Il sistema di giustizia italiano: chi ha il coraggio di parlare di dignità?
Da tempo ormai il tema del carcere, del 41 bis e dell’ergastolo ostativo sono argomenti all’ordine del giorno, in maniera inaspettatamente trasversale, a seguito della dura scelta di portare avanti lo sciopero della fame, ormai da 85 giorni, da parte di Alfredo Cospito.
Questa vicenda, oltre alle gravissime implicazioni umane che pongono il tema della possibilità concreta che a causa del regime detentivo più severo esistente un uomo possa perdere la vita, solleva differenti questioni di seria profondità. Occorre partire dall’esistenza di un sistema di giustizia totalmente punitivo all’attuazione senza riserve di pene come il 41bis e dell’ergastolo ostativo, attacchi tout court alla dignità umana per riflettere e poter costruire degli spazi di opposizione e di inaccettabilità.
In questi giorni è sorta un’attenzione particolare sul caso Cospito, determinata anche dalla presa di posizione di alcuni pezzi dell’opinione liberal di sinistra, è notizia di oggi la visita di una delegazione di alcuni parlamentari del Pd che hanno sollevato la questione dell’esistenza dell’articolo 27 della Costituzione che prevede che la pena detentiva non sia contraria al senso di umanità. Un appello che è stato sottoscritto e diffuso da personalità intellettuali di diversi ambiti per scuotere le coscienze ha già raggiunto più di 40 mila firme. Iniziative che possono essere più o meno accolte, più o meno accettabili senza vederne dell’ipocrisia, ma che sicuramente sono dei dati da tenere in conto. Anche perché molto spesso, per chi non ha la fortuna o la possibilità di avere una rete sociale intorno, tutto ciò sarebbe impensabile ed è infatti proprio sotto questi regimi detentivi che i morti in carcere ci sono e crescono di anno in anno.
Allora è bene sì interrogarsi sul senso di umanità o per meglio dire sulla dignità umana che in questo paese viene quotidianamente schiacciata senza alcuna remora. I temi del 41 bis e dell’ergastolo ostativo vengono messi in luce sistematicamente da chi vive queste condizioni di non vita quando emergono gesti di protesta e di rivendicazione dall’interno delle carceri. Ricordiamo l’appello delle “ragazze di Torino”, detenute del carcere delle Vallette che hanno più volte ribadito la necessità vitale di abolire queste pene dal sistema di giustizia. In una lettera scrivevano “il vero crimine è stare con le mani in mano”. O ancora lo sciopero del carrello portato avanti a staffetta dalle detenute, raggiunte nella protesta anche dai detenuti della sezione maschile, sono vicende che ci raccontano della forza di lottare che si esprime in certe fasi anche all’interno delle celle, battaglie che denunciano le condizioni carcerarie e che pongono sul piatto richieste chiare come l’indulto.
Anzi davanti a gesti come questi, il sistema giustizia da parte sua legittima, permette e organizza le violenze che vengono inflitte in carcere: ricordiamo Modena oppure Ivrea, ricordiamo la promozione dei mandanti del pestaggio furioso di Santa Maria Capua Vetere, ricordiamo come la popolazione giovane aumenti sempre di più all’interno delle carceri. Rispetto a questo una recente ricerca del garante dei detenuti comunale svolta sul carcere minorile di Torino rileva alcuni dati inquietanti, oltre al fatto che vi è un aumento della presenza di giovani al carcere Lorusso e Cutugno che rappresentano il 9.8% del totale e, solamente i nati tra il 1998 e il 2004, sono l’8%. E’ da sottolineare poi, che ben il 43% degli intervistati nell’ambito di questa ricerca provengono da Barriera di Milano, uno dei quartieri più popolari della città di Torino e con forte presenza di persone razzializzate, ciò denota una tendenza specifica del lavoro portato avanti dalla questura e dalla procura torinesi. Riprendendo da un articolo che riporta i dati di questa ricerca apparso su Altraeconomia , il questore Ciarambino nella conferenza di inizio anno che “si è fatto un uso parsimonioso degli arresti, puntando su quelli ‘di qualità’, dei criminali di spessore, e su quelli educativi”.
