Acta est fabula: plaudite! Sullo sgombero dell’ex Penicillina a Roma
Come già annunciato da mesi, nella mattinata di oggi è stata sgomberata l’ex fabbrica di Penicillina LEO a Roma, sulla via Tiburtina. L’edificio era occupato da centinaia di persone, dalla provenienza geografica più disparata e in condizione di totale esclusione sociale, che erano uscite dal circuito dell’accoglienza o che semplicemente non potevano permettersi un alloggio dignitoso.
Situata fra i quartieri di Ponte Mammolo, Tor Cervara e San Basilio, la fabbrica della LEO, fiore all’occhiello dell’industria farmaceutica italiana, fu inaugurata nel 1950 alla presenza di Sir Alexander Fleming, l’inventore della penicillina. Nel 1971, a seguito di numerose mobilitazioni ed occupazioni degli operai per scongiurare un blocco di licenziamenti nell’epoca d’oro delle lotte proletarie sulla Tiburtina, la fabbrica fu ceduta alla ISF s.p.a. La produzione continuò fino al definitivo abbandono nel 1990, che lasciò la struttura al suo destino. Nei primi anni 2000 una catena di hotel sembrava intenzionata a rilevare lo stabile e iniziò i primi lavori di rifacimento strutturale; tuttavia gli elevati costi di bonifica, legati alle notevoli quantità di amianto e residui chimici presenti sul posto, indussero la nuova proprietà a bloccare il progetto. La catena alberghiera rinunciò all’impresa e iniziò un contenzioso con la ditta costruttrice che si concluse col pignoramento del fabbricato e dell’area circostante. Il Comune di Roma negli anni seguenti cercò di rilevare e valorizzare l’area, ma la mancanza di fondi e il necessario esborso per la bonifica fecero desistere qualunque iniziativa in proposito. L’immobile, nonostante la sua pericolosità sia a livello strutturale che in termini di salute pubblica, è tuttora di proprietà privata.
Nel corso degli anni numerose sono state le proteste e le segnalazioni da parte delle realtà del territorio che denunciavano l’assurdità della presenza di un ecomostro simile, peraltro su una consolare così importante come la Tiburtina. In un quadrante già pesantemente condizionato dall’emergenza abitativa, dal consumo di suolo e dall’invasione di casinò e sale slot, l’esigenza espressa realtà del territorio era quella di una bonifica, di una riconversione e riqualificazione dell’area dell’ex LEO per destinarla a scopi sociali, culturali, sportivi o abitativi. Un’operazione che avrebbe dovuto prevedere anche particolare attenzione agli occupanti dello stabile, molti dei quali provenienti da altri sgomberi effettuati nella zona come la baraccopoli di Ponte Mammolo nel 2015, via Vannina nel 2016 e nel marzo di quest’anno.
Tutte le richieste sono, ovviamente, rimaste inascoltate. L’ex Penicillina è stata già più volte sgomberata senza prospettive e rioccupata dopo pochi giorni, l’ultima volta all’incirca un anno fa. La modalità era sempre la stessa, già vista parecchie volte sia sulla Tiburtina che altrove: sgombero a fini propagandistici, gente in mezzo alla strada senza alternative, emergenzialità creata ad hoc. Un inutile teatrino di cui abbiamo visto più volte la replica nel corso degli anni, a prescindere dal colore dell’amministrazione, che, tra le altre cose, ha fornito perfetti assist alle formazioni neofasciste per la loro infame campagna di fomento della guerra tra poveri, fortunatamente poco attrattiva a causa della comprovata incapacità dei fascistelli nostrani di intestarsi qualsiasi spazio politico. Un modo, in ogni caso, per distogliere l’attenzione dai veri problemi dei quartieri tiburtini: disoccupazione, precarietà, spaccio, sfratti, carenza di spazi di cultura e socialità. Anche stavolta, come in passato, lo sgombero si è attuato senza soluzioni per gli sgomberati e senza prospettive per il futuro dello stabile. Alcuni edifici delle zone limitrofe sono già stati occupati, le non-soluzioni del Comune hanno, giustamente, spinto buona parte degli occupanti a trovare autonomamente soluzioni alternative. Le persone si spostano, il problema rimane. Si parla di generiche messe in sicurezza e progetti di riqualificazione, ma all’atto pratico sono solo chiacchiere. Staremo a vedere nei prossimi mesi quali saranno le reali intenzioni dell’amministrazione comunale e municipale sulla destinazione dello stabile.
