cominciata.
“Perché protestano?” chiedono gli eruditi perplessi alla TV. Nel frattempo, il resto del mondo si chiede: “Perché ci avete messo così tanto?” “Ci stavamo chiedendo quando vi sareste fatti vedere”. E la maggior parte: “Benvenuti”.
Molta gente ha fatto dei paragoni tra Occupy Wall Street e le cosiddette proteste anti-globalizzazione che avevano richiamato l’attenzione del mondo a Seattle nel 1999. Quella è stata l’ultima volta in cui un movimento globale, guidato dai giovani, decentralizzato aveva preso di mira il potere corporativo. E sono fiera di aver fatto parte di quello che abbiamo chiamato “il movimento dei movimenti”.
Ma ci sono anche importanti differenze. Per esempio, avevamo scelto i vertici come bersaglio: l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo Monetario Internazionale, il G8. I vertici sono transitori per natura, durano solo una settimana. Questo ci ha reso transitori pure noi. Apparivamo, ci prendevamo i titoli di tutto il mondo, poi scomparivamo. E nella frenesia di patriottismo e militarismo seguita agli attacchi dell’11 settembre, è stato facile spazzarci via completamente, almeno in Nord America.
Occupy Wall Street, invece, ha scelto un bersaglio fisso. E voi non avete messo una data di scadenza alla vostra presenza qui. Questo è saggio. Solo quando uno rimane fermo può mettere radici. Questo è un punto cruciale. È un dato di fatto che nell’era dell’informazione troppi movimenti spuntano fuori come bellissimi fiori ma muoiono velocemente. È perché non hanno radici. E non hanno progetti a lungo termine su come sostenersi. Così quando arriva la tempesta vengono travolti.
Essere orizzontale e profondamente democratici è magnifico. Ma questi principi sono compatibili con il duro lavoro di creare strutture e istituzioni che siano abbastanza solide per resistere alla tempesta. Ho una grande fede che questo possa accadere.
C’è qualcos’altro che questo movimento sta facendo bene: avete abbracciato la non-violenza. Avete rifiutato di offrire ai media le immagini di finestre rotte e scontri di piazza che agognano disperatamente. E questa tremenda disciplina che questo ha comportato, molte volte ancora, che la storia da raccontare sia stata la disgraziata e non provocata brutalità poliziesca. Di cui abbiamo visto un altro esempio la notte scorsa. Nel frattempo, il sostegno a questo movimento continua a crescere. Altra saggezza.
Ma la differenza più grande a distanza di un decennio è che nel 1999 stavamo di fronte a un capitalismo al vertice di un frenetico boom economico. La disoccupazione era bassa, i portafogli delle azioni erano rigonfi. I media erano ubriachi di denaro facile. A quei tempi si parlava di nuove imprese, non di chiusure.
Avevamo avvertito che la deregulation dietro questa frenesia avrebbe avuto un costo. Che era dannosa per gli standard occupazionali. Che era dannosa per gli standard ambientali. Che le corporazioni stavano diventando più potenti dei governi e questo era dannoso per le nostre democrazie. Ma per essere onesta con voi, durante un’epoca favorevole affrontare un sistema economico basato sulla cupidigia era un’impresa dura, almeno nei Paesi ricchi.
Dieci annoi dopo sembra che di Paesi ricchi non ce ne siano più. Solo un sacco di gente ricca. Gente che è diventata ricca depredando le ricchezze pubbliche ed esaurendo le risorse naturali di tutto il mondo.
Il punto è che oggi tutti possono vedere che il sistema è profondamente ingiusto e che sta andando fuori controllo. La cupidigia illimitata ha fatto diventare spazzatura l’economia globale. E sta facendo diventare spazzatura anche il mondo della natura. Stiamo pescando oltre i limiti dei nostri oceani, inquinando l’acqua spaccando e perforando a grandi profondità, ricorrendo alle forme di energia più sporche del pianeta, come le sabbie bituminose dell’Alberta. E l’atmosfera non può assorbire la quantità di carbone che vi immettiamo, creando un pericoloso riscaldamento. La norma ormai sono i disastri seriali: economici ed ecologici.
Questi sono i fatti sul tappeto. Sono così clamorosi, così ovvi, che è molto più facile relazionarsi con l’opinione pubblica che nel 1999, e costruire rapidamente il movimento.
Tutti sappiamo, o almeno percepiamo, che il mondo è sottosopra: ci comportiamo come se non ci fosse fine a ciò che in realtà è finito -combustibili fossili e lo spazio atmosferico che assorbe le loro emissioni. E ci comportiamo come se ci fossero limiti ristretti e immutabili a ciò che in effetti è abbondante -le risorse finanziarie per costruire la società che vogliamo.
Il compito della nostra epoca è capovolgere tutto questo: sfidare questa falsa scarsità. Insistere sul fatto che possiamo permetterci di costruire una società decente, inclusiva- e allo stesso tempo rispettare i veri limiti di quello che la Terra può darci.
Il cambiamento climatico significa che abbiamo una scadenza per fare tutto questo. Questa volta il nostro movimento non può farsi distrarre, dividere, bruciare o essere spazzato via dagli eventi. Questa volta dobbiamo vincere. E non sto parlando di mettere regole alle banche o aumentare le tasse ai ricchi, anche se è importante.
Sto parlando di cambiare i valori fondamentali che governano la nostra società. Che è duro da sintetizzare in una singola richiesta che possa essere veicolata dai media, ed è duro anche immaginarsi come farlo. Ma il fatto che sia difficile non la rende meno urgente.
Questo è ciò che vedo succedere in questa piazzaq. Nel modo in cui date da mangiare a chi vi sta accanto, vi riscaldate l’un l’altro, vi scambiate informazioni liberamente e fornite assistenza sanitaria, corsi di meditazione e di formazione in empowerment. Il mio cartello preferito qui dice “I care about you.” In una cultura che abitua la gente ad evitare lo sguardo degli altri, come a dire, “Lascia che muoiano”, questa è una frase molto radicale.
Alcuni pensieri finali. In questa grande battaglia, queste sono alcune cose che non hanno importanza:
– Come ci vestiamo.
-Se agitiamo i pugni o facciamo segni di pace.
-Se possiamo esprimere i nostri sogni di un mondo migliore con un segnale audio.
E queste sono alcune cose che hanno importanza:
-Il nostro coraggio.
-Il nostro atteggiamento morale.
-Come ci comportiamo tra noi.
Abbiamo intrapreso una lotta contro le forze economiche e politiche più potenti del pianeta. Questa è una cosa che spaventa. E nella misura in cui questo movimento acquisterà sempre più forza, farà ancora più paura. Siate sempre consapevoli che ci sarà la tentazione di deviare su bersagli più facili -come ad esempio la persona che vi siede accanto in questo incontro. In fondo è una battaglia più facile da vincere.
Non cedete a questa tentazione. Non dico che non possiamo parlare delle nostre debolezze personali. Ma questa volta comportiamoci con gli altri come se stessimo progettando di lavorare fianco a fianco per molti, molti anni a venire. Perché il nostro compito non richiederà niente di meno.
Trattiamo questo bel movimento come se fosse la cosa più importante al mondo. Perché lo è. Lo è davvero.
Fonte http://www.informationclearinghouse.info/article29332.htm
Traduzione Andrea Grillo per Senza Soste
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