Qualità ed educazione sono indubbiamente due accezioni che nulla hanno a che vedere con il sistema giudiziario in essere e con le misure di punizione adottate, preventive e di pena. I dati sui suicidi e le notizie degli ultimi mesi recenti sulle morti di giovani e giovanissimi detenuti in carcere sono qualcosa da ricordare ogni giorno. Si parla di giovani che vengono arrestati perlopiù per furti o reati minori che non appena arrivano ai “nuovi giunti” devono affrontare condizioni al di là dell’immaginazione. Un esempio tra i tanti che ne rappresenta la dimensione è l’uso spropositato di psicofarmaci all’interno delle carceri. Oltre al fatto che la possibilità di ottenere misure alternative o di concludere la pena al di fuori del carcere è sempre meno realizzabile.
Questi pochi elementi rappresentano il regime detentivo “normale”. Quando si tratta invece di guardare a condizioni come il 41bis e l’ergastolo ostativo è evidente come si legittimi una condanna a morte a cui si giunge conducendo una nonvita all’interno di quelle mura, l’eliminazione di qualsiasi contatto umano, della possibilità di avere effetti personali, la condanna a contare le ore all’interno di celle e corridoi in cui non esiste luce del sole, in cui non c’è spazio per vivere.
Qualche parola ancora va spesa sull’idea ipocrita del carcere come momento “rieducativo”: questa idea appartiene ad un pensiero superato dalla storia, dove il disciplinamento dovrebbe in qualche modo coincidere con l’educazione. Questo criterio oggi sta tornando ad innervare la società, sempre più “in guerra” in cui viviamo. I pochi che escono dalle carceri del nostro paese con una prospettiva di vita differente da quando sono entrati lo fanno per merito loro individuale, non grazie alle istituzioni penitenziarie, perchè il disciplinamento non risolve i nodi di fondo dei comportamenti sanzionati, che siano essi la disoccupazione, la fame, o traumi di varia natura, ma tenta di affogarli dentro l’assenza di libertà e dignità ed un sistema di premi e punizioni. Ciò non valorizza affatto, usando le loro retoriche, il “recupero” alla società dell’individuo, ma è semplicemente un meccanismo più o meno violento e durevole di annientamento. E’ un meccanismo con cui la polvere viene nascosta sotto il tappeto, gli indesiderabili vengono allontanati dalla società nella speranza che con essi spariscano anche i problemi sociali di cui sono un sintomo, più che la causa. Questa idea di disciplinamento ha un enorme costo sociale ed economico che paghiamo tutti. La mentalità carceraria poi, in questi tempi di incertezza e paura, tende sempre di più a diffondersi dentro la società e viene utilizzata come modello per altre istituzioni totali, come la scuola, il lavoro ecc… ecc… Il 41bis ed il suo utilizzo sempre più indiscriminato è l’apice di questo fenomeno, ma l’estensione di questa mentalità riguarda il futuro di tutti e tutte, anche di chi oggi pensa che non vedrà mai dall’interno la cella di un carcere.
In questo momento poi, occorre anche citare la riforma Cartabia che rappresenta uno spiraglio rispetto alla questione dell’accesso alle pene alternative che eviterebbe il carcere a tanti per pene brevi e la scarcerazione per alcuni reati in caso di mancata querela. La campagna terroristico-mediatica portata avanti da quasi tutta la stampa italiana, rappresenta da una parte l’idiozia giustizialista che anima trasversalmente la sinistra, i 5 stelle e la destra ex-missina, ma dall’altra è espressione del tentativo riottoso della magistratura ad impedire qual si voglia diminuzione del suo stra potere. I fiumi di interviste a presidenti di Tribunali e Giudici hanno un sapore “eversivo”, nella misura in cui non accettano alcun bilanciamento dei poteri dentro lo Stato borghese. La difficoltà di capire la natura di questo potere profondo, alberga anche al di fuori dell’arco parlamentare, ed incide sulla possibilità di essere efficaci nella mobilitazione sociale e di classe contro il carcere, largamente inteso come strumento di imposizione e controllo del sistema sociale capitalista. E’ quanto mai positivo che in tanti e tante sia detenuti che parenti e solidali si mobilitino in questi mesi e ultimi anni fuori dalle solite retoriche stantie.
Allora le voci che si stanno alzando in questo periodo devono essere cassa di risonanza non soltanto per chi ha la forza politica di mettere in gioco la propria esistenza per denunciare questo sistema ma per tutte le persone che in questo sistema mortifero che è l’esistente attuale finiscono in quel vortice di ingiustizia, non si tratta di classificare quali reati meritano una pena piuttosto che un’altra, si tratta di lottare contro un attacco alla dignità umana in tutto e per tutto, per tutti e tutte coloro che non hanno voce e che dai margini ai quali vengono schiacciati sempre di più rischiano di essere buttati nel dimenticatoio carcere in cui nulla vale e in cui nulla ha più senso.
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