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Concorso San Camillo: “Iniqua e discriminatoria” è l’obiezione di coscienza in sè

L’obiezione di coscienza in campo medico è un concetto sbagliato, e non solo perchè oramai in ambito ginecologico è diventata strutturale, impedendo di fatto l’accesso al servizio IVG (interruzione volantaria di gravidanza), ma perchè la scelta di un professionista sanitario collide con le scelte della persona che ha bisogno della prestazione sanitaria. Si tratta di omissione punto e basta. Dovrebbe chiamarsi così e quindi dovrebbe essere impedita. Nel sistema ospedaliero, figlio della tradizione delle istituzioni totali, patriarcali per natura, in cui il paziente è un corpo su cui il medico agisce per lui, la Legge 194 non poteva che essere svuotata di tutto.

Eppure l’aborto è considerato una questione sanitaria dall’avvento della medicina moderna. E’ un fenomeno presente in tutte le società e in tutti i tempi, non può essere impedito (al contrario di quanto immaginato dalla deputata Adriana Seroni del PCI, che quando si discuteva in parlamento la 194 disse “una buona legge deve portare non alla libertà dell’aborto ma accompagnare il paese verso la libertà dall’aborto”) e ancora oggi, come l’OMS dice in ogni report, di aborto-non-sicuro (Unsafe abortion) muoiono ancora 47.000 donne all’anno e più di 20 milioni di aborti-non-sicuri vengono praticati ogni anno (di cui la stragande maggioranza in paesi in via di sviluppo).[1]

Se l’obiezione fosse considerata omissione e non ci si arrovellasse a trovare escamotage per mettere le pezze a un articolo sbagliato della legge (con l’isituzione di percentuali di non-obiettori/obiettori, concorsi ad hoc, ecc), un servizio che dovrebbe essere garantito e che di fatto l’esperienza italiana ci ha insegnato non esserlo proprio per questo fardello dell’obiezione, sarebbe eseguito al pari di qualunque altra prestazione sanitaria. Che diritto è quello di professare il proprio credo per quell’operatore sanitario che con la sua condotta impedisce di tutelare la salute di una donna che ha bisogno di un servizio sanitario? Il diritto di gravare ancor più sulla sua salute?

In qualsiasi altro ambito ospedaliero, uno dei grandi timori del personale sanitario è proprio quello dell’omissione (chiamasi tutelarsi da eventuali denunce) e in senso lato, si traduce spesso in vero e proprio accanimento terapeutico. Non è raro sentire un operatore sanitario in un reparto di degenza dire, riguardo persone pluripatologiche o prossime alla morte, “a mia madre anziana non farei mai così, ma se non si prova a intervenire magari scatta la denuncia dei parenti”.

Mentre la malattia è un accidente che nessuno vorrebbe, la scelta di un’IVG è una colpa da scontare. Eppure la scelta di interrompere una gravidanza è un accidente a cui certo nessuno anela e che ci si trova ad affrontare con la lancetta dell’orologio che corre verso il limite dei 90 giorni.

Se si rimuovesse la possibilità di obiezione abrogando per prima cosa l’art.9 della 194, si eviterebbero semplicemente i costi enormi che la possibilità di scelta definita “etica” di un sanitario produce sulla salute di quelle donne che vogliono interrompere la gravidanza. L’articolo 9 è la marchetta pagata al vaticano, il compromesso tra cattolici e laici che nella seconda metà degli anni Settanta si chiamava aborto e divorzio, ma poteva chiamarsi concordato, o governo del paese. Laura Conti nel 1981, anno in cui un Referendum fece nuovamente esprimere gli italiani sull’aborto (mantenendo in vigore quindi la 194) disse “contrariamente a quanto si ritiene, non è una legge che consente l’aborto. È una legge che lo vieta, salvo che in certe circostanze”.[2]

Il sistema ospedaliero altro non fa che recepire tutte le disposizioni del pensiero dominante (sessista e patriarcale) e riproporle nella pratica direttamente sul corpo dei pazienti/utenti. Così, il servizio di fecondazione assistita riceve finanziamenti e ha strutture all’avanguardia, mentre il servizio IVG si trova nei seminterrati, negli angoli delle strutture e a malapena si chiama INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA. Al Policlinico Umberto I si chiama Unità Operativa di Piccola Chirurgia – IVG. Si trova nell’ultima stanza in fondo al corridoio. Nel percorso degli specializzandi di medicina non è obbligatorio fare tirocinio lì, tanto quanto non lo è per il corso di ostetricia. Di conseguenza in quasi tutti i poli universitari di Roma (primi fra tutti il Campus Biomedico e il Sant’Andrea, “obiettori per struttura”, oltre al Policlinico Tor Vergata dove nemmeno esiste il servizio IVG) non si insegna il metodo Karman[3] e i giovani medici crescono, di fatto, obiettori, quando non si dichiarano direttamente tali, ossia quando misteriosamente, nello scegliere il percorso di ginecologia si accorgono tutti di essere profondamente pro-life. Che l’obiezione sia strutturale anche perchè così viene garantita un certo tipo di carriera è chiaro, ma i numeri per il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin ancora dicono che di non-obiettori ce ne sono abbastanza in Italia.

