Una questione non solo tarantina. Conversazione con un compagno verso il 4 maggio
Pubblichiamo una intervista con un compagno di Taranto attivo nell’organizzazione della manifestazione nazionale del prossimo 4 Maggio. Abbiamo provato a ricostruire sia gli ultimi mesi di attualità della questione Ilva, sia il dibattito interno ai movimenti cittadini su come uscire dalla trappola mortale salute/lavoro. Ci siamo soffermati sul ruolo dei cinquestelle e sugli assetti di potere che hanno descritto l’attuale situazione, non ultima la questione di come il sistema della formazione influisce sulla riproduzione dell’esistente. Rilanciamo contestualmente l’appello a partecipare alla manifestazione di Sabato 4 Maggio. Per adesioni scrivere a tarantoquattromaggio@gmail.com, per informazioni aggiornate verso il corteo seguire la pagina Quattromaggiotaranto. Buona lettura.
Iniziamo con una presentazione del corteo del 4 maggio, e con un resoconto anche del dibattito che vi ha portato alla scelta di organizzare la manifestazione.
Allora, facendo un po’ un riepilogo degli ultimi mesi, bisogna partire dal fatto che l’attuale fermento deriva dalla presa di coscienza delle promesse disattese dai Cinquestelle, in particolare dai suoi parlamentari tarantini. Dopo l’accordo con Mittal di settembre, che confermava l’immunità penale sia per chi avrebbe preso le redini della fabbrica, sia per i commissari dediti all’amministrazione temporanea ( ad oggi c’è ancora una doppia gestione Stato-privato dell’ILVA) molta gente aveva reagito, era scesa in strada molto delusa. La città si è mossa intorno a questo accordo, dove nei fatti si permetteva di continuare ad inquinare senza alcuna responsabilità giuridica. La tensione si è alzata però a febbraio, quando vengono chiuse due scuole interne al quartiere Tamburi, quello limitrofo alla fabbrica. Alcune di queste “collinette ecologiche” (mai nome fu meno adeguato..) che dividono la fabbrica dal quartiere vengono sequestrate dalla Procura perchè contaminate. Invece di attaccare la causa di queste contaminazioni, vengono chiuse le scuole, e allora come ovvio i genitori insorgono.
Questa rabbia viene colta anche da molti di noi attivi nei movimenti, si organizzano presidi in prefettura e si procede all’occupazione del comune. L’8 Marzo c’è una grossa manifestazione davanti al consiglio comunale, con il sindaco che alla fine decide di risolvere la questione mandando i bambini a turno in altri istituti scolastici. Tra i vari diritti negati anche quello del diritto allo studio viene dunque attaccato, in un contesto davvero surreale dato che solamente leggere di una scuola chiusa per inquinamento dovrebbe fare riflettere non poco. In quei giorni abbiamo insistito a livello cittadino per realizzare una ordinanza di chiusura della fabbrica, imponendone l’adozione al sindaco, attore che può agire in tal senso. Ci sono stati vari appelli fino a quando si arriva ad un consiglio comunale monotematico partecipato anche dalla Regione. Qui vengono prodotte alcune mozioni per la chiusura della fabbrica a cui però il consiglio comunale al momento delle votazioni si oppone, nonostante il sindaco ammetta di avere già nel cassetto una ordinanza da tirare fuori in caso i dati avessero confermato la pericolosità per la salute.
Come se ci fosse bisogno di ulteriori dati..
Ma si, come se ancora servano dei dati per capire che qui si muore. I dati li abbiamo in ogni famiglia, ci sono due tre persone morte di tumore a famiglia..è da qui che in molti, soprattutto giovani, ci si è trovati in assemblee per capire come procedere nella direzione di una lotta che non abbia più mediazioni, che non si aspetti più nulla dall’alto. L’ultima delusione dei cinquestelle è chiaro che ha creato ancora di più un distacco dalle forme partitiche. Dopo l’esperienza del 23 marzo a Roma, partecipata da molti anche da Taranto, si è ragionato di fare una chiamata nazionale anche da noi per iniziare anche nei vari territori che erano confluiti a Roma a creare conflitto. Abbiamo proposto la data e abbiamo trovato attenzione.
L’idea è quella di puntare verso la fabbrica, che oggi sovrasta la città e che invece in questo momento crediamo vada, al contrario, indicata come nemico e bersaglio. Vogliamo andare dal quartiere Tamburi, il più martoriato, verso la fabbrica, parlando della questione e soprattutto ricreando fiducia verso l’opzione delle lotte come meccanismo di risolvere il problema. Cercare delega, scappatoie non ha più senso, dato che anche i cinquestelle hanno mostrato come la politica istituzionale poi si risolva nella creazione di un tappo, nella canalizzazione a vuoto della rabbia.
