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I malati di Sla, le proteste di piazza e quei metodi non condivisi da tutti

La morte di Raffaele Pennacchio colpisce duramente il “Comitato 16 novembre”, realtà che in neppure tre anni di vita si è conquistato un ruolo importante nel confronto con le istituzioni puntando tutto su una strategia molto distante da quello delle principali associazioni

ROMA – Che le iniziative di protesta organizzate dai malati di Sla del “Comitato 16 novembre” potessero portare a conseguenze gravi lo avevano messo in conto loro per primi, alle prese ormai da anni con scioperi della fame, presidi in piazza, distacco dei respiratori. Situazioni al limite che hanno sempre caratterizzato le modalità di azione di questo comitato nato quasi dal niente come semplice rete informale di persone (malati di Sla, familiari e amici) e poi cresciuto, anche grazie al passaparola sui social network, al punto tale da esser riuscito più volte, in poco meno di tre anni di vita, a mettere con le “spalle al muro” i rappresentanti dei governi via via succedutisi in questo tempo.

Abituati alle proteste estreme, non immaginavano certo che la morte potesse cogliere uno di loro, il medico campano Raffaele Pennacchio, al termine di una giornata che si andava chiudendo con l’innegabile soddisfazione per i risultati raggiunti, messi nero su bianco da un comunicato congiunto di ben tre ministeri, il Welfare, la Salute e l’Economia. C’era l’impegno ufficiale del governo ad aumentare il Fondo per non autosufficienza nella legge di stabilità e a mantenere il vincolo del 30% della somma a favore delle disabilità gravissime, inclusa la Sla, ma c’era anche e soprattutto il “cavallo di battaglia” storico del Comitato, quello dell’assistenza domiciliare delle persone non autosufficienti. Che si traduce in mettere a disposizione fondi per consentire ai malati che lo vogliono di continuare a stare in famiglia, senza essere trasferiti in quelle strutture, come le Rsa, che fanno loro perdere il senso del calore domestico e che peraltro costano alla sanità pubblica cifre molto più ingenti di quelle che sarebbero necessarie per un buon servizio domiciliare.

Sono concetti che quelli del “Comitato 16 novembre” ripetono da tempo e che hanno trasferito nel dibattito pubblico e politico con la loro impronta particolare, quella di una durezza e di una crudezza rivendicativa in qualche modo sconosciuta – o quanto meno poco praticata – all’interno del vasto mondo associativo delle persone con disabilità. Un anno fa, proprio di questi tempi, di fronte alla legge di stabilità del governo Monti il “Comitato 16 novembre” attuava uno sciopero della fame e dei farmaci con decine e decine di malati di Sla e altre patologie invalidanti, con un’eco mediatica di non poco conto. “Se protestare non serve, allora non resta che gridare la propria lotta con forme estreme: quando si è varcata la soglia della vita oltre quella che sarebbe il termine naturale della vita stessa, la morte non fa più paura”, scriveva il medico piemontese Alberto Damilano, malato di Sla. “Non abbiamo paura di morire”, minacciavano dal Comitato scendendo in piazza senza ventilatori polmonari di scorta: “Se non avremo risposte, dopo 5-6 ore si scaricheranno le batterie e moriremo per soffocamento”.

Un approccio, questo, quanto mai distante dalle modalità scelte invece dalle due federazioni principali (Fand e Fish), rappresentative della gran parte delle associazioni di persone disabili e loro familiari, che in questi stessi anni di lotta hanno più convintamente intrapreso la strada del rafforzamento dell’interlocuzione con il mondo della politica, con la partecipazione a tutte le iniziative ministeriali, lasciando le (normali) manifestazioni di piazza come rara e ultimissima istanza. E optando per un approccio di sistema, in cui la questione della disabilità viene inserita in quella più generale delle politiche sociali: “Non è efficace battersi solo sulla disabilità, dobbiamo batterci con tutti e per tutti”, argomentava il presidente Fish Pietro Barbieri di fronte ai cospicui tagli al welfare.

E’ una differenza di impostazione che sotto traccia ha causato anche qualche incidente diplomatico (“Che cosa hanno fatto Fand e Fish perché non si arrivasse fino a questo punto? Noi non ci sentiamo tutelati da nessuno“, dicevano un anno fa dal “Comitato 16 novembre” nei giorni dello sciopero della fame) e che, seppur nell’attenzione per le rispettive posizioni, è ancora presente.

Proprio ieri, subito dopo la conclusione dell’incontro al ministero dell’Economia, l’Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, aderente alla Fish), che rappresenta la più grande organizzazione dei malati di Sla in Italia, ribadendo che la “sede istituzionale più idonea” per avanzare le proprie istanze è rappresentata dal tavolo tecnico di lavoro presso il ministero della Salute insediatosi già a luglio, faceva notare che gli esponenti del governo incontrati dai manifestanti del “Comitato 16 novembre” (il viceministro Guerra e i sottosegretari Baretta e Fadda) “hanno semplicemente ribadito la disponibilità ad affrontare quelle stesse  priorità già individuate lo scorso 31 luglio, che come da accordi nel merito si era già cominciato ad esaminare lo scorso 9 ottobre durante l’incontro del tavolo tecnico ministeriale a cui era presente solamente Aisla in rappresentanza dei malati di Sla e dei loro familiari”. E che un successivo incontro sui vari punti affrontati (nel dettaglio: vincolo di destinazione dei fondi per la non autosufficienza; criteri sulla diversa distribuzione tra le regioni compreso quello degli indicatori; integrazione socio-sanitaria; definizione di requisiti standard omogenei per le cooperative che erogano prestazioni di assistenza domiciliare sociale) era già stato fissato per il prossimo 5 novembre. Come a dire: non facciamo clamore, ma anche noi lavoriamo e otteniamo risultati.

In questo scenario che racconta di due strategie diverse per rispondere alla comune esigenza di incidere nei fatti sulle politiche e migliorare così la vita concreta delle persone con disabilità gravissima, è arrivata la morte di Raffaele Pennacchio. Una morte che unisce tutti nell’umano sentimento di cordoglio ma che rende ancora una volta evidente quella differenza: se il “Comitato 16 novembre” avanza l’idea di una responsabilità diretta delle istituzioni e del governo per non aver ricevuto subito la delegazione, “costringendo” i manifestanti a passare una notte per strada, l’Aisla ribadisce la “necessità di fare sentire sempre di più, e nelle sedi preposte, la voce delle persone con Sla e dei loro familiari di fronte alle Istituzioni competenti di tutti i gradi e livelli”, azione ora da compiere anche “nel ricordo di tutti coloro, come Raffaele Pennacchio, che questa stessa battaglia l’hanno già combattuta”. (ska)

© Copyright Redattore Sociale

Fonte: redattoresociale.it

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