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Incompatibili alla crisi

Non è ancora finita la triste epopea della Commissione Statuto: rettore, Senato Accademico e rappresentati impegnati nella ridefinizione dell’ateneo torinese seguendo le linee direttrici della riforma Gelmini. Tra una seduta della Commissione Statuto e una del Senato Accademico viene indetta anche una conferenza d’ateneo – insieme ad altre stupidaggini d’immagine – con l’obbiettivo di ‘dare massima pubblicità e permettere la più ampia discussione fra tutte le componenti dell’Ateneo circa le nuove proposte statuarie prima della loro adozione’. Una pagliacciata. Con queste maldestre operazioni i vertici accademici cercano di dare legittimazione ad una trasformazione dell’università che ha sempre riscontrato diffusa opposizione in tutto il paese.

Ad alcuni mesi di distanza possiamo troviamo una prima conferma su quanto dicevamo a proposito delle rappresentanze di studenti e ricercatori nella Commissione Statuto: una partecipazione democratica illusoria laddove gli interessi politici, economici e baronali chiudono già tutti gli spazi di azione possibili. In barba a chi, Studenti Indipendenti in testa, ha vissuto nell’illusione, in buona fede o meno, della Commissione Statuto come luogo democratico in cui riscrivere ‘la costituzione’ dell’ateneo. D’altronde si sa, la governance universitaria funziona così: promuovere le rappresentanze (con i nasi rossi o con il vangelo in mano) ad interlocutori privilegiati in modo da assicurare il mantenimento della struttura di potere vigente, male che vada facendo qualche concessione marginale per fingere di ottemperare i mugugni. Si perde tempo a discutere sull’accorpamento dei dipartimenti, egemonizzato dalle lotte tra baroni, per ridefinire, ma non eliminare, la rete di potere interna al nostro ateneo, sapendo già che le conseguenze, in ogni caso, le pagheranno studenti e precari.

Allo stesso modo se un anno fa i ricercatori e la Rete 29 aprile, con la loro ‘indisponibilità’, minacciavano di bloccare gli anni accademici di tutt’Italia, oggi si preoccupano per un presunto referendum sul nuovo Statuto dimostrando come i meccanismi della governance, unita ad un mai assente corporativismo, possa riassorbire una lotta promettente fino a renderla innocua. Non si tratta di fare i puristi contro la rappresentanza, ma ad uno sguardo attento non può sfuggire come il passaggio dall’indisponibilità alla ‘disponibilità’ – a far lezione, ad assecondare la riforma ed i giochi di potere dei baroni, etc – abbia allontanato, demotivato e disperso quella potenza soggettiva, che si era sedimentata ed accumulata, andando a rinchiudere la spinta propulsiva del movimento autunnale dentro le aule del rettorato.

Il nostro ripudio della ‘disponibilità’ piuttosto sta, al di fuori di troppe chiacchere e dei triangoli della rappresentanza, nello scegliere la strada dell’incompatibilità con questa università, con questa realtà sistemica che ci circonda. È la forza che risiede nell’indisponibilità politica che ci interessa, una possibile forma di sciopero interna alle mura universitarie, da riversare anche al di fuori di esse, che rimanda alla necessità di trovare forme di lotta efficaci che, dalla rottura della normalità del quotidiano vivere metropolitano, sviluppi una tensione positiva verso la costruzione di un immaginario di alterità rispetto ad un sistema produttore di crisi ed ingiustizia, dal quale nessuno può ormai credersi al sicuro.

Persi nelle secche della Commissione Statuto nessuno sembra porsi il problema di un’università di cui siamo clienti senza diritto di parola, funzionale al sistema capitalistico in quanto riproduttrice di cultura sclerotizzata e agenzia di disciplinamento della forza lavoro; nessuno sembra essersi accorto dell’aumento di abbandoni della carriera universitaria o della percentuale di studenti che dopo il diploma non si iscrivono ad un’università che ormai non promette più nemmeno una possibile ascesa sociale ma solo spese per gli studi e un futuro di precarietà. Non ci interessa rivendicare una maggiore professionalizzazione dei saperi – peraltro cara ai promotori della riforma Gelmini – ma porre il problema di un sistema universitario sempre più classista ed escludente. L’aumento della tasse, i numeri chiusi e più in generale i diversi meccanismi di inclusione differenziale fanno il paio con le invettive dei vari Sacconi e Brunetta: al sistema produttivo non servono tutti questi laureati! Un messaggio chiaro: nella fase attuale, l’università, nella sua forma di massa, rappresenta un costo inutile per il sistema pertanto da ridimensionare escludendo chi non si può permettere ‘il privilegio’ di farne parte.

