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Liberare i sentieri

L’esercizio di sovranità praticato in questi giorni in Val Susa non solo è legittimo ma necessario. Gli abitanti della Valle e gli attivisti che ripetutamente tentano di restituire luoghi resi inaccessibili da un dispositivo militare eccezionale rappresentano la rottura definitiva con un modello di sviluppo basato sul consumo di suolo e sulla sua valorizzazione speculativa. Una cesura così forte da non poter essere declinata come “riduzione del danno” o come ipotesi di trattativa al ribasso. La colonia edile-militare che si è insediata nella valle se ne deve andare. Punto.

Non siamo solo solidali con chi ha subito nella notte di venerdì e sabato violenze e arresti. Assumere fino in fondo le pratiche di azione diretta per “liberare nuovamente i sentieri” non ha un valore estetico o da cartolina del conflitto, ma definisce correttamente ciò che vogliamo ottenere. In questo senso il sabotaggio, il blocco, il superamento degli sbarramenti, la rimozione degli ostacoli, la riappropriazione materiale dello spazio pubblico diventa sostanza e smette di essere forma.

Non è evidentemente possibile produrre questo senza ritrovarci addosso il fatidico “ve la siete andati a cercare”. Ebbene si è vero stiamo immaginando come dal conflitto possa scaturire un nuovo protagonismo dei movimenti in grado di produrre la differenza che serve per riappropriarci di ciò che ci hanno tolto. Vogliamo che i diritti cancellati uno ad uno, giorno dopo giorno, tornino ad essere un orizzonte praticabile. Il diritto alla casa e al reddito soprattutto.

È inaccettabile che la precarietà sia diventata la nuova forma di vita. E che questo modus vivendi sia declinato in ogni recesso delle nostre esistenze. Per questo anche raccogliere funghi dentro il bosco può produrre instabilità quando vuoi farlo sul tracciato del Tav e quindi la condizione di controllo e violenza che il comando esprime produce tensione e rabbia insostenibili. Gli stessi sentimenti che ormai permeano una società precarizzata ma non ancora sottomessa.

Nelle città noi non raccogliamo funghi e non liberiamo sentieri. Ma nello stesso modo attraversiamo strade spesso blindate e invadiamo palazzi militarizzati. Il comune sentire non sta nel confronto con le divise ma nella forza che esprimiamo quando affermiamo il nostro desiderio di andare dove abbiamo deciso di arrivare. Non ci sono scorciatoie, ma sentieri comuni da liberare.

Così salutiamo Matthias e Piero e tutt* quell* costrett* alle Vallette e a misure restrittive. Ci vediamo in città…e nei boschi.

Blocchi Precari Metropolitani

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