India, Israele e il progetto di “greenwashing” che prende forma in Kashmir
Attivisti e studiosi avvertono che l’India sta cercando di replicare il modello applicato da Israele in Palestina nel Kashmir da lei controllato.
Fonte: English version
Di Azad Essa – 17 novembre 2022
Immagine di copertina: agricoltori lavorano in una risaia a Kangan, circa 22 km a nord-est di Srinagar, vicino all’autostrada nazionale Srinagar-Ladakh, il 27 settembre 2021 (AFP)
La decisione dell’India di invitare funzionari israeliani nella contesa regione del Kashmir ha scatenato l’allarme tra i residenti e gli esperti locali, con Nuova Delhi accusata di voler sostituire la cultura e la geografia indigena con un ambiente reinventato.
All’inizio di questo mese, diplomatici israeliani si sono recati nel Kashmir controllato dall’India per esplorare collaborazioni agricole congiunte con il governo indiano.
Yair Eshel, l’addetto all’agricoltura presso l’ambasciata israeliana a Delhi, ha visitato fattorie e agricoltori nella valle del Kashmir a Jammu, vicino al confine con il Pakistan e in seguito ha incontrato Brihama Dev, un project officer di Mashav, l’agenzia di aiuti internazionali israeliana.
Il giorno dopo la loro visita alla Sher-e-Kashmir University of Agricultural Sciences and Technology of Kashmir (SKUAST-K) a Srinagar, dove hanno incontrato una serie di funzionari universitari, tra cui il vice-cancelliere Nazir Ahmad Ganai, il governo israeliano ha annunciato che sarebbero stati costruiti due “Centri di Eccellenza” o CoE.
“La mossa influisce direttamente sulla demografia della regione e si ispira ai paradigmi israeliani di controllo nei territori occupati”- Apoorva PG, coordinatore Asia-Pacifico, BDS
Secondo i funzionari, i CoE faciliterebbero il trasferimento della tecnologia israeliana agli agricoltori del Kashmir controllato dall’India e promuoverebbero migliori pratiche nell’irrigazione, nella gestione dei vivai e nella coltivazione. Gli hub fungerebbero da punto di incontro per governo, accademici e agricoltori per collaborare e imparare gli uni dagli altri.
Parlando in condizione di anonimato, diversi abitanti del Kashmir hanno detto a Middle East Eye che i centri agricoli israeliani approfondiranno l’occupazione indiana nella regione e accelereranno il suo progetto coloniale.
“Prima tracciavamo i parallelismi tra il Kashmir e la Palestina o l’intima alleanza dell’India con Israele. Ma ora stanno portando Israele nella Valle sotto forma di queste istituzioni – che saranno “agro-orientate” nel nome – ma sappiamo tutti che Israele aiuterà fisicamente l’India a trasformare il Kashmir in una vera e propria Palestina”, ha detto a Middle East Eye un accademico del Kashmir con sede a Istanbul.
“L’India non può compiere un genocidio in Kashmir, né può creare un conflitto etnico. [Ma] poiché il modello palestinese è [visto come] un successo, l’India ha deciso di coinvolgere fisicamente Israele in modo che comprenda l’etnografia del Kashmir”, aggiunge l’accademico.
In Kashmir la solidarietà con i palestinesi è profonda, con gli slogan “Free Gaza” e “Lunga vita alla Palestina” accanto a “Go India Go” scritti sulle persiane di metallo.
A Srinagar, un giornalista locale che segue gli sviluppi ha detto a MEE che l’annuncio “formalizza il rapporto di queste potenze coloniali che lavorano insieme in Kashmir da un po’ di tempo.
” Con il pretesto dell’agricoltura Israele ha ora ispezionato il territorio, proprio al confine con il Pakistan. Cosa resta da indovinare?”
“Classico Progetto coloniale classico dei coloni”
I legami tra India e Israele si sono notevolmente rafforzati negli ultimi anni, soprattutto da quando il primo ministro Narendra Modi è entrato in carica.
