New Gel cronaca di una lotta operaia
Di Emilio Quadrelli
Lo scontro di classe ha già da un pezzo superato la soglia oltre la quale non risulta più componibile attraverso vie pacifiche. La guerra civile è la porta stretta attraverso la quale dovrà passare chiunque intenda sbloccare questa situazione. (Senza tregua. Giornale degli operai comunisti, novembre 1976)
La lotta
Il tutto ha inizio il 3 luglio quando il padrone della New Gel schiaffeggia un dipendente perché, insieme a altri, si è iscritto al Si.cobas dando vita a una serie di richieste in merito a salario, orario e condizioni di lavoro. La New Gel, sino a quel momento, era un vero e proprio feudo della Filt Cisl in quanto il padrone ne obbligava i dipendenti all’iscrizione coatta. Grazie a ciò, in piena legalità, il padrone aveva potuto sottoscrivere con il sindacato amico un contratto separato che permetteva all’azienda un uso a dir poco dadaista della “propria” forza lavoro. Con ciò il padrone ribadiva un concetto molto chiaro: la forza lavoro è mia, la uso come e quanto mi pare oltre a pagarla un po’ come viene ovvero forfetizzando il monte ore degli straordinari obbligati. Il che comportava una settimana lavorativa non inferiore alle 52 ore. Ciò che si evidenzia immediatamente è l’intersecarsi in maniera indissolubile di interessi economici a esigenze di comando. La lotta ha ben poco di economico ma è immediatamente politica. A materializzarsi è uno scontro di potere.
La reazione dei lavoratori è immediata. Sciopero, picchetto e blocco dei cancelli. La lunga estate calda della New Gel ha inizio. Di fronte a questa reazione, fino a quel momento del tutto inimmaginabile, l’azienda prende tempo. Luglio e gran parte di Agosto sono mesi di grande attività, non è consigliabile andare allo scontro. Il Sicobas viene in qualche modo se non riconosciuto accettato. Si delinea una situazione di “pace armata”. La tregua è rotta dall’azienda subito dopo Ferragosto dando vita ai primi licenziamenti. Anche in questo caso la reazione non si fa attendere. La notte del 29 agosto i picchetti bloccano nuovamente i cancelli della New Gel. Questa giornata rappresenta un vero e proprio salto di qualità della lotta. Davanti ai cancelli confluiscono lavoratori di altri siti produttivi e un cospicuo numero di militanti. Ma se la lotta ha una corposa accelerazione da parte operaia, il padrone non sta a guardare. Alle prime ore dell’alba un crumiro, approfittando di un momentaneo rilassamento del picchetto, si accorge di avere sufficiente spazio per lanciarsi con l’automobile contro il picchetto. Parte a razzo investendo, fortunatamente senza grosse conseguenze, un operaio. La violenza padronale inizia a mettersi in mostra. A questa violenza extra legale si aggiunge quella legittima di parte statuale. 19 operai e militanti saranno denunciati dalla Digos in applicazione del Decreto sicurezza. Su ciò le anime belle della sinistra non avranno nulla da dire. Il padrone, invece, rilancia. Una alla volta gli iscritti Si.cobas vengono fatti fuori. Le parole del padrone non lasciano dubbi al proposito: “Il Si.cobas deve uscire dalla mia azienda perché qui comando io”. In contemporanea sollecita, cosa che avverrà puntualmente, l’intervento della Filt Cisl al fine di attaccare anche da parte sindacale l’azione del Si.cobas.
Nel frattempo, però, la lotta cresce e le vicende della New Gel iniziano a focalizzare il dibattito pubblico cittadino. Sulla scia di ciò il 9 settembre viene convocata un’assemblea cittadina presso il CAP, storico presidio dei lavoratori portuali. L’assemblea ha risultati decisamente insperati. Intorno a questa lotta si coagula un corpo proletario e militante estraneo ed esterno alle reiterate liturgie proprie degli stucchevoli “parlamentini dell’estrema sinistra”. Si delinea, dentro una pratica di lotta, un percorso unitario che non ha nulla a che fare con le consuete “fusioni a freddo” continuamente tentate, e permanentemente fallimentari, alle quali la residualità comunista ci ha abituati. Centrale dentro l’assemblea è la lotta autonoma operaia. L’assemblea chiude con un LA LOTTA CONTINUA che fa riecheggiare nella sala gli echi mai sopiti di altre battaglie operaie. I presupposti per una lotta vittoriosa sembrano esservi tutti.
