L’anno più difficile nella storia dell’Unione Europea inizierà ufficialmente a Roma il 25 marzo quando i capi di governo degli stati membri si incontreranno per celebrare il mesto sessantennale dai trattati di Roma, atto fondatore dell’allora Comunità economica europea (1957). Pochi giorni prima, il 15 marzo, ci saranno le elezioni in Olanda. Se vincerà il partito della libertà di Geert Wilders si terrà il primo referendum popolare sull’uscita dell’Olanda dall’Ue (e forse anche dall’Euro).
Ben più importanti si annunciano le scadenze elettorali presidenziali in Francia (23 aprile e 7 maggio) e in Germania (24 settembre). Se Marine Le Pen del Front National riuscirà ad affermarsi al secondo turno delle presidenziali in Francia ha promesso una consultazione sulla “Frexit”. A settembre Angela Merkel, candidata al quarto mandato da Cancelliera, potrebbe avere molti problemi dalla crescita del movimento di estrema destra e ultra-nazionalistico Afd, Alternative für Deutschland. Già all’inizio del prossimo autunno il paesaggio dell’Ue, ripiegata sull’austerità, sulla xenofobia e l’immobilismo, potrebbe risultare sconvolto e conoscere rovesci largamente annunciati, le cui conseguenze restano ancora oscure.
Il 25 marzo era nato come una giornata in cui Renzi avrebbe incensato ancora una volta se stesso. L’ex premier non è riuscito ad arrivarci. La data ha cambiato di senso, perdendo rilievo nelle fumose dinamiche politiche italiane concentrate sulla sentenza della Consulta sulla legge elettorale e sulle trattative tra le segreterie dei partiti su quella nuova. La durata del governo Gentiloni è strettamente legata al loro esito. Nel frattempo la crisi economica in cui versa il paese, sembrano essere passati in secondo piano, se si esclude il dibattito sui voucher e sull’articolo 18 cancellato dal Jobs Act che la Cgil voleva ripristinare, ma che la Consulta ha respinto.
Una giornata particolare
Sabato 25 marzo sta diventando una data-simbolo anche per le sinistre italiane, e non solo, contro l’Europa dell’austerità, dei confini e muri. Quel giorno in piazza è stata annunciata una manifestazione promossa da due piattaforme politiche: la rete C’è chi dice No e Eurostop. Domani, domenica 22, alla sala teatro Pasolini della Casa dello studente via Cesare De Lollis 20 si terrà l’assemblea di “C’è chi dice No” nata dalla campagna per il “No sociale” al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso a cui partecipano alcune reti dei centri sociali, movimenti territoriali come i No tav, No triv e contro le Grandi Navi, per la riqualificazione di Bagnoli, contro i gassificatori, gli studenti della rete della conoscenza e i sindacati di base (a partire da Usb e Si Cobas).
Sabato 28 gennaio, sempre a Roma, è stata convocata un’altra assemblea di Eurostop al centro sociale Intifada. Prima della contro-manifestazione del 25 marzo si sta pensando anche a seminari e convegni di bilancio di un’esperienza che, dopo l’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, dovrà affrontare il rinnovato nazionalismo imperiale degli Stati Uniti e toni da guerra commerciale. Eventualità a cui l’Ue non sembra essere preparata.
In attesa di una definizione del percorso delle mobilitazioni nazionali e internazionali a cui potrebbero presto aggiungersi altre date (il G20 a fine maggio a Amburgo e il G7 a Taormina a luglio) va ricordato anche il 25 marzo sera, al teatro Italia, Yanis Varoufakis lancerà ufficialmente il suo movimento Diem25 e presenterà il programma economico “Green New Deal”). Nella Capitale saranno presenti, per qualche ora, una parte delle sfumature delle sinistre che si oppongono – con ricette diverse che variano dalla riforma democratica e popolare dell’Unione alla fuoriuscita dall’Euro – ciò che è diventata oggi l’Unione Europea.
C’è chi dice No
La rete C’è chi dice No è nata l’estate scorsa in Val di Susa in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre. È stata una felice intuizione che ha anticipato le ragioni del “No sociale” contro le politiche economiche e sociali dell’allora governo Renzi. La manifestazione del 27 novembre, a una settimana dallo scrutinio che ha travolto Renzi e il Pd, ha portato a Roma 50 mila persone. Come abbiamo raccontato su Il Manifesto è stata l’unica mobilitazione popolare che ha rappresentato – prima delle analisi aposteriori sui flussi elettorali – la natura sociale del rifiuto a Renzi. La campagna si è anche intrecciata con lo sciopero generale dei sindacati di base (Usb, Si Cobas, Adl Cobas) del 21 ottobre, con la manifestazione del giorno successivo a cui hanno partecipato Rifondazione Comunista, la piattaforma Eurostop e altre sigle della sinistra comunista in Italia. E, ancora prima, il 7 ottobre e il 17 novembre con le manifestazioni studentesche.
“Con la nascita del governo Gentiloni ci sembra che si voglia continuare a nascondere le profonde radici sociali della crisi che sono emerse in maniera così forte nel voto del 4 dicembre – afferma Lorenzo, uno dei portavoce di C’è chi dice No – E’ accaduto anche nel dibattito pre-referendum quando siamo stati gli unici a evidenziare quanto la maggior parte dei media e la politica dei palazzi hanno riconosciuto dopo il voto. Ora tutto è stato rimosso di nuovo: continuano a rifiutare le posizioni che non trovano voce nella politica ufficiale”.
L’assemblea domenicale sarà la prima occasione per “restituire” il valore di quell’intuizione e per rilanciare su un nuovo percorso di mobilitazione. Al primo posto ci sono i giovani che hanno rifiutato le politiche renziane: “Non ci lasciamo più abbindolare dalla retorica sull’innovazione e le start up, così come da quella dei sacrifici. Questo scarto dal discorso dominante emerge anche dai territori impoveriti e depredati, a partire dal Sud dove il voto contro le politiche renziane è stato fortissimo e si è espresso nel No al referendum”.
Lo stesso “No” ora lo si vuole rivolgere contro le politiche di austerità nella manifestazione del 25 marzo, il giorno in cui ci sarà “una parata del peggio dell’Unione Europea esistente – continua Lorenzo – Mentre nei palazzi saranno radunati i capi di stato, vogliamo evidenziare la loro distanza siderale con qualsiasi realtà sociale”.
“Dopo avere difeso la democrazia costituzionale e rotto con il potere renziano, ora c’è la necessità di allargare a livello europeo la mobilitazione – afferma un altro portavoce di C’è chi dice No, Stefano, studente – L’assemblea serve a capire come costruire una nuova campagna politica per rompere la narrativa dominante che considera il Jobs Act una riforma che funziona, oscura le conseguenze dello Sblocca Italia e la negazione dei diritti imposta dal Piano Casa, senza parlare delle conseguenze della Buona Scuola che trasforma le scuole in aziende e l’istruzione in formazione professionale. Noi porteremo nella discussione la lotta contro la fortezza Europa, il progetto del nuovo governo di moltiplicare i Cie. Bisogna rilanciare le politiche di inclusione a livello europeo”.