In Sardegna è rivolta contro la TARES
Proprio il paese di Guspini, comune di 12mila abitanti nel medio Campidano, in questi giorni è al centro della mobilitazione più massiccia. Oltre 800 firme raccolte in pochi giorni hanno condotto a un serrato confronto con l’amministrazione comunale che ha prima portato alla fuga del sindaco e in seguito all’occupazione a oltranza del municipio nella giornata del 31 dicembre da parte di decine e decine di cittadini. L’attacco è condotto in profondità travalicando il dato – comunque non banale – della proletarizzazione dei commercianti/partite IVA. Si pone infatti il nodo di una soggettività indebitata che a partire da un’insopportabilità, prova a formulare pratiche di resistenza e di ribellione all’esproprio organizzato dal pubblico nella crisi.
La tassazione perde qualsiasi carattere redistributivo. Anzi, la dimensione esorbitante dell’esazione fiscale segnala il crollo di un patto sociale su più livelli. La tassazione diventa vero strumento di governo sotto molteplici aspetti. In primo luogo spinge per consegnare al ricatto del debito una soggettività la cui riproduzione complessiva non viene garantita o viene concessa a condizione di sottostare ai dispositivi di controllo e valutazione del nuovo welfare. Sempre a Guspini è stata raccolta questa testimonianza: «Io sono disoccupato, mia moglie non lavora, mio figlio lavoricchia di tanto in tanto, non so proprio con quali soldi possa pagare la mia bolletta. Mi hanno detto rivolgermi ai servizi sociali per valutare se possono darmi una mano d’aiuto». Come resistenze alle dinamiche di indebitamento queste proteste anti TARES sembrano saldarsi alla stessa linea delle agitazioni anti Equitalia in Sardegna dal 2011 in avanti.
In secondo luogo la tassazione diventa strumento di governo politico decidendo chi deve pagare e a chi. La TARES, ideata nel contesto del cosiddetto “Decreto salva Italia”, salva però solo gli interessi dei creditori degli stati andando a rimborsare il debito di questi non con una nuova produzione di ricchezza ma con un prelievo dai redditi attuali. Viene pertanto assicurato il mantenimento degli stessi equilibri che hanno prodotto la crisi del debito articolando la strategia di amministrazione della crisi sulla produzione e messa a valore della povertà. Con l’obbligo del pareggio di bilancio la spesa pubblica è sostituita, mediante lo strumento della tassazione, con un’autogestione coatta dei servizi.
Le proteste in molte altre località della Sardegna hanno infatti portato le amministrazioni comunali a battere la strada del ritorno alla TARSU. Questo si è verificato ad esempio a Villacidro, Sanluri e Barumini (VS). In questi casi, poiché comunque resta che tutto il servizio venga coperto dai contribuenti, i comuni o puntano a una revisione a ribasso dei contratti d’appalto per il servizio smaltimento rifiuti, spesso consociandosi tra di loro, come nel caso di Mandas e Gergei (CA), oppure la fiscalità generale del comune copre il resto del costo complessivo del servizio per abbattere il costo del tributo sui rifiuti. A Narbolia (OR) 97 mila euro di risorse sono stati così impiegati. Si tampona dunque l’emorragia sul fronte rifiuti ma si continua a perdere ricchezza collettiva con il taglio ai servizi conseguente.
Il moltiplicarsi dei comitati contro la TARES, da Burcei (CA) a Carbonia ha costretto le amministrazioni comunali ad approntare alcune piccole misure di ammortizzamento. Nella maggior parte dei comuni il termine ultimo per il pagamento dell’imposta è stato rinviato a gennaio 2014 oppure la tassa viene rateizzata. Ma non basta, alcuni casi rasentano il grottesco. A Bacu Abis, frazione di Carbonia, decine di famiglie vivono da quattro anni nei container, dopo essere state evacuate dal rione di via Cogne-via della Libertà a rischio crollo. Anche loro hanno ricevuto la cartella di pagamento della TARES. Il container è stato equiparato a prima casa.
Crollo di un patto sociale è l’incapacità di garantire un margine di riformismo, con una qualsiasi politica redistributiva, o di tutelare interessi categoria sventolando la bandiera della rivolta fiscale. Questo ci parla anche della difficoltà a ricomporre politicamente a destra gli interessi privatistici aggregati attorno alla micro impresa. Allora, in questo passaggio della crisi, la questione delle ribellioni alle imposte ci sembra restituisca piuttosto alcuni caratteri di una soggettività non più elastica rispetto a certi tratti profondi dell’aggressione neoliberale. Osservare con attenzione questi caratteri significa approfondirne il radicamento nella contrapposizione alle leve dell’austerità come condizione per intercettare e interpretare movimenti profondi interni a un corpo sociale di massa che sempre più si attiverà in risposta a un regime di saccheggio anche a partire da piccole occasioni come l’opposizione all’ennesima imposizione fiscale.
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