Una qualche conferma di ciò la si ha pochi giorni dopo, il 13 settembre, quando sulla scia delle decisioni prese in assemblea viene organizzato un presidio militante sotto la sede della Filt Cisl responsabile del contratto separato e neoschiavista della New Gel. Il presidio è tanto numeroso quanto combattivo. I dirigenti della Filt Cisl possono uscire, sotto una selva di fischi e insulti, solo grazie a una generosa scorta della Digos. La partecipazione è ampia, un centinaio di persone, la lotta New Gel diventa sempre più una questione cittadina.
Il 19 settembre un nuovo sciopero e blocco dei cancelli riesce completamente. La solidarietà militante nei confronti degli operai continua ad allargarsi. Anche in questa occasione blocco e picchetto riescono perfettamente. La presenza militante davanti ai cancelli è quanto mai consistente e combattiva. Di fronte a ciò la New Gel sembra tergiversare. Inizia così una estenuante contrattazione per mano di Trasporto Unito che prova, o almeno così sembra essere, a smussare la situazione di aperta conflittualità. In contemporanea, però, le forze di polizia presidiano costantemente i cancelli dell’azienda. La trattativa si prolunga senza che però, a conti fatti, le posizioni dell’azienda si modifichino più di tanto mentre, e con ogni probabilità qui sta l’errore commesso da noi tutti, non si danno indicazioni su come proseguire la lotta e incalzare, con ogni mezzo necessario, la politica aziendale. In altre parole si finisce con l’adagiarsi sulla vertenza. Da parte sua, invece, il padrone non ha dubbi e incalza. Il Si.cobas deve uscire dall’azienda, su questo aspetto non vi sono margini di contrattazione. Ciò che l’azienda offre è una buona uscita per i lavoratori licenziati e, questo è quanto mette sul tavolo della trattativa Trasporto Unito, la ricollocazione con contratto a tempo determinato dei licenziati New Gel in aziende similari. La stessa richiesta del ritiro delle denunce dall’azienda non viene neppure presa in considerazione. Si arriva così alla nuova assemblea cittadina del primo ottobre. Questa assemblea, a differenza della precedente, ha però le ali smorzate. A fronte della determinazione e dell’entusiasmo della precedente il clima è decisamente sottomesso. Tra i partecipanti inizia a aleggiare il senso della sconfitta. Vi saranno ancora iniziative, un presidio e un’audizione in Comune dei lavoratori ma la lotta si è spenta. Qualcosa è mancato. L’azienda ha fatto fuori il Si.cobas ed era esattamente ciò a cui mirava. Come vedremo brevemente di seguito qualcosa, anche di importante, questa lotta ha sedimentato ciò non toglie che alla fine sia stata una sconfitta. Sconfitta che, come si proverà a argomentare in seguito, non è stata il frutto di un incidente di percorso ma di una mancanza nostra nel non aver saputo “leggere” con precisione cosa, e non solo limitatamente alla lotta New Gel, stava iniziando a prendere forma. Non abbiamo compreso cioè il passaggio politico che fa da sfondo al Decreto sicurezza uno e due. Questo e non altro è alla base di questa sconfitta.