Su questo ti chiedo proprio sul tema cinquestelle di riprendere questo ragionamento sulla promessa tradita, che riguarda non solo l’ambiente, ma anche le grandi opere, la questione del reddito..come si è percepito da voi questo passaggio da grandi promesse a una realtà davvero deludente?
Fondamentalmente i cinquestelle hanno smesso di essere quello che non sono. Molti appartenenti ai meetup si erano inseriti già in passato nelle reti di movimento, creando un legame con noi, ma in particolare rispetto al mondo ampio dell’associazionismo. Una volta che anche alcuni cicli di lotta dal basso si sono un po’ fermati, hanno avuto qualche difficoltà, chi è rimasto ha pensato di provare a sfruttare i cinquestelle come cassa di amplificazione, per mantenere alta l’attenzione su Taranto. Le parole d’ordine che usavano erano le stesse che usavamo noi, ma pezzi di movimento si sono appiattiti nella delega e nei cinquestelle, di fatto ne sono diventati interni pensando che potesse essere una via d’uscita utile. Nei fatti poi il partito di DiMaio è rimasto in continuità con gli altri partiti. Si sono scontrati con una realtà non solo industriale ma anche politico-mafiosa che ha sempre gestito la città.. con cui o realmente ti vai a scontrare con il consenso forte della comunità oppure di fatto simuli solo un cambiamento. I Cinquestelle hanno scelto la seconda ozpione, hanno fatto i passacarte, hanno fatto quello che gli dicevano di fare. Non decidono un bel nulla.
Teniamo conto che c’è anche un discorso di sistema, di esigenze di sistema. La Mittal arriva quando la famiglia Riva, quella dei vecchi proprietari, deve essere fatta fuori. Alcuni assetti di potere in città dovevano cambiare, un certo tipo di padronato andava rivisto. Oltre alla fabbrica c’è infatti tutta la parte legata al porto e al retroporto, che vuol dire anche poi inserimento nei flussi commerciali e finanziari globali. I Riva avevano una gestione che non era legata molto al tema della finanza, della borsa, cosa che invece ora è necessaria per il sistema-Taranto. Arcelor Mittal è quasi monopolista dell’acciaio, il porto è stato affidato ad una multinazionale turca, l’Ylport. Siamo di fronte a un cambio di assetto che poi rende anche organizzazioni come i Cinquestelle assolutamente ininfluenti. O hai la città dietro, che quindi va conquistata in termini di consenso, o che vuoi fare? Probabilmente anche loro sapevano che non sarebbero riusciti a fare nulla. Ora questo però è definitivamente chiaro.
Riprendo una parte del comunicato che indice il corteo. Ci si concentra sulla contraddizione lavoro/salute, quella che ha reso Taranto suo malgrado un simbolo di devastazione ambientale, ma anche di sfruttamento, impoverimento, nocività. Ti chiedo su questo di aggiungere qualche considerazione.
Stiamo ragionando sul fatto che non può più esserci un modello di sviluppo e produzione industriale simile. Non è possibile dover lavorare solo a patto di rischiare di morire. Meglio morire di tumore che morire di fame, questo sentiamo dire ogni tanto…come puoi immaginare frasi del genere ti lasciano interdetto. Soprattutto quando pensi a cosa stai lasciando a figli e nipoti. Non c’è più futuro qui da alcuni punti di vista, manca proprio anche una visione. Ciò perchè sono stati imposti anche dei modi di vivere, da quello del lavoro salariato a quello pure delle aspettative generali di vita, che va avanti da 150 anni. Qui sin dall’unità d’Italia abbiamo vissuto una serie di colonizzazioni, pensa alla Marina Militare che si prese sin da subito gran parte della città. Oltre all’ILVA c’è un enorme pezzo di città precluso ai tarantini, sia la parte interna del mar Piccolo sia quella esterna del mar Grande, dove ci sono due basi navali, una italiana e una della NATO. Una volta finita la scuola in molto hanno solo un bivio davanti, o diventi militare o vai a lavorare in fabbrica.
Si è passati da una città di pescatori, artigiani, coltivatori, ad una di operai legati però a un solo possibile modello di sviluppo, quello legato al siderurgico. C’è stata proprio una trasformazione culturale, in cui il problema della salute non te lo poni neanche perchè tanto parti dal punto di vista che l’unica direzione possibile di vita è quella. Si dà per scontato e ciò poi varrà anche per le generazioni successive. Anche a livello paesaggistico, se tu nasci con una fabbrica ingombrante del genere, penserai che è la normalità. Anche la scuola funziona in questo senso: alle superiori facevano studiare il ciclo siderurgico completo, cosa che non credo si faccia nei programmi nazionali. Addirittura alle medie ti fanno studiare la stessa cosa in alcuni indirizzi, e non credo sia un discorso nazionale. E’ una cosa ad hoc per questa città, culturalmente devi essere figlio dell’Italsider poi ILVA.