Il commercio di armi tra i paesi vale più di 1 miliardo di dollari all’anno, con New Delhi che è il più grande acquirente e co-produttore di armi israeliane.
” Gli annunci in Kashmir non possono essere visti separatamente dall’ampio elenco di armi e trasferimento tecnologico tra India e Israele”, ha detto a MEE un accademico del Kashmir con sede negli Stati Uniti.
L’accademico, parlando anonimamente per timori di rappresaglie, ha affermato che l’idea che possano arrivare estranei a istruire gli abitanti del Kashmir sul modo migliore per produrre mele, zafferano, noci, tra le altre colture ampiamente prodotte nella regione dalle comunità indigene, è presuntuosa e arrogante.
“È un classico imperativo coloniale affermare che stai portando sviluppo o miglioramento alla popolazione nativa”, ha detto l’accademico, osservando come gli israeliani controllino le forniture idriche nei territori occupati, ma promuovano tecnologia di conservazione dell’acqua all’estero.
Gli accademici e gli storici palestinesi hanno ripetutamente affermato che il progetto coloniale di Israele nei territori occupati non può essere disgiunto dalle sue politiche ambientali che cancellano dalla terra la storia palestinese.
Il mese scorso, Ghada Sasa, dottoranda palestinese presso la McMaster University in Canada, ha scritto che Israele ha “piantato pini non autoctoni, spesso anche al posto di uliveti palestinesi e in altri terreni culturalmente , spiritualmente ed economicamente integrati nello spirito palestinese, , per Europeizzare il paesaggio”.
“Nel frattempo, impedendo ai palestinesi di ritrovare chiare prove della Nakba, come macerie e rovine, li si allontana ulteriormente da una grande ingiustizia e quindi li si rende meno propensi a ribellarsi”, ha aggiunto Sasa.
Nell’agosto 2019, l’India inviò decine di migliaia di truppe in Kashmir, attuando un blackout delle comunicazioni e interrompendo i collegamenti, mentre il governo di Modi poneva fine allo status semi-autonomo di Jammu e Kashmir.
Il governo indiano dichiarò che la mossa avrebbe inaugurato lo sviluppo economico e sociale della Valle anche se la sua merce più preziosa, le mele, fu lasciata a marcire nei frutteti, lasciando milioni di persone in difficoltà finanziarie.
‘Prendendo in prestito dall’apartheid israeliano’
Per decenni, gli abitanti del Kashmir hanno chiesto il diritto all’autodeterminazione come promesso dalla risoluzione 47 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 1948. Il Kashmir è rivendicato per intero sia dall’India che dal Pakistan e un confine de facto separa il Kashmir controllato dall’India dalla parte controllata da Pakistan.
Dall’inizio della rivolta nel 1988, più di 70.000 persone sono state uccise e migliaia di altre risultano disperse. Si stima che ci siano circa 700.000 truppe indiane nella valle, il che rende il Kashmir una delle zone più militarizzate della terra.
La rottura dell’articolo 370 e dell’articolo 35A che nella costituzione indiana prevedeva lo status speciale del Kashmir, significa anche che gli indiani possono ora acquistare terreni nel Kashmir e diventare residenti permanenti dello stato.
Dopo pochi mesi, un alto diplomatico indiano a New York disse a un gruppo di indiani del Kashmir che nella regione l’India avrebbe dovuto seguire il modello di insediamento israeliano.
Apoorva PG, coordinatore dell’area Asia-Pacifico per il Comitato nazionale per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) a guida palestinese, ha detto a MEE che i centri agricoli israeliani sembrano orientati a raggiungere due obiettivi.
“I CoEs attuano il greenwashing sull’apartheid di Israele e il colonialismo dei coloni in Palestina. Sostengono anche i tentativi delle autorità e delle società indiane di alterare l’uso del suolo e la demografia del Kashmir.