La solidarietà
In città gli eventi New Gel assumono un’importanza e un ruolo inaspettato. La lotta di una modesta azienda, oltre a riempire le pagine della stampa locale, diventa un importante elemento di dibattito di numerose aree politiche e sociali solitamente distanti dalla realtà operaia e dalle sue lotte, sino a spingere pezzi dei 5stelle a portare la “questione New Gel” in Consiglio comunale. La simpatia sino all’aperto sostegno della lotta New Gel si allarga in maniera sinceramente inaspettata quasi che, la città, fosse in attesa di qualcosa che la rivitalizzasse e la lotta New Gel ha, tra l’altro, assolto a questo compito. Si è visto infatti come pezzi non secondari della città abbiano iniziato a schierarsi fattivamente intorno a questa lotta. Dai circoli Arci, ai Centri sociali, passando per le bocciofile o aggregazioni similari di quartiere si è assistito alla messa in opera di una solidarietà che ha prefigurato una cooperazione operaia e proletaria la cui potenzialità, con ogni probabilità, non si è stati in grado di cogliere appieno. Al proposito è sufficiente ricordare il cospicuo numero di iniziative di finanziamento a favore della “Cassa di resistenza per gli operai New Gel” organizzate sul territorio cittadino in questi mesi da aree e ambiti solitamente distanti dal cosiddetto circuito militante. Iniziative che sono sempre state accompagnate, su specifica richiesta degli organizzatori, da un esposizione e un dibattito di quanto andato in scena.
Paradossalmente si potrebbe sostenere che è sembrata la città a avere più bisogno della lotta New Gel piuttosto che gli operai della solidarietà cittadina. Nelle tenebre della città è apparso un raggio di sole e la città lo ha benedetto. Diciamolo però chiaramente: questo entusiasmo, questa potenzialità è stata raccolta solo in parte. Non si è stati capaci di trasformare ciò che stava in potenza in forza materiale, di dare uno sbocco politico organizzativo a una richiesta di massa. Proprio a partire da ciò prendono le mosse le riflessioni e le argomentazioni del paragrafo successivo.
Un passo avanti o due indietro?
Giunti a questo punto pare necessario provare a tirare un primo bilancio di quanto andato in scena. Prendiamo atto, per prima cosa, del comportamento padronale. A un primo sguardo potrebbe sembrare che la “linea di condotta” della New Gel affondi le proprie radici in un capitalismo di stampo Ottocentesco e del tutto fuori dal tempo. La dimensione di azienda famigliare porterebbe, erroneamente, a far pensare che la relazione tra la modesta attività della New Gel e il comando capitalistico sia a dir poco casuale e del tutto contingente. A uno sguardo un poco più attento, invece, ciò che il “modello New Gel” evidenzia ha veramente ben poco di naif e/o folcloristico ma rappresenta la linea di condotta mainstream posta in atto, nel suo insieme, dal comando d’impresa nel presente. In sostanza questo comportamento cosa racconta? In primis la completa subordinazione che il lavoratore deve mostrare nei confronti del padrone e, al proposito, le vicende Amazon sono più che esplicative e Amazon non è certo un modello aziendale di tipo ottocentesco, bensì la punta di diamante dell’attuale organizzazione capitalista del lavoro. In seconda battuta, diretta conseguenza della prima, il non riconoscimento di alcuna dimensione politica, sociale e sindacale degli operai.
Qua si profila una dimensione lavorativa a tutti gli effetti semi coatta dove, la condizione operaia attuale sembra reincarnare, senza neppure le classiche tare del caso, quella dei proletari confinati all’interno delle Workhouse della “gloriosa epopea” della cosiddetta accumulazione originaria. Nel momento in cui vengono catturati dall’infausta gabbia del lavoro salariato, questi diventano in tutto e per tutto proprietà del padrone. Una condizione che si consuma tanto nel caso dell’azienda a conduzione familiare New Gel, quanto nella multinazionale Amazon. Pertanto, che a gestire l’azienda sia un padroncino o un anonimo Consiglio di amministrazione il succo non cambia: l’operaio, in quanto elemento unico ed essenziale del processo di valorizzazione delle merci, diventa proprietà e appendice esclusiva del comando capitalista senza alcuna volontà e soggettività. La sua esistenza non può che essere, in maniera assoluta, puro capitale variabile la cui proprietà, al pari del capitale costante, appartiene per intero al comando. Se, per molti versi, il Novecento è stato il secolo in cui il lavoro salariato ha trovato diritto di cittadinanza dentro le società borghesi, basti pensare a quella “costituzione del sociale” tenuta a battesimo dalla Repubblica di Weimar, oggi di tutta quella epopea non vi è traccia. L’operaio, in una sorta di “ritorno alle origini”, torna a essere massa informe estranea ed esterna a qualunque forma di rappresentanza. Se servus non habet personam, a maggior ragione non può avere dimensione politica. Questo è ciò che ci raccontano gli eventi della New Gel.
