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Gli “operai del nuovo millennio”: racconti dalla piazza

Durante il corteo del 28 Marzo abbiamo raccolto i contributi di alcuni giovani lavoratori di Dumarey, ex General motors, un’ azienda specializzata nella progettazione di sistemi di propulsione, che conta circa 700 dipendenti nello stabilimento torinese.

Riportiamo le testimonianze di due ingegneri e di un operaio che lavorano nel sito all’interno della “Cittadella Politecnica”.

Ciao chi siete e perché siete qui oggi? Qual è la situazione all’interno della vostra azienda?

F: Sono un operaio del settore Automotive, dipendente di Dumarey, sono qui oggi naturalmente per richiedere il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici e a sostenere le proposte avanzate dalla piattaforma unitaria che Federmeccanica si sta rifiutando assertivamente di accettare. Dentro la mia azienda c’è una bella novità, ovvero che la parte di ingegneria inizia finalmente a scioperare, si rendono conto che la nuova carne da macello, per quanto laureati, sono loro. Per quanto riguarda gli operai mi rendo conto che non tutti come me hanno la possibilità di scioperare perché chi deve mandare avanti una famiglia purtroppo non si può permettere nemmeno di perdere una giornata di lavoro, quindi sono qua anche per loro. Comunque l’adesione alle assemblee di preparazione, è stata discreta mentre per quanto riguarda lo sciopero è decisamente ben riuscito.

M: Siamo dei dipendenti di Dumarey Automotive, una multinazionale che produce software e motori. Siamo qui perché vogliamo far sentire la nostra voce anche alla nostra azienda riguardo il rinnovo del CCNL e all’esigenza di una riduzione dell’orario lavorativo. Il discorso dell’orario si connette all’ingresso dell’IA in un lavoro come il nostro, ci parlano sempre di più di bisogno di efficienza da parte dei lavoratori ma questo si traduce per noi in un carico di lavoro maggiore da portare a termine nello stesso tempo, ovvero 40 ore settimanali, arricchendo alla fine l’azionista dell’ azienda e portando il lavoratore a doversi occupare di 10 cose contemporaneamente, questo logora il lavoro del “nuovo operaio”, noi infatti siamo entrambi ingegneri.

A: La nostra azienda è un po’ particolare perché la maggior parte dei dipendenti sono ingegneri, quindi impiegati, per cui persone che in alcuni casi possono intendere la lotta con senso di colpa, come se uno sciopero fosse un problema. La cosa positiva è che l’asticella dell’arroganza del padrone si è spostata sempre più in alto e quindi anche i nostri colleghi si sono svegliati. Di solito a partecipare agli scioperi eravamo solo noi delegati, magari nemmeno tutti, e una buona parte di operai. Oggi siamo un bel po’, qui facendo una stima saremo una cinquantina, ed è un successo perché di solito non arrivavamo a 10.

M: Questo è significativo perché conferma che il rinnovo del CCNL è una cosa sentita, non solo da noi che magari siamo più interni alle dinamiche del sindacato come RSU, ma in generale dalle persone, l’inflazione che ha mangiato gli stipendi, i servizi che scendono sempre di più, a fronte di ciò è importante che ci sia un risveglio collettivo per i nostri diritti, che sono stati conquistati dai nostri nonni e genitori negli anni 60/70 e che adesso nel tempo vengono deteriorati dalla visione di profitto delle aziende che ricercano un profitto sempre più alto e abbassano sempre di più quelli che sono i diritti dei singoli lavoratori.

A: Secondo me la cosa che più è riuscita da parte degli imprenditori italiani, oltre a farsi finanziare dallo stato da trent’anni e piangere comunque miseria, e ci va coraggio, è quello di aver detto da un lato la lotta di classe non esiste, siamo tutti sulla stessa barca, dall’altro però loro la lotta contro la classe l’hanno fatta, infatti negli ultimi 30 anni i lavoratori hanno perso potere d’acquisto vedendo detassarsi anche i loro dividendi.

M: Infine un altro motivo per cui siamo qui oggi è la precarietà, anche le aziende come le nostre, sfruttando sempre di più quello che la tecnologia offre, ad esempio lo smart working, va alla ricerca di consulenza estera a basso costo, principalmente nei paesi del Maghreb, per pagare poco i dipendenti, non assumerli direttamente ma attraverso contratti di consulenza così “quando non mi servi più stacco la spina”, andando a sminuire magari un ingegnere che ha impiegato molto tempo ed energie nel prendere una laurea e un certo tipo di “know how” per poi venire sfruttato, siamo diventati gli “operai del nuovo millennio” e questa direzione non ci piace.

Come vivete questo vento di guerra e corsa al riarmo? E cosa pensate dell’ipotesi di riconversione dell’Automotive a settore bellico?

F: Da parte mia la corsa al riarmo è percepita male, riconvertire un settore che è stato storicamente votato al trasporto e alla mobilità alla guerra ovviamente è un gioco sporco.

M: Ci sono pro e contro, le migliori tecnologie sono state sviluppate nei periodi di guerra e non ci si può nascondere, perché lì vengono investiti i soldi. Ad esempio in campo farmaceutico durante la guerra contro il covid le aziende hanno investito nella ricerca per vaccini che prima non esistevano.

La guerra non è mai una cosa bella, sono per la difesa dell’Europa ma non so se è il metodo giusto andare a spendere sul riarmo togliendo così investimenti su quello che ci tocca tutti i giorni, ad esempio l’istruzione, negli asili nido non ci sono i soldi per comprare la carta e i materiali e sono costi che ricadono sui genitori, le strutture sono fatiscenti e anche di quello si devono occupare i genitor perché non ci sono i soldi per metterli a posto, le rette vengono 600/700 euro al mese, ci parlano di incentivazione alle nascite ma come si fa, in famiglie in cui ci sono giovani (non più tanto giovani perché ormai per arrivare ad avere una situazione stabile si parla di arrivare ai quarant’anni) a far fronte a tutte queste spese?

L’istruzione è andata in malora, la sanità sta andando in malora, per fare una visita ci impieghi mesi e alla fine ti costringono ad andare nel privato.

Se la guerra significa, togliamo soldi alla società perché dobbiamo investire nelle armi no. Se si dice dobbiamo difendere il nostro territorio va bene ma sempre valutando tutte le possibili soluzioni a una guerra, quindi non solo il riarmo ma attraverso molte altre misure.

A: Io non sono d’accordo con la riconversione, in generale la politica industriale la fanno gli stati, quindi se da parte degli stati UE c’è una corsa al riarmo le imprese li seguono, sembra quasi che fino a ieri non investissero nel bellico ma in realtà lo facevano anche prima, ora stanno incrementando la produzione, in un momento tra l’altro in cui lo stato sociale è devastato e stanno continuando a distruggerlo e poi ricordiamoci che in guerra, da che mondo è mondo, ci vanno i poveri a morire per i ricchi.

Se vuoi raccontarci la tua storia scrivici a:
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Scopri gli altri articoli del percorso d’inchiesta sul lavoro a questo link.

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