Napolitano salverà il Detenuto, se questi avrà pazienza
Mai infatti si era visto un presidente della Repubblica intervenire su un processo che è chiuso dal lato della “condanna dell’imputato”, ma ancora aperto quanto a pubblicazione delle motivazioni della Cassazione e determinazione del numero di anni di interdizione dai pubblici uffici (la Corte di Appello di Milano ne aveva inflitti cinque, mentre secondo il Procuratore generale potevano essere al massimo tre).
Già questo fatto rappresenta un’invasione di campo motivata unicamente non da articoli sui media (Napolitano a questi, ipocritamente, si riferisce) ma dalle pressioni partitiche congiunte: del Pdl che non vuole né può restare senza padre-padrone e del Pd terrorizzato dal doversi intestare in solitaria l’azione del governo Letta (dopo quella di Monti-Fornero), che nei prossimi mesi si annuncia particolarmente pesante sul piano sociale.
Andiamo ora all’analisi del testo.
13/08/2013
Dichiarazione del Presidente Napolitano
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
“La preoccupazione fondamentale, comune alla stragrande maggioranza degli italiani, è lo sviluppo di un’azione di governo che, con l’attivo e qualificato sostegno del Parlamento, guidi il paese sulla via di un deciso rilancio dell’economia e dell’occupazione. In questo senso hanno operato le Camere fino ai giorni scorsi, definendo importanti provvedimenti; ed essenziale è procedere con decisione lungo la strada intrapresa, anche sul terreno delle riforme istituzionali e della rapida ( nei suoi aspetti più urgenti ) revisione della legge elettorale. Solo così si può accrescere la fiducia nell’Italia e nella sua capacità di progresso.
Fatale sarebbe invece una crisi del governo faticosamente formatosi da poco più di 100 giorni; il ricadere del paese nell’instabilità e nell’incertezza ci impedirebbe di cogliere e consolidare le possibilità di ripresa economica finalmente delineatesi, peraltro in un contesto nazionale ed europeo tuttora critico e complesso.
Redazione. Il baricentro è la “stabilità di governo”, imposta dall’Unione europea, che si attende la pedissequa applicazione delle proprie direttive, congiuntamente alla pressione esercitata da Bce e Fondo monetario internazionale. Se questo è l’alfa e l’omega del disegno politico incarnato da Napolitano, ben più che da Letta il Giovane e la sua corte dei miracoli tenuta insieme con lo scotch, l’attività dell’esecutivo – le “riforme strutturali e la distruzione del welfare – non deve essere “turbata” da problemi inesistenti e incomprensibili in altri paesi. Come quello di un imprenditore piduista diventato quattro volte premier che, una volta condannato in via definitiva e in attesa di altre condanne ancora più pesanti, pretende di essere liberato dal peso di questa – per lui – “intollerabile restrizione” all’”agibilità politica”. Napolitano non promette di fare nulla, ma indica con chiarezza la strada che lo porterà a dare al Cavaliere Detenuto ciò che chiede, rispettando – ovvero forzando oltre i limiti già forzati oltre ogni limite – i confini costituzionali e giuridici.
Ho perciò apprezzato vivamente la riaffermazione – da parte di tutte le forze di maggioranza – del sostegno al governo Letta e al suo programma, al di là di polemiche politiche a volte sterili e dannose, e di divergenze specifiche peraltro superabili.
Non mi nascondo, naturalmente, i rischi che possono nascere dalle tensioni politiche insorte a seguito della sentenza definitiva di condanna pronunciata dalla Corte di Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi. Mi riferisco, in particolare, alla tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere.
Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto. Ciò vale dunque nel caso oggi al centro dell’attenzione pubblica come in ogni altro.
Red. Incassato il sostegno al governo, Napolitano inizia a tracciare il percorso che Berlusconi dovrebbe seguire per ottenere l’agognato “salvacondotto”. Il primo passo è necessariamente la “presa d’atto” – da parte del Condannato – della sentenza. È il riconoscimento minimo, puramente formale, del principio di diritto per cui la Giustizia è “terza” e la legge è uguale per tutti. Non fare nemmeno questo significherebbe certificare il carattere eversivo – la rottura del patto costituzionale dall’interno stesso del Potere – di qualiasi possibile futuro intervento presidenziale. Più o meno come dare la grazia – o altra commutazione della pena – a un “combattente contro lo Stato” che continui a giurare guerra eterna se rimesso in libertà.
In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio; ed è comprensibile che emergano – soprattutto nell’area del PdL – turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato ) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza.
Ma nell’esercizio della libertà di opinione e del diritto di critica, non deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza.
Né è accettabile che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche.
Red. Contrariamente a quanto ripetuto fino alla noia dai bigotti dell’antipolitica (“le sentenze non si commentano”), Napolitano riconosce al Cavaliere Detenuto e ai suoi pitoncini il diritto di dire peste e corna sia delle sentenze che dei giudici, che le hanno prodotte nei vari gradi di giudizio. L’unico limite che pone è la salvaguardia del “principio della divisione dei poteri”, ovvero quello continuamente bypassato da quanti – non solo a destra – sostengono esplicitamente che l’investitura elettorale dovrebbe porre “gli eletti” al di sopra della legge ordinaria, visto cheloro, le leggi, sono chiamati a farle. È una vecchia tentazione oligarchica, quella per cui “le leggi si applicano ai nemici, e si interpretano per gli amici” (citiamo il Giolitti di inizio Novecento per indicarne il “grado di modernità”). Rammentare questo limite è davvero il “minimo sindacale” per un presidente della Repubblica che dovrebbe essere – ma non è mai stato – il ”custode della Costituzione”. L’unica vera preoccupazione di Napolitano, l’unica cosa per lui inaccettabile, è infatti che “vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche”; ridotte a governo e, per necessità “oggettiva”, e Parlamento. Insomma: niente crisi di governo e niente scioglimento immediato delle Camere. Stabilito questo, potete dire e fare quel che volete… Nemmeno Hindemburg avrebbe saputo far meglio.