Si potrà obiettare che, detta cornice analitica, in realtà, è frutto di una interessata forzatura teorica poiché, gli operai New Gel, una rappresentanza politica sindacale la potevano vantare. Come si è detto in precedenza, il padrone New Gel, si era premurato infatti di far iscrivere i “propri operai” alla Filt Cisl con la quale aveva, da tempo, stipulato uno dei tanti sotto contratti attraverso i quali i padroni possono, in tutta legalità giuridica, pretendere qualsiasi tipo di prestazione dalla “propria” forza lavoro. Qua si evidenzia un non secondario passaggio del ruolo assunto dai sindacati confederali i quali, ciò che vale per la Cisl vale tanto quanto per la CGIL e la UIL, sono diventati a tutti gli effetti parte integrativa, complementare ed estremamente attiva del comando.
Siamo ben oltre, infatti, al collaborazionismo dell’epopea riformista prima e concertativa dopo poiché oggi, a tutti gli effetti, i sindacati confederali sono diventate strutture integrate del comando. I sindacati non sono più coloro i quali smorzano le lotte, svendono la forza operaia o firmano contratti bidone. I sindacati non sono più i mediatori del conflitto ovvero coloro i quali, in cambio di un piatto di lenticchie, svendono il potere operaio o che, attaccando con ogni mezzo l’autonomia operaia sino a arrivare alla delazione vera e propria, collaborano con il comando per riportare la pace sociale dentro i luoghi di lavoro. I sindacati oggi sono elementi fattivi del dominio capitalista. Non ci sono i padroni e poi i sindacati ma padroni e sindacati fanno parte, in maniera organica, del medesimo fronte di classe. Non più supporto al comando ma articolazione del comando tout court. Infatti, nel momento in cui un gruppo di operai ha deciso di organizzarsi autonomamente nel Si.cobas sono iniziati, sotto la spinta non secondaria della Filt Cisl, i licenziamenti. Una pratica che, per altro verso, non è posta in atto solo e unicamente da un “padroncino” con eccessive ambizioni e smanie di protagonismo ma che, come dimostrano tutta una serie di situazioni, non ultima la CLO (e quindi la COOP) di Tortona, si è fatta linea di condotta strategica dell’intero fronte padronale e dove il ruolo della Cisl è stato immediatamente fatto proprio dalla CGIL. Ecco che, allora, da un episodio in apparenza “sindacale” si possono trarre indicazioni che vanno ben al di là dell’episodio in sé. Esattamente da qui occorre partire per comprendere ciò che sta bollendo in pentola e si tratta di farlo assumendo per intero la “concretezza” dei passaggi politici i quali, qui e ora, danno il la alla fase politica attuale.
Certo tutto questo è del tutto in linea con ciò che il modello capitalistico ha mandato a regime ormai da tempo, ma sarebbe ingenuo archiviarlo come la semplice e lineare continuità di un meccanismo che procede semplicemente per inerzia. Oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso, a una accelerazione non secondaria di una volontà di annichilimento da parte del comando capitalista di tutto ciò che fa prefigurare, e non solo in fieri ma dentro la materialità delle lotte, il delinearsi di una pratica di autonomia operaia e una richiesta di potere operaio che il comando capitalista non solo non è disposto a accettare ma nemmeno può permettersi che prenda minimamente campo. La crisi permanente in cui versa il sistema capitalista lo rende, di fatto, fragile e del tutto privo di prospettive certe. Il governo assoluto e dispotico sulla classe operaia diventa condizione essenziale e irrinunciabile per il proseguo del suo dominio. Mai come ora la presenza e lo sviluppo dell’autonomia operaia rappresentano un pericolo mortale per gli assetti capitalisti. Detto ciò, torniamo al nostro ragionamento.
