Lavoro: no money, no party!
L’ Ascom torinese, che per chi non la conoscesse, è un’associazione padronale di imprenditori del commercio, qualche giorno fa, attraverso una ricerca fatta da Format Research, ha ha dichiarato l’estrema difficolta’ a trovare forza lavoro disponibile nel settore ristorazione, accoglienza, commercio e logistica.
Quasi il 60% degli imprenditori torinesi, che si occupano del settore denunciano difficoltà o impossibiltà di reperire la forza lavoro necessaria per le loro attività. Le cause sarebbero inadeguatezza delle competenze dei lavoratori, rifiuto dei lavoratori alla proposta causa paghe e orari, poca attrattività della mansione svolta.
Le difficoltà maggiori stando alle parole della dirigente di Ascom confcommercio Maria Luisa Coppa, starebbe nel settore alberghiero e della ristorazione.
Va da sé che il settore ricerca manodopera giovane e in formazione solitamente disponibile a orari flessibili.
La dirigente rilascia un’intervista ai quotidiani locali in cui spiega le lamentatio della sua combriccola. Per chi ha lavorato anche solo un giorno nel settore, sentire le sue parole, fa sanguinare le orecchie. Provare per credere.
In buona sostanza la colpa è dei giovani e delle giovani che rifiutano questo tipo di lavori, non delle paghe da miseria, e del fatto che sono spesso forme contrattuali mezze in nero o comunque simil-stage, oppure che sfruttano al meglio le forme legali piu misere offerte dai contratti legali. La colpa è del fatto che due anni di pandemia avrebbero abbituato i giovani a non lavorare e quindi gli sarebbe passata la voglia di lavorare. Ovviamente viene tirato in ballo il reddito di cittadinanza, colpevole di imbamboccire I giovani. Poi si spertica in un appello alla passione che dovrebbe suscitare lavorare nel settore dell’accoglienza e della ristorazione, al senso di responsabilità nel poter offrire un servizio di qualità ai turisti e alla città. Al valore insito nel lavoro arbaicht macht frei diceva qualcuno…
Andrebbe ricordato ai signori imprenditori, che la prima ragione per cui si rifiuta il lavoro è la paga misera, su cui non c’è nessuna intenzione di intervenire. Poi c’è il fatto che le condizioni di sfruttamento, i ritmi di lavoro sono devastanti, e chi ha lavorato nel settore lo sa bene quanto si viene consumati e quanto sia impossibile offrire un servizio di qualià dopo 12 ore di lavoro di fila. Quanto sia avvilente vedere passare i giorni del calendario e comprendere che anni di formazione professionale sono stati inutili e che sarebbe bastata la quinta elementare per poter fare quel lavoro. La mortificazione giornaliera, proprio delle persone che vedono una valorizzazione nel poter fare un mestiere a contatto con le persone, nella lenta e inesorabile crescita giornaliera dell’odio verso i clienti e l’ambiente di lavoro. Le delusioni esistenziali nel veder scomparire la propria vita sociale proprio perchè si lavora quando gli altri si divertono e svagano.
Non accennano i signori imprenditori alle continue costanti molestie di ogni tipo a cui sono sottoposte le donne che lavorano in questo settore, a quanto queste violenze facciano parte del contratto, e che se ti lamenti vieni lasciata a casa o peggio. Non una parola sulle vessazioni che spesso proprio a causa di ambienti in cui si hanno pochi colleghi, ci si ritrova a subire in solitudine da parte del ristoratore o localaro di turno.
Come potrebbe cresce la passione per il lavoro a queste condizioni! E poi c’è il fatto che tanti e tante non vanno a lavorare perchè gli piace ma perchè hanno bisogno di soldi. Verità scontata ma spesso dimenticata la maggior parte della gente lavora per avere dei soldi in cambio, se non gleli dai o glene dai pochi, se può, smette di lavorare. Altro che passione. Tra l’altro si fa molta propaganda sul reddito di cittadinanza, ma molti e molte che lavorano nel settore non ne hanno diritto perchè vivono con i genitori e hanno quindi l’isee troppo alto, oppure non hanno l’età.
Il fatto che manchi la manodopera è un fatto ambivalente, da una parte c’è si il rifiuto del lavoro, a fronte di paghe misere e condizioni miserabili. Dall’altro ci sono le stesse condizioni strutturali della forza lavoro giovanile e la natura della società italiana. Per esempio il fatto che molti giovani non possano permettersi di vivere fuori dal nucleo familiare, permette di non dover pagare l’affitto o di dover contribuire solo a quello di famiglia, e il fatto che la maggior parte delle famiglie sia proprietaria della propria casa alimenta questa condizione. Ciò permette a tanti di poter cambiare più spesso impiego alla ricerca di quello pagato meglio ma lo scotto che si paga è altissimo, perchè si rinuncia di fatto all’indipendenza e alla propria valorizzazione esistenziale.
Quindi va evidenziato il carattere strutturale di questa crisi di manodopera lamentata dagli imprenditori, e come questa condizione di rifiuto del lavoro da parte dei lavoratori possa rappresentare un’opportunità per obbligare i datori ad alzare i salari solo a fronte di forme di lotta esplicite e collettive, perchè le sole risposte individuali sommate porteranno ad alimentare ancora di più le retoriche padronali e l’attacco ai pochi sostegni al reddito presenti nel paese.
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