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I licenziamenti mascherati di Foodora

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“La nostra colpa”, racconta Ilaria, una delle due lavoratrici, “è aver partecipato alle riunioni informali in cui i rider hanno discusso delle loro condizioni di lavoro”. Riunioni culminate con la protesta di sabato scorso a Torino. La causa della protesta per i riders e’ stata il cambiamento delle modalità di retribuzione dei lavoratori da un contratto a chiamata con paga orario, già di per se estremamente precario, a un contratto a cottimo sulle consegne effettuate; questo cambiamento non avrebbe riguardato le promoters, ma lavorare nella stessa azienda, per quanto dislocata e dispersa possa presentarsi, porta talvolta a porsi qualche questione di possibile solidarietà, o per lo meno interesse su cosa accade ai propri colleghi. I dirigenti di Foodora hanno voluto rendere chiaro, con questo gesto, che nessuna e nessuno può permettersi di alzare la testa, nemmeno per guardarsi attorno. Il quadro che ne emerge e’ di una condizione lavorativa di estremo ricatto e disciplinamento, sicuramente non si discosta da molte altre situazioni lavorative odierne in Italia.

Nonostante il ricatto, i lavoratori e le lavoratrici di Foodora proseguono la protesta; per i prossimi giorni e’ previsto un appuntamento a Milano con i lavoratori del capoluogo lombardo, e molti ristoranti del Torinese stanno cominciando a dichiarare pubblicamente di non volersi più avvalere dei servizi dell’azienda di food delivery. Gli stessi esponenti della giunta comunale torinese si trovano a dover prendere posizione sulla questione, ormai alle cronache della stampa da troppi giorni. Da notare infine il tentativo del ministro Poletti di infilarsi sul carro della protesta, che con faccia di bronzo manda solidarietà ai “lavoratori in bicicletta”, tentando di deresponabilizzare il proprio ruolo ed il governo di cui fa parte delle condizioni lavorative che i riders si trovano ad affrontare (usando, curiosamente, l’aggettivo “complesse”).

 

 

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