La legge prevede che si può obiettare sull’atto in sè, ma non si può impedire tutto il percorso che porta all’interruzione. Ciò vuol dire che, al massimo, solo chi effettua la metodica chirurgica di aspirazione e asportazione del prodotto del concepimento (e non chi deve preparare la sala operatoria, chi deve eseguire l’anestesia, chi deve spostare barelle), può decidere “per sua coscienza” di non farlo. Questo è deviante, e infatti l’obiezione di coscienza è divenuto un fenomeno strutturale. Ma che coscienza è quella che impedisce un servizio sanitario come altri?

Il fatto che i servizi IVG non siano veramente garantiti, ha un elevato costo monetario (aldilà del considerare chi nel pubblico si dichiara obiettore e poi spalanca le porte delle proprie cliniche private) e costo umano. Per colpa dell’obiezione di coscienza accadono vari fenomeni che le statistiche ufficiali non intendono considerare, a testimonianza che i numeri utilizzati, non solo non parlano del dramma delle persone, ma non identificano nemmeno il problema:

numero totale IVG su numero dei non obiettori: non vuol dire che il servizio è garantito a tutte!

La ministra Lorenzin per sostenere che il servizio in tutta Italia è garantito si basa sulla relazione parlamentare prevista dalla 194 che viene fatta ogni anno. Questa relazione non considera però i numeri per regione, non considera gli spostamenti tra strutture dei ginecologi-martiri dell’IVG e delle donne costrette ad andare in altri ospedali; non considera che se una struttura – dove magari vi è un solo operatore – può effettuare solo un piccolo numero di interventi, quelle donne devono magari recarsi nei grandi centri, a Roma principalmente il San Camillo, oggi oggetto di tutte le critiche.

aumento aborti clandestini

Le statistiche dell’Isituto Superiore di Sanità sostengono che ogni anno in Italia siano circa 15.000-20.000 gli aborti clandestini. Peccato che queste statistiche si basano su modelli matematici che considerano il tasso di fecondità e i modelli di riproduzione. Non considerano certo il fatto che, lasciati i ferri da calza e i tavolacci da mammane (di cui ciclicamente ne esce però notizia di cronaca), oggi si può abortire senza alcuna assistenza medica comprandosi il Cytotec. Questo medicinale si può comprare online con ricetta come farmaco per patologie gastriche in stazione e spesso è fatto ingoiare a forza dal proprio magnaccia. Escono articoli scandalo sui kit aborto fai-da-te e poi, quelle donne che hanno la sfiga di finire in ospedale con una grave emorragia perchè appunto hanno praticato un aborto-non-sicuro, vengono catalogate come “aborto spontaneo” e non come “interruzione volontaria di gravidanza”. In questo modo la ministra Lorenzin può dire che, alla fin della fiera, il numero delle donne che vogliono abortire è proporzionale al numero dei ginecologi non obiettori. Peccato che i numeri del Parlamento non considerano la “richiesta” di IVG ma soltanto il numero di IVG effettuato in ospedale.

Ancora oggi sull’assunzione dei medici non-obiettori al San Camillo, il Vaticano di esprime con posizioni che guarda caso coincidono con quelle della ministra Lorenzin, tanto quanto nel 1978 sull’articolo 9 si è giocato il compreomesso tra Pci e Dc sulla pelle dei movimenti ossia quando è stato ceduto poco per non cedere tutto. Il tutto era l’aborto libero, gratuito e sicuro senza che nessuno potesse scegliere al posto delle sonne.

 


[1] http://www.who.int/reproductivehealth/topics/unsafe_abortion/en/

[2] Laura Conti. 1981. Il tormento e lo scudo. Un compromesso contro le donne. Mazzotta editore

[3] Il metodo Karman è un metodo chirurgico usato per togliere con l’aspirazione il prodotto del concepimento. Le femministe negli anni ’70 se lo insegnavano tra di loro (usando le pompe della bicicletta o altri strumenti). Sostanzialmente l’aborto si effettua entrando nell’utero con una “cannuccia” e aspiranso. Questo è il metodo Barman. La pillola ru486, invece, provoca delle contrazioni nell’utero così che il feto viene espulso da solo.

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