Il pensiero corre agli studenti e alle studentesse di Santiago de Chile che da mesi occupano le piazze, le scuole e le università non per difendere il sistema scolastico cileno, neoliberista e classista, ma per renderlo un lontano ricordo, per pretendere che l’università e la scuola funzionino in modo diverso da quello che viene imposto dalle politiche neoliberiste. L’orizzonte su cui ci muoviamo è necessariamente più ampio ed ambizioso delle chiacchere con il rettore e della riorganizzazione del nostro ateneo, funzionale ad interessi avversi ai nostri. Qui la questione dei tagli, del carattere pubblico dell’istruzione, e affini, è meramente superato.

L’ultimo anno di lotte No Gelmini ha visto protagonista soggettività coscienti della loro condizione di studenti già precari, che sentono la morsa della crisi stritolare le loro vite. Il 14 dicembre è stata l’esplosione di una composizione sociale attraversata da linee irrimediabilmente intrecciate: università, precarietà, crisi, periferia, etc. Inutile per i profeti della compatibilità incontrare Napolitano poco dopo ed eleggerlo a padre della patria comprensivo nei confronti delle esigenze di studenti e precari; la storia sta facendo il suo corso: Morpheus che benedice le finanziare lacrime e sangue, la piazza del 14 dicembre che si diffonde in mille rivoli, magari oggi invisibili ma sedimentati. Sebbene Piazza del Popolo non sia riuscita darsi forma organizzata e continuativa è evidente che la voglia di riprendere in mano le redini delle nostre vite non sia finita con quella giornata. Quel desiderio di cambiamento che si fa pratica politica di conflitto lo ritroviamo oggi nel movimento No Tav, non a caso partecipato da tantissimi studenti e studentesse provenienti dall’esperienza contro la Gelmini, nella critica alla rapina della ricchezza sociale in favore dell’arricchimento rapace di casta, mafie e grandi costruttori. È proprio da qui che noi vogliamo ripartire con l’ambizione di mettere in discussione tutto per cambiare tutto: il governo dell’esistente, l’università, le nostre vite.

Oggi l’università gelminiana è solo un tassello di una più vasta ridefinizione dell’assoggettamento delle nostre vite al potere del capitale; il potere finanziario, sfruttando debitamente la crisi, ci impone attraverso il governo Berlusconi tutta una prima serie di politiche di sacrifici, tagli e precarietà: l’austerity è il macigno con cui vorrebbero schiacciare le nostre vite. Siamo studenti, ma la nostra quotidianità è intrecciata di tanti altri aspetti eccedenti: affitti improponibili, lavori di merda, socialità per prendere fiato. Davanti a noi la sfida di abbattere i rapporti di sfruttamento della ricchezza sociale imposti dal capitale finanziario, consapevoli di una forza soggettiva che, guardando le lotte dell’ultimo anno, si sta posizionando ad un livello sempre più alto di conflitto con l’esistente. Quello italiano non è un caso, tantomeno isolato.

Passando per i meeting internazionali di Barcellona e Tunisi, dove protagonista è quella composizione precaria che – dalle acampadas spagnole alla rivoluzione tunisina, passando per il paese nostrano – ha deciso di spezzare i meccanismi di un sistema produttore di ingiustizia, vogliamo costruire primi momenti di confronto e di lotta su scala transnazionale, non limitandoci alle sfighe di casa nostra ma sperimentando un possibile reticolato di lotte globali contro la crisi, contro l’austerity, contro il debito. In questa prospettiva assumiamo con entusiasmo l’appuntamento del 15 ottobre, laddove in tutti i paesi europei ci saranno mobilitazioni contro i poteri finanziari economici e politici. Questa data è da assumere e valorizzare come esperimento concreto verso una globalizzazione del conflitto, unica risposta all’altezza di uno scenario di crisi globale, di disintegrazione delle sovranità nazionali e di dominio dei poteri finanziari.

Siamo convinti, e i fatti ci danno ragione, che solo la lotta porti ad avere dei risultati; lasciamo le grigie aule dei Senati Accademici e dei tavoli concertativi a quanti non vedono, o non vogliono vedere, le ammalianti trappole della rappresentanza e della compatibilità con un sistema di cui non vogliamo salvare niente. Da parte nostra continueremo quel percorso fatto di rabbia, vitalità e crescita collettiva che ha innervato l’autunno No Gelmini e il boato del 14 Dicembre, passando per la Val Susa, e se lo scorso settembre gridavamo ‘siamo tutti indisponibili’ contro la riforma Gelmini è venuto il momento di declinare la nostra indisponibilità in incompatibilità alla miseria del presente, per trasformarlo, quindi con l’ambizione di vincere.

La pagina Facebook e l’account Twitter del Collettivo Universitario Autonomo del Torino

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