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Bertone, la terza guerra di Marchionne

 

Si ricomincia: urla e lacrime, bandiere e insulti, litigi e psicodrammi davanti ai cancelli di una fabbrica. Ieri è successo di tutto. L’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha aperto la sua “terza guerra contrattuale”. Forse ci sarà un nuovo referendum, ma le polemiche sono già iniziate.

Di nuovo “il contratto Pomigliano” proposto in un’azienda, un’offerta “prendere o lasciare”, con la Fiat che dice: “Accettate le nuove regole o ce ne andiamo”. E di nuovo una complessa partita a scacchi con gli operai: sui diritti, sulla produzione, sulla qualità.

Con due sole grandi varianti. La prima: questa volta la Fiat sceglie una fabbrica-simbolo, la più rossa d’Italia, dove la Fiom, ha il 65 per cento (perché?). La seconda: questa volta in gioco non c’è una struttura dove regna l’assenteismo, ma uno stabilimento in cassa integrazione da sei anni che però è un marchio di eccellenza assoluta, dove le mancate presenze non hanno mai superato il 4 per cento (meno della metà del tasso medio piemontese). E dove gli operai – pur di lavorare – hanno accettato di essere “prestati” ad altre società (che senso ha, qui, la battaglia per l’iperproduttività? Lo vedremo presto). Infine, l’ultimo paradosso: questo ennesimo scontro fra Marchionne e la Fiom si celebra dentro impianti contesi dai grandi marchi per produrre le loro vetture di lusso, e che la Fiat ha comprato nel 2009 dai commissari per soli 20 milioni di euro, impegnandosi a investirne 50 e a produrre due modelli: sono passati due anni e, per ora, non sono arrivati né i primi né i secondi.

Ieri queste incrostazioni e queste contraddizioni sono esplose tutte insieme, quando i 1.100 lavoratori si sono riuniti in assemblea plenaria per votare un documento in vista del prossimo incontro con i manager Fiat, programmato per lunedì. A stragrande maggioranza, le tute blu della Bertone hanno approvato il documento della Fiom, che offre alla Fiat di rinunciare al “contratto Mirafiori” in cambio di autoregolamentazione e monitoraggio del tasso di assenteismo. Un voto prevedibile: nelle elezioni della Rsu i delegati della Cgil sono stati 10, mentre Uilm, Fim e Fismic (il sindacato aziendale) si sono spartiti solo 5 seggi (1 a testa e 3 Fismic). Così, a fine assemblea è esplosa la tensione: chi accusava Fim e Uilm di fare il gioco del “canadese”, chi, come Cono Meluso, del Fismic, attaccava: “È vero, la Fiat aveva preso un impegno, nel 2009. Ma se ora la Cgil dice no al nuovo contratto e la Fiat se ne va, noi che ci guadagniamo?”. Un operaio Fim, Pasquale Borraccia, grida alla sua segretaria: “Non ci tutelate, quel contratto fa schifo!”.

L’accordo del 2009 era questo: produrre “due modelli Chrysler”. Ma nell’ultimo colloquio il piano è cambiato: “Ora – dice Margot Calliero, della Film – qui vogliono una Maserati”. Anzi, la cosiddetta “Maseratina”: una nuova vettura che sfrutta il marchio di ultralusso, ma che dovrebbe costare 40-50 mila euro, come una Mercedes: “Ne venderemo 50 mila”, ha annunciato Marchionne. Gli uomini della Cgil sono più prudenti: “Io stapperei lo champagne – spiega Giacomo Zulianello – però l’anno scorso la Maserati ha venduto 5.817 vetture. Quante possibilità ci sono di aumentare il fatturato del 1000 per cento?”.

Spiega un’operaia, Monica Voltàn: “In questi anni, pur potendo restare in cassa integrazione, molti, fra cui io, abbiamo scelto di alzarci alle tre e mezzo del mattino per andare a lavorare in Pininfarina a Baio. Pullman all’andata e al ritorno, a casa alle 16.30. Non capisco: perché dovremmo rinunciare alla pausa pranzo?”. Spiega un altro operaio, Antonio Mengoni: “Il pasto a metà turno è importante per questo: molti si alzano già alle 4 per venire in fabbrica, alle undici e mezza sono già in piedi da sette ore!”.

Se apri la giacca a vento di Michele Pandiscia, questa storia la trovi plasticamente rappresentata, a strati: sopra il giaccone verde marchiato Pininfarina. Poi la giacchetta blu Bertone. Sotto ancora il camicione della Sevel. La stratigrafia di una piccola odissea in giro per l’Italia alla ricerca del lavoro. Già. Perché gli operai Bertone sono un’eccellenza. E perché molti di loro sono arrivati fino alla Sevel, in Abruzzo (in cambio di una diaria aggiuntiva di 60 euro) pur di non restare fermi. La Bertone è stata l’alta moda dell’automobilistica: ha lavorato per Fiat, Opel, Volvo, e persino per Bmw (tiratura limitata full price della Mini Minor.) Dicono che qui ci sia il miglior reparto verniciatura d’Europa, un impianto di alta professionalità, perfettamente interconnesso alle arterie di ferroviarie e autostradali. E allora, a cosa serve il pugno di ferro?

“Questo – spiega Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom – era l’atelier della macchina. Il gioiello europeo: qui le carrozzerie si chiamano, non a caso, ‘abbigliamento’. Questa trattativa può essere il terzo atto di un muro contro muro con Marchionne che non porta da nessuna parte. Oppure l’occasione per costruire un nuovo percorso condiviso. Forse – prova a ipotizzare Airaudo con un sorriso – lo scopo di Marchionne è quello di farsi bocciare il piano, per dire che sono stati i lavoratori a non volerlo? Spero di no”. Margot Calliero a questo interrogativo scuote la testa: “E allora? Io ho paura che la Fiat dica: ‘Arrivederci e grazie’. In ogni caso, se la Fiom dice no, noi non firmeremo accordi separati in una fabbrica dove loro hanno la maggioranza. Ma anche la responsabilità”.

Nel 2009, dopo una lunga trattativa, Marchionne era riuscito a spuntarla sulla Rossignolo. Il veterano dell’industria piemontese era andato in fabbrica a spiegare cosa voleva fare. Aveva entusiasmato gli operai. Ma la scelta dei commissari che amministravano l’azienda dopo la morte del vecchio Bertone era caduta sulla Fiat. Ed è su questo che gli uomini della Cgil si impuntano . “Noi – spiega Zulianello – non siamo come Mirafiori. Qui un accordo lo abbiamo già firmato. La Fiat ha avuto la Bertone per due lire perché aveva detto che avrebbe prodotto. Sono loro che devono onorare i patti, stavolta: noi abbiamo già fatto l’impossibile per salvare l’azienda e lavorare”. Ma forse la strategia della Fiat ha due possibilità di vittoria: se sarà bocciata potrà dire che è colpa del sindacato. E se vincerà potrà andare negli stabilimenti che mancano vantando di aver battuto la coppia degli “indomabili” Landini e Airaudo. La partita a scacchi ha come posta il futuro dell’auto in Italia. Chi la spunterà?


Da Il Fatto Quotidiano

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