Perché il Si.cobas deve essere stroncato e buttato fuori da tutti i luoghi di lavoro in cui è presente? Perché tanto accanimento da parte dei padroni, dei sindacati confederali ma, da qualche tempo a questa parte, anche in maniera fattiva dagli apparati statuali contro queste lotte operaie? Che cosa c’è nell’esperienza e nella pratica del Si.cobas di così inquietante per stato e padroni? Qual è, a conti fatti, la posta in palio di questa partita che sembra aver varcato la soglia del non ritorno. Le richieste “sindacali” del Si.cobas sono forse eccessive? Oppure ciò che non può essere accettata è la “linea di condotta” del Si.cobas la quale, a conti fatti, ha ben poco di sindacale poiché, proprio quella prassi, assume immediatamente una valenza politica intollerabile per il comando capitalista. Esattamente qua sta il nocciolo della questione. Il che obbliga a una serie di considerazioni sul significato delle lotte, sulla pratica di queste e ciò che lasciano immediatamente sottendere.
Sia chiaro, qua non si tratta di fare gli interessi di bottega di una particolare sigla sindacale o di sponsorizzarne una sua ipotetica campagna di tesseramento bensì di cogliere la potenzialità di questa pratica e ciò che riesce a prefigurare. Con tutte le tare del caso è infatti possibile asserire che, oggi, la prassi e la struttura del Si.cobas è quanto di più similare a Senza tregua, una delle più significative esperienze poste in atto, negli anni Settanta, dall’area della Autonomia operaia. Un’esperienza che, senza mezze misure, aveva posto all’ordine del giorno l’esercizio del potere operaio e della disarticolazione del comando capitalistico. Ciò rende intollerabile l’esistenza del Si.cobas.
Assonanze storiche a parte quello che interessa evidenziare è la dimensione immediatamente politica che queste lotte, e il modo in cui vengono condotte, oggettivamente incarnano. Ciò che, sulla base del loro istinto di classe, i padroni hanno immediatamente compreso è come in ballo non vi sia un altro contratto leggermente più favorevole ai lavoratori, bensì una ridefinizione dei rapporti di forza dentro le aziende, i magazzini, le fabbriche e le campagne. In altre parole una questione di potere e i padroni non si fanno alcuna remora a dichiararlo apertamente. Ciò che abitualmente gli operai del Si.cobas si sentono ripetere è: “Dobbiamo buttarvi fuori, altrimenti tutti si iscrivono al Si.cobas e allora non comandiamo più noi ma voi”. Questo è quanto abbiamo sentito ripetere, sino alla noia, davanti ai cancelli. Di queste lotte il padrone ha paura perché sa che di fronte non ha un “nuovo sindacato”, non ha un’organizzazione in competizione con altre sigle sindacali che sgomita per avere un posto al sole nella contrattazione della schiavitù salariale ma un’auto organizzazione operaia la quale, nel suo dna, ha inciso una pratica di contropotere finalizzato alla messa in forma di un dualismo di potere che mina alle basi l’esistenza stessa del comando. L’annichilimento di questa forza operaia è il progetto strategico messo in atto, nel contesto, dal comando capitalistico. Questo il passaggio non secondario, come evidenziato in precedenza, all’interno del quale siamo immessi. Il pressante interventismo statuale, giuridico e poliziesco, ne rappresenta qualcosa di più di una semplice esemplificazione.
Con il Decreto sicurezza uno e due lo stato ha messo a punto una strumentazione giuridica finalizzata a legittimare la guerra di classe che il comando capitalistico ha dichiarato contro le lotte operaie e sociali. Ciò, ed è un passaggio decisivo, comporta la diretta scesa in campo della macchina statuale contro la pratica antagonista delle masse subalterne. Con l’impiego massiccio e non più mediato delle forze dell’ordine contro le lotte operaie si assiste a un attacco militare alle strutture autonome operaie coadiuvate in ciò dall’organizzazione di squadre armate di crumiri in funzione anti sciopero e anti picchetto. Infine, ma non per ultimo, funzionari, burocrati sindacali ma anche quote di “destra operaia” cooperano attivamente nella messa in forma di un fronte di classe apertamente declinato sulle istanze ed esigenze del comando. Tutto ciò mostra come l’innalzamento del livello di scontro conduca, giorno dopo giorno, entro la porta stretta della “guerra civile”. Contro le lotte autonome tutte le forze della borghesia stanno facendo quadrato e si preparano all’attacco. Tutto ciò non può essere eluso.