Intervengo oggi – benché ancora manchino alcuni adempimenti conseguenti alla decisione della Cassazione – in quanto sono stato, da parecchi giorni, chiamato in causa, come Presidente della Repubblica, e in modo spesso pressante e animoso, per risposte o “soluzioni” che dovrei e potrei dare a garanzia di un normale svolgimento, nel prossimo futuro, della dialettica democratica e della competizione politica.
Red. Il tasso di ipocrisia di questo passaggio è davvero inarrivabile. In pratica Napolitano dice di sapere benissimo che il suo intervento in questo momento è altamente irrituale o peggio, ma dichiara di esservi stato “costretto” da quanti lo hanno “chiamato in causa”. Un presidente vero avrebbe mosso tutte le pedine a sua disposizione, con discrezione e determinazione assoluta, per stoppare sul nascere queste “chiamate”; non vi si sarebbe subordinato. Punto.
A proposito della sentenza passata in giudicato, va innanzi tutto ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto.
In quanto ad attese alimentate nei miei confronti, va chiarito che nessuna domanda mi è stata indirizzata cui dovessi dare risposta.
Red. Ovvietà sul carcere (il Detenuto ha più di 70 anni, quindi non ci andrebbe nemmeno se fosse un ladro di polli qualsiasi), e un’indicazione precisa sulle “alternative che possono essere modulate” sulla situazione individuale del condannato. In pratica: il Cavaliere potrà chiedere di muoversi con tutto agio sul territorio nazionale; se il Tribunale di sorveglianza di Milano gli riconoscerà la possibilità di viaggiare o andare in tv per impegni legati alla sua “professione” (imprenditore, politico, comunicatore, ecc) tutto andrà a posto immediatamente dopo l’inizio del periodo di “detenzione domiciliare”. Quanto alla “grazia”, che diamine!, il Detenuto ancora non l’ha chiesta (né può ancora farlo, visto che non ha neppure iniziato a scontare la pena).
L’articolo 681 del Codice di Procedura Penale, volto a regolare i provvedimenti di clemenza che ai sensi della Costituzione il Presidente della Repubblica può concedere, indica le modalità di presentazione della relativa domanda. La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal Presidente della Repubblica anche in assenza di domanda. Ma nell’esercizio di quel potere, di cui la Corte costituzionale con sentenza del 2006 gli ha confermato l’esclusiva titolarità, il Capo dello Stato non può prescindere da specifiche norme di legge, né dalla giurisprudenza e dalle consuetudini costituzionali nonché dalla prassi seguita in precedenza. E negli ultimi anni, nel considerare, accogliere o lasciar cadere sollecitazioni per provvedimenti di grazia, si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda quale prevista dal già citato articolo del C.p.p.. Ad ogni domanda in tal senso, tocca al Presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso – sulla base dell’istruttoria condotta dal Ministro della Giustizia – per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.
Red. Per la precisione: “guarda, Silvio, che io la grazia posso dartela comunque, o trasformarti la condanna in una multa; ma ci sono passaggi tecnico-giuridici che sono appena agli inizi. In ogni caso, l’intervento presidenziale agisce – per legge – solo sulla pena principale (la detenzione), non su quelle accessorie (l’interdizione dai pubblici uffici; un problema grave, in effetti, per chi pretenda di continuare a condizionare la politica di un paese). Comunque, calma e gesso, stiamo lavorando per te….”
Essenziale è che si possa procedere in un clima di comune consapevolezza degli imperativi della giustizia e delle esigenze complessive del Paese.
Red. Traduzione rapida: naturalmente deve essere d’accordo anche il Pd (i montiani sono già d’accordo prima ancora che venga loro fatta la domanda). E magari anche i giornali d’area (a cominciare da Repubblica). Altrimenti nel fare quello che voglio fare (restituire l’”agibilità politica” al Cavaliere) faccio la figura che non voglio fare…
E mentre toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa l’ulteriore svolgimento – nei modi che risulteranno legittimamente possibili – della funzione di guida finora a lui attribuita, preminente per tutti dovrà essere la considerazione della prospettiva di cui l’Italia ha bisogno. Una prospettiva di serenità e di coesione, per poter affrontare problemi di fondo dello Stato e della società, compresi quelli di riforma della giustizia da tempo all’ordine del giorno. Tutte le forze politiche dovrebbero concorrere allo sviluppo di una competizione per l’alternanza nella guida del paese che superi le distorsioni da tempo riconosciute di uno scontro distruttivo, e faciliti quell’ascolto reciproco e quelle possibilità di convergenza che l’interesse generale del paese richiede.
Red. Repetita juvant: se il Pdl si trovasse un altro capo, sarebbe tutto più semplice. Anche fare la “riforma della giustizia”. Tanto quello che conta è fare quel che ci ordina la Troika sul piano economico e sociale, a chi volete che importi dell’equilibrio dei poteri?
Ogni gesto di rispetto dei doveri da osservare in uno Stato di diritto, ogni realistica presa d’atto di esigenze più che mature di distensione e di rinnovamento nei rapporti politici, sarà importante per superare l’attuale difficile momento”.
Red. Insomma: fate stare in piedi il governo, sappiate pazientare qualche mese (pochi) e vi risolverò il problema. Altrimenti non si può fare niente (senza governo e senza Parlamento). Se questoè un difensore della Costituzione nata dalla Resistenza…
da Contropiano
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