Sull’Autonomia operaia meridionale – Intervista a Francesco Festa
Abbiamo intervistato Francesco Festa che ha curato insieme ad Antonio Bove il lavoro di ricerca sulla storia, sui protagonisti e sulle forme dell’Autonomia meridionale, oggi esce il primo volume dei tre edito da Derive e Approdi.
È un lavoro a cui abbiamo dedicato gli ultimi due anni ma è pensato già dagli inizi degli anni 2000 quando militavamo a Officina99 e riflettevamo su che cosa fosse l’autonomia che ci era stata trasmessa, sia in termini teorici che pratici, sia nelle lotte ma anche nella traduzione, di generazione in generazione, fino a noi giovani dell’epoca. Ci è stata data l’opportunità da Derive e Approdi di indagare che cosa sia stata l’Autonomia meridionale nelle sue diverse accezioni: in questo primo volume parliamo di autonomia operaia meridionale perché ci concentriamo su Napoli, il secondo sarà sulla Campania e il terzo sul Mezzogiorno, dunque Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Ho distinto autonomia operaia meridionale da altri tipi di accezione, perché ad esempio in Calabria si chiamava Autonomia proletaria, oppure Autonomia meridionale, e questo è legato alla composizione di classe e ai rapporti sociali di produzione. Se l’Autonomia operaia così come l’abbiamo conosciuta, letta e ci è stata trasmessa dai più vecchi, ha vissuto al di fuori delle fabbriche così come a Mirafiori, Milano, Marghera, nel Mezzogiorno non è stato così, proprio perché gli insediamenti industriali non sono stati così forti, quindi c’è stato un altro tipo di traduzione dell’Autonomia all’interno di ciò che è stato poi definito, a metà degli anni 70, l’operaio sociale. Quindi, in particolare a Napoli, il proletario e il sottoproletario urbano metropolitano, quello che si arrabbattava tramite i mille lavoretti, così come veniva icasticamente raffigurato dalla letteratura borghese, era a tutti gli effetti un produttore di valore, di merci ed era inserito nei cicli produttivi della metropoli. L’Autonomia all’interno di uno spazio metropolitano come Napoli è stata soprattutto questo tipo di composizione di classe, vi inseriamo l’autorganizzazione dei contrabbandieri, l’autorganizzazione dei disoccupati, così come è stata l’organizzazione all’interno di piccoli e grandi nuclei industriali dove erano presenti compagni e compagne afferenti a organizzazioni autonome, come Bagnoli dove c’era l’Ital Sider o a Pomigliano con l’Alfa Sud che erano grosse fabbriche, c’era questo tipo di composizione oltre a una composizione di classe afferibile a quello che è stato chiamato l’operaio sociale. Se avessimo voluto parlare dell’Autonomia operaia organizzata avremmo dovuto restringere il campo a pochi nuclei organizzati all’interno del Mezzogiorno, a Napoli, qualcosa in Sicilia e in Puglia. Il tutto si sarebbe risolto così, invece il metodo di lavoro da cui siamo partiti è stata una considerazione di Lanfranco Caminiti fatta in un pezzo sull’Autonomia meridionale, nell’Orda D’oro, diceva che gli autonomi nel Mezzogiorno esistono ed esistevano al di là dell’Autonomia, quindi siamo andati alla ricerca di un filo rosso che indagasse su questo tipo di condotte, di forma mentis, di comportamenti, quindi se l’Autonomia operaia che abbiamo conosciuto è quella del rifiuto del lavoro, del rifiuto dell’egemonia culturale borghese legata all’idea del lavoro, nel Mezzogiorno non è stata solo la liberazione dal lavoro ma è stata anche la liberazione da alcuni gioghi legati al familismo, alla condizione femminile, alla presenza del blocco storico della DC, nell’entroterra soprattutto, in regioni come Basilicata, Calabria, il giogo forte del connubio politico-criminale tra la politica e le organizzazioni malavitose, è questo il filorosso, il rifiuto dell’egemonia capitalistica nel Mezzogiorno.
Quali specificità possiamo individuare nell’Autonomia meridionale, oltre alla composizione? Quali eventi salienti ne hanno determinato il percorso? E dato questo sguardo particolare nel ritracciare questa storia, quali sono state le fonti da voi utilizzate?
