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Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito

Nell’esprimere tutta la nostra solidarietà ai compagni raggiunti da questi provvedimenti ci preme svolgere qualche riflessione. Anzitutto troviamo difficoltà a parlare di repressione perchè spesso a nostro avviso si fa un uso improprio di questo argomento, ed è per questo che non ci capita spesso di prendere parola in merito pubblicamente. Nell’arco degli ultimi due anni sono arrivate al nostro collettivo circa un centinaio di denunce per gli episodi e con i capi di imputazione più disparati, abbiamo parecchi processi aperti ed inoltre un nostro compagno è tuttora sottoposto all’obbligo di firma trisettimanale in seguito allo sgombero del palazzo occupato in via Cesalpino il 12 Dicembre 2014. Tutto questo non ci ha mai meravigliato, sappiamo bene che il nostro agire quotidiano collide con i progetti di chi governa la città e il paese ed abbiamo sempre messo in conto le ripercussioni legali che ne derivano. Non siamo concordi né con chi ha fatto negli anni della repressione una bandiera né con chi ne fa un alibi, semplicemente sappiamo che il cammino verso un modo più giusto è tutt’altro che semplice e siamo pronti ad affrontarlo.

Rispetto alle ultime misure che sono arrivate ci preme però interrogarci sul perchè arrivano oggi e perchè a cavallo del 27 e 28 febbraio. Ogni qual volta, infatti, si avvicina una mobilitazione importante – come lo sono state quelle contro il comizio del 28 Febbraio di Salvini a Roma – o quando ricominciano gli appuntamenti di resistenza, come in questo momento dopo la tregua degli sfratti con la forza pubblica di Febbraio, l’apparato repressivo mette in campo vere e proprie minacce nei confronti dei compagni e delle compagne. Di minacce si parla infatti, come chiamare altrimenti provvedimenti presi ancor prima di un processo? Pensano che colpendo qualche attivista si possa scongiurare la messa in atto di semplice resistenza contro botte, lacrimogeni e la svendita delle nostre vite.

Di fronte a otto interminabili anni di crisi continuano a voler mostrare, sia da destra che da sinistra, che il problema del paese sono gli estremisti, i radicali, l’estrema sinistra. Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito per l’appunto. Pensiamo piuttosto che il problema sia che sempre più persone non hanno casa, non hanno reddito, non hanno la spesa nel frigo e che vengono spogliate finanche della propria dignità, per questo possiamo affermare con sicurezza che non sarà qualche misura cautelare a fermare le lotte sociali di questo paese. Non si tratta di stupidi eroismi, non vogliamo sembrare spavaldi, ma siamo di fronte a un disagio sociale così trasversale e diffuso che è impensabile arrestare le manifestazioni di resistenza e dissenso cercando di fermare qualche militante. Sono le nostre vite ad essere in gioco, e con nostre non intendiamo quelle di decine o finanche centinaia di attivisti, ma quelle di tutti coloro che hanno la sventura di essere carne, ossa, pancia, cuore e cervello dentro questa crisi.

Mentre lorsignori sprecano migliaia di euro per eseguire gli sfratti, non vengono finanziate politiche sociali adeguate. Mentre investono nella costruzione di opere come la Tav o nella realizzazione di grandi eventi come l’Expo, non si destina il patrimonio pubblico a chi non può più pagare l’affitto. Mentre si dilapidano soldi per le nostre denunce, per misure cautelari o processi inutili, continuano a non darci quello che ci spetta. Se lo Stato, o quel che ne rimane, non mette a disposizione case, asili nido gratuiti, affitti a prezzo calmierato e nel frattempo l’unica risposta che ci dà è la restrizione della libertà di chi mette in campo pratiche comuni e diffuse per conquistare una vita decente, la soluzione può essere soltanto la resistenza nei territori e la riappropriazione di quello che ci spetta. Non ci sono compromessi possibili con chi è pagato per escogitare metodi per affamarci, o con chi è stipendiato per arrestare e pretende di gestire il malcontento diffuso a suon di minacce.

In questa situazione, resistere è un dovere. Non si tratta di voler alzare il conflitto, non si tratta di stratagemmi o politicismi, si tratta solamente di guardare la luna, anziché il dito. Dobbiamo essere lucidi e focalizzare le strade percorribili, e purtroppo – e val la pena di sottolineare ancora il purtroppo perchè a scanso di equivoci questa situazione che stiamo attraversando non diverte proprio nessuno – di strade percorribili ce ne sono ben poche. Per noi ribellarci, resistere, alzare la voce, dissentire, manifestare, fare picchetti, assemblee, incazzarci, scontrarci, è una questione di dignità. Il conflitto è nelle nostre case, scuole, università. La rabbia è nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo scontro è negli ospedali, nei bar, in fila alle poste! Qualsiasi ipotesi di cambiamento possibile deve fare i conti con questa rabbia quotidiana, e chiunque speri – per ingenuità o opportunismo – di poter ignorare questo dato di fatto, guarda anche lui il dito, dimenticandosi della luna.

Ancora una volta e sempre più forte:

pugni chiusi e denti stretti alè!’ 

Degage_Roma

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