Ci sono, però, in quest’occasione, due dati politici che emergono chiari. Il primo riguarda il governo, l’amministrazione comunale, la questura: insomma la controparte in senso ampio. Al di là delle contingenze territoriali, lo sgombero si inserisce all’interno di una strategia di più ampio respiro. Nella sua dichiarazione di guerra alle occupazioni abitative, l’esecutivo giallo-verde sta iniziando a fare “pulizia” dalle situazioni più estreme, non organizzate, poco propense alla resistenza attiva e con forte presenza migrante. In due parole, facilmente spendibili sul piano pubblico: dichiarazioni ai giornalisti, applausi sui social, passerella di selfie per politicanti di serie C come di serie A, da Salvini alla presidente del Municipio Della Casa. Non c’è volontà, almeno per il momento, di scontrarsi frontalmente con realtà che potrebbero scatenare casi mediatici e problemi di un certo peso, come accaduto a Piazza Indipendenza. Il governo, prima di procedere all’attacco delle situazioni più strutturate, lavora su tre livelli. Il primo è indebolire chi lotta per il diritto all’abitare attraverso la criminalizzazione dell’atto stesso di occupare un immobile, già iniziata con il Piano Casa di Lupi, che arriva a definire, all’interno della circolare Salvini, l’occupazione come un atto eversivo. Il secondo è mostrare una finta apertura alle istanze degli occupanti attraverso l’infame meccanismo delle cosiddette “fragilità”, il cui unico scopo è quello di normalizzare gli sgomberi e dividere gli sgomberati a fronte di soluzioni mai definitive, come i Sassat (i sostitutivi dei residence) o le case famiglia. Il terzo, ma non ultimo, livello è “lavorare ai fianchi” l’opinione pubblica, già fortemente sensibile alle tematiche iper-legalitarie e anti-migranti. In questo senso, l’opera di screditamento avviene assimilando tutte le occupazioni abitative ad esempi estremi come quello dell’ex Penicillina, dove le condizioni di vita disumane e l’eterogeneità della composizione sociale avevano determinato un contesto esplosivo, finito più volte sui giornali per episodi di cronaca. Una dinamica molto simile, senza andare tanto lontano, a quella vista a San Lorenzo con l’episodio di Desireè, oppure al processo in atto già da tempo sulle case popolari, dove si giustificano gli sfratti indiscriminati mettendo nello stesso calderone i furbetti col porsche e chi realmente non ha la possibilità di pagare un affitto. Il dito, come al solito, è ben più grande della luna. D’altronde, almeno su Roma, la giunta Raggi e l’assessore alle Politiche Abitative Castiglione lo hanno detto più volte: si ragiona sul piano tecnico, non politico. Chi è fuori dalle regole, quindi, è in torto a prescindere, senza eccezioni. Lo sgombero di stamattina dimostra che la controparte si sente forte, anche più di quanto realmente sia, e lo fa vedere mostrando i muscoli sia militari che mediatici: da giorni circola l’ordinanza della questura, tutti sapevano giorno e ora dell’operazione, lo spiegamento di forze dell’ordine è stato di un’imponenza raramente vista da queste parti.
E veniamo qui al secondo dato politico della giornata. A fronte di un problema così grande e presente da anni sul quadrante tiburtino, si è dimostrata un’assoluta incapacità di cogliere la sfida. Il risalto mediatico e l’assoluta ipocrisia con cui si continua a trattare il caso dell’ex fabbrica LEO poteva essere un’ottima occasione per far saltare il lauto banchetto a cui tutti si stanno sedendo in queste ore. E’ mancata, ancora una volta, quella spinta in più a far esplodere le numerose contraddizioni del caso, dall’inutilità degli sgomberi alla devastazione ambientale, dal circuito dell’accoglienza alla gestione dell’ordine pubblico, dalla continuità dell’amministrazione M5S con quella del PD alle forti problematiche dei quartieri tiburtini. E’ mancata, ancor di più, la capacità di far uscire la vertenza dal circo mediatico e dalle stanze dei bottoni, di organizzare una resistenza, di portare la contraddizione dai social alla strada, di creare un processo realmente partecipativo sul destino dell’ex Penicillina. La controparte si è sentita talmente sicura da annunciare con largo anticipo lo sgombero, bloccando un’arteria fondamentale come la Tiburtina per un’intera mattinata. Al di là di come si articolerà il futuro dello stabile sgomberato, si parte già da una sconfitta: la totale assenza di mobilitazione, la mancata soggettivazione e attivazione attorno ad un tema così caldo, sia dal lato degli occupanti che degli abitanti del territorio, segnano il tempo della fase politica in corso, a Roma in primis.
Eppure, nonostante tutto, sul piano complessivo siamo ancora agli inizi di una partita a scacchi che si annuncia lunga e complessa. La battaglia, sulle occupazioni come su tanto altro, è appena iniziata; non è la prima volta che capita negli ultimi anni, non sarà neanche l’ultima. La resistenza è possibile, forse anche il contrattacco? Il primo passo potrebbe essere la comprensione dei punti deboli della controparte. La manifestazione leghista dell’8 dicembre è stata un evento di massa, ma ha dimostrato ancora una volta la fallacità e le divisioni della compagine di governo. Preso per assunto il medio consenso di cui gode l’esecutivo giallo-verde, siamo sicuri che tale consenso sia così totalizzante? Siamo sicuri non ci sia una fetta, più o meno ampia, di composizione sociale che si riesca ad aggregare sulle false promesse del governo Lega-M5S senza compromissione con i relitti della sinistra istituzionale? Siamo sicuri che la gran parte dell’adesione all’esecutivo non sia semplicemente l’ultimo, estremo tentativo elettorale di seppellire i partiti tradizionali, senza una vera condivisione a 360°? Siamo sicuri che quella percentuale tutta gialla nelle cartine del voto alle politiche non sia trasformabile in qualcos’altro?
Le risposte sono tutte da scoprire e le troveremo solo nella messa a verifica. Una cosa è certa: la dimensione odierna dei cartel parties, dell’economia finanziarizzata, dell’industria 4.0 determina processi molto più rapidi del passato. Quelle che fino a poco tempo fa erano le architravi del sistema politico sono già diventate pezzi di storia, nello Stivale come nel resto del mondo. Si possono scegliere due strade: continuare a perpetrare dinamiche di auto-rappresentazione e riproduzione di sé stessi, magari anche con qualche piccolo successo capace di garantire la sopravvivenza, ma con assoluta inefficacia nei processi reali; oppure tentare strade mai battute, uscire dal seminato per calarsi a pieno, non senza contraddizioni, nella confusione che regna sovrana, senza prospettive certe ma con la volontà di oltrepassare lo steccato dell’autoreferenzialità. A condizione, però, di non partire sconfitti né intimoriti: il pericolo non si vince mai senza pericolo.
L’ex Penicillina è stata sgomberata, il circo mediatico si è attivato, la strada è ancora lunga. Acta est fabula, lo spettacolo è finito, anche se qui c’è poco da applaudire, e molto da fare.
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