“La mossa influisce direttamente sulla demografia della regione e prende in prestito dai paradigmi israeliani di controllo nei territori occupati”, ha aggiunto Apoorva PG, osservando che nella regione, dopo l’agosto del 2019, gli investimenti e gli interessi commerciali di altri paesi come gli Emirati Arabi Uniti sono in aumento .
Allo stesso modo, Somdeep Sen, autore e analista di India-Israele, ha detto a MEE che “la replica dell’India del progetto colonizzatore dei coloni israeliani in Kashmir dà validità allo stesso suo progetto contro i palestinesi.
“Gli dà anche una certa manovrabilità diplomatica e rafforza le sue alleanze internazionali per quando dovrà affrontare la condanna globale per le sue politiche draconiane in Palestina”, ha detto Sen, professore associato di studi sullo sviluppo internazionale presso l’Università di Roskilde, in Danimarca.
A vantaggio degli agricoltori indiani?
Secondo il governo israeliano, i CoE sono hub gestiti da Mashav, il braccio per lo sviluppo internazionale del governo israeliano, per facilitare il trasferimento di tecnologia agli agricoltori nei paesi partner.
Ma gli esperti di agricoltura sostengono che i CoE raramente raccolgono dividendi per gli agricoltori locali e che le iniziative agiscono più come mezzo per migliorare la reputazione di Israele che per fornire un servizio.
A ottobre, Grain, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che sostiene i piccoli agricoltori e i movimenti sociali, ha pubblicato un rapporto in cui affermava che l’”agro-diplomazia” di Israele in tutto il mondo non era semplicemente una porta di ingresso per accordi sulle armi, ma era anche un intrecciarsi di attività agricole militari.
“L’agricoltura in Palestina è il prodotto di decenni di occupazione violenta e militarizzata delle terre palestinesi e dell’oppressione del popolo palestinese da parte del suo esercito. Le aziende agroalimentari israeliane sono state plasmate da questo contesto e continuano a trarne profitto.
“L’esercito israeliano è anche un’importante fonte di personale e di tecnologie per le aziende agroalimentari israeliane. Sarebbe difficile trovare una singola azienda israeliana tra le centinaia di start-up agrotecnologiche che esistono oggi che non abbia qualche legame con l’esercito israeliano “, aggiunge il rapporto.
In una dichiarazione inviata a MEE, Grain ha osservato che i governi provinciali indiani “non solo stanno firmando accordi per istituire centri di eccellenza per le colture orticole, ma stanno sponsorizzando viaggi in Israele per i loro funzionari agricoli, fornendo stanziamenti di bilancio per la microirrigazione, il reclutamento di Società israeliane in regimi di sovvenzione e tecnologia su larga scala.
“Tuttavia, ci sono poche prove di come esattamente queste tecnologie israeliane stiano avvantaggiando gli agricoltori indiani”, si legge nella dichiarazione.
Secondo il governo israeliano, ci sono 29 CoE in 12 stati in tutta l’India. Nel 2020, l’ambasciatore israeliano affermò che in un solo anno 150.000 agricoltori indiani avevano ricevuto formazione da questi centri.
MEE ha inviato richieste di interviste ai responsabili di cinque centri di eccellenza – in Gujarat, Maharashtra, Karnataka e Haryana – ma non ha ricevuto risposta al momento della pubblicazione.
Apoorva PG, del BDS, afferma che i CoE sono fondamentalmente “piattaforme di propaganda” che utilizzano le finanze pubbliche per “fare il greenwashing di Israele”.
“I centri di eccellenza israeliani sono uno strumento per spendere denaro pubblico indiano e per fornire piattaforme di propaganda alle agenzie israeliane, consentendo il greenwashing del regime israeliano di colonialismo e apartheid, il suo implacabile furto di terra palestinese e risorse idriche, lo sradicamento di milioni di alberi palestinesi e la pulizia etnica dei palestinesi, in particolare degli agricoltori”, ha affermato Apoorva PG.
Middle East Eye ha contattato l’ambasciata israeliana a Nuova Delhi per un commento, ma non ha ricevuto risposta al momento della pubblicazione.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org
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