Lo scenario sino a ora descritto obbliga a mettere nero su bianco alcune ipotesi politiche e organizzative. Cominciamo con il dire intanto che, contro tutte le retoriche della sconfitta e della coeva depressione che si porta appresso, la sconfitta operaia non c’è. Così come, per altro verso, possiamo dire che intorno alle lotte operaie si va materializzando un corpo militante e sodale che con queste lotte e pratiche si va dialettizzando sempre più. Esiste, in potenza, una forza proletaria formatasi dentro la pratica del picchetto operaio che necessita di una forma politica e organizzativa che non può essere racchiusa e compresa nel semplice allargamento quantitativo di ciò che esiste così come, se siamo di fronte a un salto di qualità da parte delle strutture del comando, non possiamo pensare di contrapporsi a ciò rimanendo fermi. O si compie un passo in avanti o, per forza di cose, si sarà costretti a farne almeno due indietro. In altre parole o si inizia a comprendere come la formazione dell’autodifesa operaia e dell’articolazione delle lotte su diversi piani sia il qui e ora dello scontro di classe, oppure non si potrà far altro che essere battuti prima, estirpati dopo. Non si può pensare di giocare da soli. Di fronte ai ritmi e al pressing imposto dal comando capitalistico non si può far finta di nulla così come sarebbe altrettanto folle pensare di andare, esattamente come vorrebbero i padroni, a uno scontro frontale. Le modalità della strategia operaia sono il cuore del dibattito politico del presente. Da questa porta stretta è impossibile svicolare.
Molti, e in apparenza con ragione, potrebbero sostenere che i tempi non sono maturi e che i livelli di coscienza medi della classe non sono poi così elevati. Reiterando le retoriche proprie del mostro sacro dell’unità di classe molti vedranno nella richiesta di questo passaggio una forzatura prona all’avventurismo. Ma quali sono i presupposti di questo ragionamento? Qual è il paradigma assunto per sostenere questa tesi? Il punto medio della coscienza di classe. Ma, nella storia, è stato veramente questo l’elemento che ha determinato i salti politici e le coeve svolte storiche? È veramente questo il dato imprescindibile al quale deve attenersi la strategia operaia. Gli eventi storici, e non da oggi, raccontano qualcosa di assai diverso. Senza scomodare Lenin, che al proposito ha scritto e detto cose assai diverse, possiamo limitarci alla sola osservazione empirica per confutare questa tesi vero fiore all’occhiello di tutti gli immobilisti, codisti e opportunisti. Basti pensare a un evento, l’autunno caldo operaio del ’69 del quale tutti si sciacquano impropriamente la bocca, per comprendere come non sia mai il punto medio bensì il punto più avanzato del conflitto a dare il la a ogni processo politico.
Nel ’69 una quota consistente di operai FIAT, contro tutto e contro tutti, decise una forzatura. Quella decisione trasformò le sorti di questo Paese e aprì all’assalto al cielo degli anni Settanta. Quegli operai erano forse il punto medio della coscienza di classe o, ancora, erano la maggioranza della classe e, per finire, la loro linea di condotta era subordinata al mostro sacro dell’unità di classe o, al contrario, con quel comportamento rompevano proprio l’immobilismo a cui il mostro sacro dell’unità di classe confinava le spinte autonome e radicali degli operai? La risposta la conoscono ampiamente tutti e non sembra il caso di soffermarvisi. Non è certo tenendo a mente il punto di vista della “destra operaia” o dell’operaio qualunquista che diventa possibile costruire organizzazione e progettualità politica operaia. Del resto se, come è noto, è dall’uomo che si ricava la scimmia è esattamente dai comportamenti avanzati operai che occorre partire. Cogliere questa esigenza strategica della classe diventa, pertanto, il qui e ora della pratica comunista. La necessità di un salto politico organizzativo è il terreno sul quale, nell’immediato futuro, sono chiamate a confrontarsi tutte le avanguardie di classe. Per concludere: ricominciare da capo non significa tornare indietro bensì fornirsi di tutta la strumentazione politica – organizzativa che la guerra di classe comporta. Adesso!
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