14N Firenze. Tremila in corteo, città bloccata
La giornata di lotta è iniziata poco dopo le otto di mattina, quando occupanti di case e famiglie in emergenza abitativa hanno iniziato a bloccare via Corridoni e via Mariti all’altezza di piazza Dalmazia. Requisizione delle case sfitte a banche e speculatori, abolizione dell’art.5 e approvazione urgente di una delibera comunale sul diritto di residenza per chi vive negli stabili occupati, oltre all’utilizzo delle risorse destinate a grandi opere per garantire casa e reddito per tutti: queste le istanze sollevate.
Dopo circa un’ora i lavoratori in sciopero dell’ospedale di Careggi hanno raggiunto il blocco. A questo punto occupanti, sfrattati e lavoratori sono partiti in corteo attraversando i viali alla periferia nord della città. Altri blocchi al Ponte di Mezzo, in viale Redi e sul ponte di piazza Puccini, prima di raggiungere il concentramento del sindacalismo di base.
Un migliaio di studenti, invece, si sono concentrati in piazza San Marco insieme ai lavoratori della scuola. Da lì è partito un corteo che ha voluto esprimere il rifiuto per un modello di società basato su autoritarismo, precarietà e lavoro gratuito sostenuto tanto dalla “buona scuola” quanto dal “jobs act”. Prima di invadere i viali di circonvallazione del centro, gli studenti hanno sanzionato un’agenzia interinale – per dire “no!” a un futuro di sfruttamento – e il Tribunale dei Minori, emblema non solo della repressione contro le lotte degli studenti ma anche dell'(in)Giustizia di Stato che si accanisce sui deboli e garantisce impunità ai poteri forti e alle divise.
Alle dieci e mezzo duemila persone sono partite da piazza Puccini in direzione Porta a Prato per ricongiungersi col corteo degli studenti medi e continuare insieme a paralizzare il traffico cittadino. Alcune banche sul percorso sono state sanzionate. Al centro della manifestazione l’opposizione al “jobs act”. Il corteo ha visto uniti lavoratori in sciopero, disoccupati, occupanti, famiglie sotto sfratto, movimenti e comitati contro la devastazione del territorio e la svendita del patrimonio pubblico: tanti soggetti che hanno portato in piazza una critica a trecentosessanta gradi verso le politiche PD targate Renzi, dal lavoro alla casa, passando per la messa a lavoro dei territori contenuta nello “Sblocca Italia” e le privatizzazioni.
Il traffico cittadino era già in tilt quando i due cortei, una volta unitesi, hanno bloccato Porta a Prato, per poi ripartire insieme verso Confindustria e sanzionarla con petardi e scritte: “Da Terni a Livorno lavorare tutti per lavorare meno. No al jobs act!”. Invece di terminare in piazza Bambine Bambini di Beslan, la manifestazione ha invaso i viali attorno alla Fortezza da Basso terminando nel migliore dei modi una giornata di lotta che è riuscita a mantenere la promessa fatta: “contro il governo Renzi… blocchiamo tutto!”.
Lo sciopero sociale di oggi è riuscito oltre ogni aspettativa a essere occasione di mobilitazione e spazio di ricomposizione per i diversi soggetti sociali che oggi vivono la crisi in termini di impoverimento e sottrazione di diritti. Quello del numero non è l’unico dato positivo che la giornata ci restituisce. Il carattere meticcio della mobilitazione, che ha visto italiani e migranti, lavoratori e disoccupati, studenti e giovani precari uniti nel rivolgere un attacco comune verso i piani alti della gerarchia sociale, rappresenta una qualità preziosa in un momento in cui la governance punta su differenziazione e razzismo per cercare di prevenire l’insorgenza sociale possibile che cova in diversi corpi sociali e periferie metropolitane. Periferie che la manifestazione di oggi ha saputo attraversare e scuotere, comunicando con le parole e con i fatti la necessità e la possibilità di un’opposizione sociale autonoma alle politiche dei sacrifici: è questo, d’altronde, il compito che ogni progetto antagonista deve riuscire a praticare quotidianamente, sporcandosi le mani e assumendosi dei rischi. In questo senso, la giornata di oggi non può essere che vissuta come un passaggio, un altro ottimo passaggio.
La decisione di scommettere collettivamente su una giornata che assumesse la pratica del blocco come indicazione comune, rifiutando un terreno di pura auto-rappresentazione, ha pagato. Soprattutto nei termini in cui l’incrociarsi e il congiungersi dei blocchi e dei cortei ha permesso che diversi segmenti di una classe frammentata si riconoscessero reciprocamente come alleati naturali e necessari.
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