Sentenza e sordità
E’ davvero è così importante questa sentenza? Perché ha tutta questa eco visto che non fa altro che ribadire una sentenza già passata in giudicato in tutti i gradi di giudizio e affermare un vuoto giuridico che da anni viene ricordato da chi si è interessato dei processi genovesi ma anche dalle associazioni più o meno legate alla situazione carceraria, Antigone su tutte?
Pagine e pagine di articoli che vanno a ricordare della mattanza della Diaz, dove ci fu un violentissimo pestaggio delle forze dell’ordine che intervennero sotto invito di chi ha comandato in maniera scellerata l’ordine pubblico in quelle giornate con conseguenti arresti del tutto ingiustificati. Furono 93 in quella che anni dopo fu chiamata la “mattanza cilena”. A dire il vero, tecnicamente, le torture ci furono tra il carcere di Bolzaneto e quello di Alessandria dove furono tradotti gli arrestati di quella notte e non solo. Lo stesso carcere che fu visitato dall’allora ministro Castelli che non si accorse di niente e dove Sabella, ora assessore alla legalità a Roma, era “coordinatore dell’organizzazione, dell’operatività e del controllo su tutte le attività dell’amministrazione penitenziaria in occasione del G8 di Genova”. Tutte cose sapute e risapute, raccontate e denunciate in questi anni e che ancora una volta fingono di trovare sorpresa negli editoriali dei nostri quotidiani dove ormai “l’indignazione” più o meno sincera viene venduta tanto al kg. A dire il vero, escluso il Secolo XIX, nessuno ha chiamato a intervenire chi negli anni uno dei 93 arrestati e picchiati della Diaz. Abbiamo letto Concita De Gregorio e altre firme illustri del giornalismo italiano, leader dell’allora movimento no global, fino a una patetica intervista a Gianfranco Fini che dimentica quel che affermò per anni e scarica le responsabilità sulla polizia.
Ed è proprio questo il punto, quel che ci ostiniamo a non voler capire o a far finta di non capire: di Genova sappiamo praticamente tutto o quasi. Sappiamo ruoli, responsabilità, nomi e cognomi anche di chi per anni è stato coperto. E’ stata smentita la ricostruzione data dalla polizia ed è stata ricostruita la catena di comando. Quindi cosa manca? Davvero c’è chi pensa a chissà quali complotti? Complotti orditi dagli stessi delle molotov fasulle o delle coltellate fasulle all’interno della Diaz?
Non manca molto. Manca qualcosa. Mancano all’appello alcune semplici cose: manca una memoria, non dico condivisa, ma che almeno sia frutto di un ragionamento tra compagni e compagne, su quel che avvenne in quelle giornate, sugli errori commessi, su quello che non è stato né assunto né compreso da quell’esperienza. Da parte nostra il non aver capito che l’articolo 419 “devastazione e saccheggio” sarebbe stato usato come clava per i procedimenti penali dopo Genova. Che si stavano aprendo le mura del carcere per alcuni. L’essersi presi la responsabilità di difendere quei 10 in maniera collettiva e più articolata solo a poche settimane dalla sentenza della Cassazione. L’aver lasciato il ruolo politico agli avvocati, che onestamente sono stati più politici e lungimiranti di molti di noi, e l’aver avallato la memoria “delle vittime” della Diaz, come se quella infame nottata abbia potuto racchiudere tutta la storia di Genova e non solo una parte di essa. La complessità spaventa tanto quanto forse la cattiva coscienza del non riconoscere gli errori fatti. Tipo chi negli anni, attraverso comitati che chiedevano verità e giustizia, avallavano la teoria per cui “andava condannato chi aveva compiuto atti violenti, tra le forze dell’ordine e i manifestanti”, continuando a fidarsi di chi dimostrava sistematicamente che a quei processi non ci voleva arrivare. Perché il punto non è aver fiducia o no nella magistratura ma nel sapere leggere cosa politicamente sta accadendo. Del resto a Strasburgo è la stessa corte (ok cambiano i giudici) che disse che non ci furono lacune nell’inchiesta sulla morte di Carlo Giuliani, giudizio assai particolare, quindi avallando la deviazione del famoso proiettile.
D’altra parte chi dovrebbe fare informazione ha rincorso sistematicamente la sensazione, la pancia, come spesso fa, e non ha mai posto le domande che andavano fatte. Il cercare le responsabilità politiche di quelle tragiche giornate genovesi. Leggere oggi Scajola, intervistato sempre da La Stampa, scagliarsi contro i media di destra responsabili del “clima di nervosismo” e in difesa del suo governo “volevamo andasse tutto bene”, fa rabbia ma soprattutto cozza con quello affermato e fatto nei giorni e negli anni a seguire. Ma nessuno lo fa notare. Ci si accorge di nuovo delle “miracolose carriere” (cit. da Repubblica di oggi) e ci si accorge anche del gradimento trasversale politicamente di De Gennaro, a capo dei servizi con Berlusconi e promosso a Finmeccanica con Letta, passando per il gradimento di Mario Monti. Ma chiedere conto a chi negli anni, tra governi di centrodestra e centrosinistra, ha avallato silenziosamente tutte queste scelte? Chiedere il perché PS e CC abbiano assunto tutta questa autonomia decisionale? Perché tanto tra un paio di giorni, approvata la legge sul reato di tortura, che quasi nessuno spiega di cosa esattamente si tratta, si rispegneranno nuovamente i riflettori su Genova mentre nuovamente a denunciare i mancati risarcimenti per i torturati alla Bolzaneto sono Tambuscio e Onida, il primo avvocato del pool che si è occupato dei processi genovesi, mentre noi che siamo stati a Genova, che abbiamo costruito quelle giornate, tacciamo ancora.
Nel frattempo 2 di noi sono in carcere dal 2012 e ci rimarranno ancora per molto, un paio hanno ottenuto i permessi lavorativi, un altro paio risultano scomparsi e gli altri 4 stanno scontando la pena con la condizionale. Hanno seppellito e punito quei 10 con un secolo di carcere non equamente distribuito, attraverso un reato che è retaggio di quella parte del codice fascista Rocco che nessuno vorrebbe abolire. Ma anche questo è scomodo ricordare tanto che in questi giorni nessuno si è preso la briga di farlo, vittime sacrificali di chi politicamente non ha mai voluto fare i conti con Genova.
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