Quando si dice che la scuola va legata al territorio, come dicono le imprese..
Su questo a Taranto è cresciuto il dominio dell’Italsider. Che poi in realtà anche a livello dei “benefici” bisognerebbe parlarne. Prima sì, ci lavoravano moltissimi tarantini. Ma poi, passata al privato di Ilva, questa cosa è iniziata a cambiare. Sempre meno tarantini ci lavoravano, si alzava la disoccupazione, conseguenze ci sono state anche a livello demografico. Taranto è passata dai quasi 350000 abitanti degli anni Ottanta ai circa duecentomila di oggi, un tasso di emigrazione enorme, c’è una diaspora enorme. Teniamo conto che qui neanche c’è l’università, siamo dentro al polo di Bari e abbiamo sul territorio solo alcune facoltà distaccate tipo ingegneria ma non esiste nulla di umanistico, dove magari si possa anche discutere e pensare altri tipi di visione della città. C’è stato proprio un disegno, l’emilinazione di ogni tipo di futuro possibile per Taranto.
Tralaltro questa contraddizione salute/lavoro mette anche a critica in maniera pesante l’istituto del reddito di cittadinanza cosi per come è pensato. Avrebbe senso per permettere anche la transizione e la chiusura della fabbrica, o la sua riconversione, dare sostegno a chi ci lavora, per non essere obbligato a scegliere tra un tumore e il portare uno stipendio a casa.
Senza dubbio. Stiamo iniziando a vedere anche questo tema del reddito, alle discriminazioni che porta con sé, alle forme di controllo e cosi via. Non è un reddito universale, lo sappiamo, né adeguato a situazioni come questa. In questo caso caso certo, avrebbe molto senso un sostegno per la transizione, per permettere la chiusura delle fonti inquinanti che poi vuol dire la chiusura della fabbrica. Va anche detto che qui una idea forte è che i lavoratori ora impiegati vengano impiegati a fabbrica chiusa nell’ambito delle bonifiche. Teniamo conto che per questa bonifica non basterà una vita, e ovviamente deve essere pagata da chi ha inquinato, non certo dal pubblico. Poi certo, sarà una via difficile dato che tra fideiussioni, ex proprietati morti, ex proprietari latitanti etc sono spariti un bel po’ di soldi.
Si parlava di otto miliardi di euro, ma tanto anche l’inchiesta giudiziaria come ti dicevo prima sembra più che altro strumentale al cambio di assetto. Si, ci sono inchieste per corruzione ma riguardano un po’ tutti, dalle autorità cittadine del passato sino a gente come l’ex presidente della Regione Vendola, ad esponenti ecclesiastici..c’era questo sistema gestito da tale Archinà, responsabile dei rapporti istituzionali dell’ILVA, che teneva a libro paga un po’ tutti. Ovviamente del problema inquinamento fino a quando non è scoppiato tutto questo discorso del sistema corruttivo non si è mai parlato. I movimenti ne parlavano da anni ma tutti se ne stavano belli zitti proprio perchè c’era questo sistema ramificato di tangenti.
Ultima battuta per reinvitare tutti al corteo. La questione dell’ILVA non è una questione solo tarantina, scrivete nell’appello di indizione.
Ci iniziamo a confrontare, e siamo contenti di farlo, sull’idea di modelli di sviluppo alternativi e di altre idee di “progresso”. Lo abbiamo fatto ad esempio a Cosenza ( a Tracce, ndr) e ci è piaciuto molto ragionare pure su cosa voglia dire mettere in crisi il tema del lavoro. Sul senso di continuare a produrre, produrre, produrre cose anche di fatto inutili. Su un lavoro vicino alle proprie attitudini e alle proprie capacità. Stiamo iniziando anche nelle assemblee a capire anche dopo il quattro maggio come continuare a discutere di lavoro e di modelli di sviluppo diversi capaci di dare anche una prospettiva di futuro alla nostra comunità. Capire come riuscire a creare ricchezza e reddito provando ad andare in direzione di modelli di sviluppo che sono sempre stati bloccati dalle varie forme di prevaricazione della grande industria, delle lobby..siamo in una fase embrionale ma immaginiamo delle possibilità.
C’è anche la questione del turismo, ma sappiamo bene che anche gentrificazione e turistificazione poi in realtà vadano a scapito della popolazione. Su questo pure stiamo provando a confrontarci, a lottare contro la spopolazione possibile del centro storico, all’imposizione di altre forme di controllo sulla città. Pure la retorica della preservazione dei beni culturali del turismo, va pensata a partire dal fatto che il primo bene culturale è la persona stessa e che la distruzione dell’ambiente in sé è un attacco alla cultura e alla ricchezza culturale della città di Taranto. Il quattro maggio sarà un momento in cui iniziare a dire: fermiamoci e cambiamo prospettiva.
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