Partiamo dalle fonti. Per il primo volume sono state un po’ di letteratura e di storiografia delle lotte sociali e politiche a Napoli e nel Mezzogiorno, sia di parte, quindi scritte dalle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, sia accademiche classiche. Poi, il materiale autoprodotto dalle realtà della sinistra rivoluzionaria e infine le fonti orali. Quella principale sono state le fonti orali, infatti in questi tre volumi la cosa importante e indispensabile è che si è parlato di quella che viene chiamata storia minore, la storia normalmente è quella che viene fatta dai grossi nomi secondo una metodologia storicista per cui la storia viene fatta dai condottieri, dai vincitori, mentre noi abbiamo dato voce a storie dal basso, a compagni e compagne che ancora oggi stanno sulle barricate e la loro militanza è nata negli anni 70, compagni e compagne che non avrebbero avuto parola e le storie stesse sarebbero cadute nell’oblio. Quella per esempio di Casimiro Longaretti di Nova Siri, uno degli organizzatori dei due campeggi di lotta antinucleari del 78 e del 79, fatti vicino alla trisaia di Rotondella, il centro di stoccaggio del nucleare, sono momenti importanti all’interno della stagione di lotte antinucleari e ambientaliste, in seguito è nato il coordinamento anti anti conosciuto negli anni 80 e che ha fatto vivere l’Autonomia al di là della repressione e dei compagni in carcere. Casimiro si è politicizzato in quei giorni là, non era inizialmente un militante dell’organizzazione. Abbiamo parlato poi di Basilicata, in particolare di una città come Potenza, solitamente sonnacchiosa, per anni governata dalla DC e ora dalla Lega, dove fra gli anni 70 e 80 vennero occupate 20mila case. Queste storie se non le avessimo raccolte in questi volumi sarebbero cadute nell’oblio. Quindi ecco la cosa straordinaria, abbiamo fatto parlare prima dell’Autonomia gli autonomi. Nel libro sulla Calabria si parla anche delle rivolte di Reggio, da un punto di vista di termini temporali siamo partiti dal 69, poi abbiamo approfondito le rivolte di Reggio che solitamente si pensano attraversate dai fascisti, ma quella rivolta, durata un intero anno, non era solo questo. Inizialmente era sembrata una lotta provinciale, quasi corporativa, di una città che si ribellava contro una disposizione governativa che prevedeva di spostare il capoluogo di regione a Catanzaro, si è ricostruita anche la storia dell’antimafia ad Africo dove Palamara, che si è poi dovuto trasferire a Roma con tutta la famiglia nei primi anni 70, non fece antimafia pacifica ma impugnò le armi dinanzi ai soprusi, davanti alle prime forme di ‘ndrine, che si andavano organizzandosi, e in quell’occasione fu fatta anche una manifestazione nazionale di sostegno. In Sicilia invece si darà voce a un compagno di Peppino Impastato, un compagno all’interno di radio Aut, poi eletto in Democrazia Proletaria con Peppino, che parla non solo di quello che si conosce ma anche dei rapporti di forza, qual’era la vita svolta all’interno dei paesini della Sicilia. Tutto questo, a nostro parere, si inquadra nei tentativi di dare una forma di organizzazione all’autonomia al sud. Ci furono anche due assemblee forti, una a Cosenza e una a Palermo dell’Autonomia meridionale, l’organizzazione è stata quella di Lanfranco Caminiti e Fiora Pirri, che non furono solo un tentativo di dare una breve vita a una forma di organizzazione, ma una spinta in temini di gesti esemplari, di forme. Dopo il 7 aprile, tra gli arresti e le perquisizioni, venne perquisita anche l’università di Cosenza con i militari di Dalla Chiesa che la misero a soqquadro, anche questo viene raccontato nella trilogia.
Quali spunti possiamo trarre da questi volumi per l’oggi, sia sul piano dell’agire che sull’analisi di fase?
Sono libri di storia, di memoria, uno degli spunti è quello di stare all’interno di composizioni spurie così come quelle che ha vissuto Napoli e il Mezzogiorno. C’è un pezzo di Alfonso Natella, il protagonista di Vogliamo Tutto che parla anche di Torino e ricostruisce la vita a Torino e la sua esperienza, poi c’è un pezzo teorico Dimenticare il Sud, uno di Francesco Caruso su il Sud Ribelle, uno di Giso Amendola su Sviluppo e Sottosviluppo, una conversazione tra Claudio Dionesalvi e Franco Piperno e poi Lanfranco Caminiti. Tre quarti del volume riguarda il pezzo su Napoli che si chiama, in dialetto O Gliommero, “Il groviglio”, ossia il fertile groviglio dell’Autonomia napoletana, perchè si tratta di un miscuglio, di una composizione sociale spuria. Non avremo mai a che fare con composizioni che sulla carta sono quelle per cui i rapporti di produzione riescono ad avere un determinato intervento e poi politicizzandosi diventare classe per sé, ma l’importante è stare dentro quel tipo di composizione, con le sue contraddizioni e le sue ambivalenze, cercando di forzare degli elementi autonomi e di autorganizzazione, questo è l’insegnamento. L’Autonomia oltre ad essere una categoria storica è anche una categoria personale ed è da questo che siamo partiti, da un punto di vista di indagine su quali potessero essere i frammenti di Autonomia non nei centri metropolitani ma nell’entroterra, cosa ben diversa. L’insegnamento è questo, da una parte la composizione di classe è sempre spuria e in secondo luogo bisogna lavorare come una talpa, anche nei periodi di reflusso, di pacificazione, di repressione come potrebbero sembrare questi, in cui tutti sono allineati in un quadro recostituito, ma ci sono dei fermenti su cui lavorare, soprattutto in composizioni spurie, ad esempio a Napoli, ci sono esperienze di sindacalizzazione dal basso che sono molto interessanti, che potrebbero somigliare alle lotte di quelli che negli anni 70 facevano i mille lavoretti o dei disoccupati organizzati, la rivendicazione era il lavoro ma un lavoro che non era caratterizzato da un’idea lavorista, perchè se la pensiamo in questi termini è ovvio che quella non è una lotta riconducibile all’Autonomia operaia, non era rifiuto del lavoro ma era lotta per il lavoro nei termini di lotta per il salario, per il reddito, non di delega o di chiedere elemosina alla DC o a qualche padroncino, al galantuomo come diceva Verga. Si parlerà anche della Pantera, i volumi arrivano infatti al 93 – 94, fino al scioglimento di anti anti, negli anni 80 i compagni non sono stati con le braccia conserte, ci sono stati campeggi di lotta, le lotte antinucleari, le lotte del coordinamento, quello è stato un lavorio che poi ha portato a fenomeni che all’occasione sono esplosi. Concludiamo cosi la prefazione: “L’Autonomia esiste anche senza autonomi – scriveva Lanfranco Caminiti – sta a noi incontrarla, proprio come all’inizio degli anni 60 i primi operai fecero al cospetto del migrante meridionale e della rude razza pagana, potendo affermare, davanti alle rivolte di Piazza Statuto, non ce l’aspettavamo ma le abbiamo organizzate.” Se si ha questa tensione ci sono buone speranze.
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