Perché pensiamo ai marò
Si apre oggi, infatti, ad Amburgo, la prima udienza del Tribunale del mare (Itlos) che dovrà stabilire esaminando le posizioni di India e Italia, quale paese ha la giurisdizione per imbastire il processo a carico dei due fucilieri di marina che il quindici febbraio 2012 freddarono con alcune sventagliate di mitra Celestine Valentine e Ajesh Binki. Due persone la cui colpa è stata quella di fare i pescatori al largo delle coste dello stato indiano del Kerala, sulle rotte delle grandi petroliere. Scambiati per pirati in cerca di un pieno per il loro motoscafo sono stati crivellati di colpi senza pietà.
La vicenda è ormai nota al pubblico italiano, se non altro per il pietoso utilizzo politico che la destra, capitanata dal quotidiano “Il giornale” ha messo in campo fin dai giorni immediatamente successivi alla tragedia. Molto è stato fatto per smontare una ad una le calunnie e le “bombe al panzanio” imbastite dai media nostrani in esplicito appoggio ad organizzazioni neofasciste come Casa Pound e Fratelli d’Italia, come si può vedere, ad esempio, qui, qui e qui. Fatto sta che i due marò sono stati subito trattenuti in India in quanto la petroliera su cui viaggiavano, dopo gli omicidi, si è subito diretta in un porto indiano. Decisione presa dal capitano in contrasto ad un ordine della Marina militare italiana che, senza nessuna autorità – trattandosi di una imbarcazione civile privata – aveva intimato di proseguire la rotta.
Da quel momento la diplomazia italiana si è barcamenata tra tentazioni colonialiste e incompetenza, arrivando ad accordarsi con l’India per il rimpatrio dei due fucilieri nel periodo di una scadenza elettorale, salvo poi trattenerli in Italia, mandando su tutte le furie – giustamente – la controparte indiana. Le famiglie dei pescatori uccisi sono state comprate a suon di rupie, ottenendo il ritiro della denuncia, e pure la chiesa ha fatto la sua parte usando alcuni preti del clero locale che però, sapientemente, dopo i primi ridicoli passi, si sono fatti da parte rimandando il martirio (quantomeno mediatico) per ben altri offici.
Nonostante questo i due marò non hanno mai passato un giorno dietro le sbarre alloggiando sempre in residence e hotel, certamente sorvegliati, ma tra un tuffo in piscina e un piatto di tagliatelle cucinato secondo un menù predisposto dal Ministero degli esteri italiano. Inoltre un marò è stato colpito da ischemia celebrale e da settembre 2014 si trova, dietro concessione indiana, in Italia per potersi curare “tra l’affetto dei suoi cari”. Dopotutto la partita diplomatica l’Italia l’ha già persa bruciando ogni possibilità di accordo, turbando complessivamente tutte le relazioni commerciali, culturali e geopolitiche con la nuova potenza indiana. Testardamente si è infilata nel vicolo cieco dell’accettazione del verdetto del Tribunale di Amburgo, che a questo punto stabilirà un precedente importante nel diritto marittimo internazionale.
Giungiamo quindi all’ultimo patetico atto di questa vicenda che, ci preme sottolineare, in India non ha mai fatto notizia. Il governo Renzi prosegue con la retorica patriottarda, di cui oggi ad Amburgo abbiamo avuto un altro pietoso esempio. La strategia è trita e ritrita e tenta la carta dell’identificazione emotiva nazional-popolare con i due sciagurati marò, eretti a simbolo di un’Italia che si da fare nel mondo e che lotta per la giustizia e la libertà (dell’Occidente of course). Un’Italia che riparte, giovane e pimpante. Un’Italia che scaccia la crisi con il sorriso del suo premier.
Tuttavia nonostante media piacenti e gli strilli della destra sembra che l’opinione media degli uomini e delle donne in Italia si discosti dalle fanfare ufficiali. Accanto ad una posizione “no border” maggioritaria che ricalca il sentito dell’opinione pubblica indiana (e cioè il più totale menefreghismo), assistiamo ad una massiva, insolita e benemerita attività mediale sui social network, finanche alle chiacchiere da bar – come chi si muove nella realtà può autonomamente verificare – che sta letteralmente ridicolizzando l’intera vicenda. A essere derisi sono soprattutto i finti sacrifici che i due fucilieri di marina starebbero sopportando nella loro disumana detenzione. Ciò dovrebbe imporci di “pensarli” quotidianamente mentre stiamo all’opra china sul fronte del lavoro, intenti nel comune sforzo della ricostruzione nazionale guidata da Renzi.
Ma come mai l’identificazione popolare con due membri della marina militare (“eccellenza nazionale” nel nuovo linguaggio smart) sembra incepparsi? Il mero dato ortografico può costituire una parte della risposta, nel senso che il vocabolo “marò” con la sua vocale accentata ispira simpatia e sfottò se accostata alla ben nota immagine genitale. Ma c’è di più, si scorge anche una certa benevolenza, come quella che si rivolge alle marachelle di un bambino, in contrasto quindi con l’immagine virile trasmessa dalle forze armate. Un bambino che strilla e si percuote di fronte alla repressione inaudita di un pomeriggio in castigo, che a tutti riaccende i più intrinsechi sentimenti parentali, dallo sberleffo alla battuta fino alla bonaria comprensione. In totale contrasto con lo spirito bellico di cui si prova ad ammantare la vicenda.
Ciò basterebbe a coprirli di ridicolo, ma vogliamo anche scorgerci una seconda ragione, se vogliamo più legata alle condizioni sociali del nostro paese. I due marò non sono “gente del popolo”. Essere militari che, per arrotondare il già lauto stipendio, diventano contractor strapagati su una petroliera privata nell’Oceano Indiano, non è “da tutti”. Di fronte ad un peschereccio in avvicinamento in Italia si tende ad apparecchiare la tavola, non a sparare una raffica di mitra. Di fronte ai sacrifici che la crisi e le politiche di austerità stanno imponendo alle classi popolari del nostro paese, la posizione dei marò sembra quasi una posizione di privilegio. Non si capisce perché due persone accusate di omicidio debbano avere siffatti favori. Sono lontani da “noi” perché l’artefatto mediale con cui il potere ha costruito la loro immagine sociale non ha trovato corrispondenze nelle condizioni concrete e nelle aspettative della popolazione.
L’immagine che riecheggiano è sostanzialmente quella di una “casta” privilegiata fatta di ambasciatori, generali, armatori e ministri che vivono in un’altra società in cui le regole cui siamo sottoposti non valgono e che giocano una partita tutta “loro”. Nell’epoca dei memorandum della troika il fatto che la grandezza nazionale corrisponda ad un miglioramento delle condizioni di vita non è neanche preso in considerazione. Ci sono cose più importanti. Per questo forse decine di migliaia di persone vorrebbero vedere i due marò alla riapertura del CocoMarò il 5 dicembre (come da evento fb), oppure sull’etichetta della Pum(marò)la, o ancora sulla confezione di un VentiLatorre e così via. Per ricordargli che i nostri problemi e le nostre preoccupazioni sono più o meno le stesse che – ne siamo certi – provavano quei due disgraziati pescatori indiani quando hanno preso il mare quel maledetto 15 febbraio 2012.
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